[seduta di giovedí 22 maggio 2008 ore 17]
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare
l'onorevole Bachelet. Ne
ha facoltà.
GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor
Presidente, signori
rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, prima del mio
intervento
permettetemi di condividere con voi una tristissima notizia che mi
è ha appena
arrivata, quella della morte del dottor Paolo Giuntella, giornalista
RAI che
molti di voi conoscono e che ha seguito negli ultimi anni il Presidente
della
Repubblica per il Tg1. Egli è stato anche mio capo scout,
maestro di vita e di
fede, e la persona alla quale devo la mia formazione politica che, in
ultima
analisi, mi ha portato fin qui.
Entro ora nel merito del mio
intervento, il cui scopo è
invitare il Governo a ritirare l'articolo aggiuntivo in discussione.
«Se a ciascun l'interno affanno
si leggesse in fronte
scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero
pietà». Quando, qualche
giorno fa, il Presidente del Consiglio si è rivolto a noi
dell'opposizione con
tanta giovialità, non avrei mai creduto che, dietro a quel
sorriso così
luminoso, potesse celarsi un cruccio. Ero convinto che avesse ragione
un mio
amico veltroniano che, in un circolo del Partito Democratico, mi aveva
detto
giorni fa le seguenti parole: questa volta non è come nel 2001;
ormai il falso
in bilancio è «sistemato», le cinque cariche
principali sono al riparo dai
processi penali, la legge sulle televisioni è fatta, così
come quella sul
conflitto di interessi e quindi, adesso, l'onorevole Berlusconi
può dedicarsi
davvero ai problemi dell'Italia. Fa bene Veltroni ad avere impostato
un'opposizione britannica, capace di misurarsi sui provvedimenti in
modo
puntuale e leale. Basta con queste demonizzazioni! Basta con questa
lagna sul
conflitto di interessi e sull'ineleggibilità di chi è
titolare di una
concessione governativa! Misuriamoci finalmente sui problemi
dell'Italia, come
accade nei Paesi moderni.
Invece no: il sorriso celava un
cruccio legato a un'ultima
piccola questione ancora da sistemare: con un colpo di mano, per
l'ennesima
volta, si tenta di resistere alle regole europee e si propone di
inserire in
coda a un decreto-legge del precedente Governo un provvedimento di
dubbia
costituzionalità, che non è stato sottoposto, a causa di
questa procedura,
all'esame delle Commissioni competenti.
Non vi sembra, signori del Governo,
che con la maggioranza
che vi ritrovate si potesse più lealmente e garbatamente
sottoporre un apposito
disegno di legge o almeno un decreto ad hoc in modo più
trasparente? Si vede
che gli interessi televisivi premono. Infatti, al metodo alquanto
villano e
tutt'altro che garbato, che vanifica in men che non si dica lo stile
nuovo
strombazzato solo una settimana fa, si aggiunge il merito di un
provvedimento
per più ragioni inaccettabile. La proposta emendativa, infatti,
introduce
disposizioni comunitariamente illegittime, in quanto contrarie anche
alla
sentenza resa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee il
31 gennaio
scorso nel noto caso Centro Europa 7.
Ne consegue che, attraverso un
procedimento parlamentare
inadeguato quanto a tempi e possibilità di approfondire, si
perverrebbe
all'approvazione di disposizioni frontalmente contrastanti con la
citata
sentenza, oltre che inadeguate a rispondere ai rilievi proposti dalla
Commissione europea, così aggravando ulteriormente la posizione
dell'Italia
dinanzi all'Unione europea, non raggiungendo l'obiettivo di evitare il
deferimento del nostro Paese dinanzi alla Corte di giustizia ed anzi
esponendolo al certo avvio di nuove procedure e sanzioni.
Inoltre, è noto che la Corte
costituzionale ritiene che le
disposizioni interne contrastanti con il diritto comunitario, specie se
fatto
oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia delle
Comunità
europee, devono essere disapplicate o non applicate da tutti gli
organi, tanto
amministrativi quanto giurisdizionali dello Stato membro,
cosicché saremmo in
presenza di disposizioni radicalmente viziate da illegittimità
comunitaria.
Dal canto suo, la Corte di giustizia
delle Comunità europea
ha specificato che, a seguito di una sentenza emessa su domanda
pregiudiziale
da cui risulti l'incompatibilità di una normativa nazionale con
il diritto
comunitario, è compito delle autorità dello Stato membro
interessato adottare
provvedimenti generali o particolari idonei a garantire il rispetto del
diritto
comunitario sul loro territorio, vigilando in particolare
affinché il diritto
nazionale sia rapidamente adeguato al diritto comunitario e
affinché sia data
piena attuazione ai diritti che sono attribuiti ai singoli
dall'ordinamento
comunitario.
Ciò posto, vorrei cominciare
dalle disposizioni che si
pongono in frontale contrasto con la sentenza della Corte di giustizia
delle
Comunità europee. Il comma 3 dell'articolo aggiuntivo 8.015
(Ulteriore nuova
formulazione), nella parte in cui dispone: «La prosecuzione
nell'esercizio
degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti
che ne hanno
titolo, anche ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto
legislativo 31
luglio 2005, n. 177 (...)», ossia anche a quei soggetti, come
Retequattro, che
hanno operato e continuano ad operare in forza dei regimi transitori
introdotti
dalla legge Maccanico, dal decreto-legge «salva reti» e
dalla legge Gasparri,
si pone in frontale contrasto con la citata sentenza della Corte di
giustizia
delle Comunità europee nei seguenti passaggi: 1)
indipendentemente dagli
obiettivi perseguiti dalla legge n. 249 del 1997 con il regime di
assegnazione
delle frequenze ad un numero limitato di operatori, si deve considerare
che
l'articolo 49 ostava ad un regime siffatto; 2) la medesima valutazione
si
impone per quanto riguarda il regime di assegnazione delle frequenze ad
un
numero limitato di operatori, in applicazione della legge n. 112 del
2004. Tale
regime non è stato attuato sulla base di criteri obiettivi,
trasparenti, non
discriminatori e proporzionati, in violazione dell'articolo 49 e, a
decorre dal
momento della loro applicabilità, dell'articolo 9.1 della
direttiva quadro,
degli articoli 5.2, secondo periodo, e 7.3 della direttiva
autorizzazioni,
nonché dell'articolo 4.2 della direttiva concorrenza.
Il citato comma 3 si pone
altresì in patente contrasto con
il parere motivato della Commissione europea del 18 luglio 2007. In
detto
parere la Commissione ha, infatti, contestato all'Italia che la legge
Gasparri
attribuisca diritti speciali vietati dagli articoli 2 e 4 della
direttiva
2002/77/CE, direttiva concorrenza, laddove prolunga, sino alla data
dello
switch off delle trasmissioni analogiche, l'autorizzazione a proseguire
le
trasmissioni in tecnica analogica terrestre in favore di operatori che
non sono
titolari della concessione analogica, quale è notoriamente il
caso di
Retequattro.
In particolare, la Commissione
sottolinea che queste
disposizioni accordano a detti operatori un evidente vantaggio a danno
delle
altre aziende, segnatamente di quelle come Europa 7, che, pur essendo
titolari
di concessione analogica, non sono in grado di fornire servizi di
radiodiffusione terrestre in tecnica analogica per mancanza di
frequenze
disponibili.
Di tutti questi rilievi la proposta
emendativa del Governo
non si fa minimamente carico, arrivando al risultato paradossale di
riproporre
e addirittura proiettare nel futuro le stesse violazioni contestate
dalla
Commissione. Il precedente Governo aveva, invece, esplicitamente
riconosciuto
l'esattezza dei rilievi dell'Esecutivo europeo, ammettendo testualmente
che «le
disposizioni della legislazione italiana attribuiscono diritti speciali
ai
sensi degli articoli 2 e 4 della direttiva sulla concorrenza per quanto
riguarda l'autorizzazione a proseguire le trasmissioni in tecnica
analogica
fino alla data dello switch-off assicurata agli operatori privi della
concessione televisiva analogica (articolo 25, comma 11, della legge n.
112 del
2004)». Anche sotto questo profilo appare estremamente
inopportuna la scelta di
mutare radicalmente la posizione ufficialmente assunta dal nostro Paese
in sede
di Unione europea, per giunta attraverso l'adozione di un decreto-legge
palesemente contrastante con la normativa comunitaria, con la sentenza
della
Corte di giustizia delle Comunità europee e con gli affidamenti
creati ai
massimi livelli istituzionali in merito a un pronto adeguamento
dell'Italia al
diritto europeo.
Anche il comma 4 dell'articolo
aggiuntivo 8.015 del Governo
si rivela assolutamente inadeguato a rispondere ai motivati rilievi
della
Commissione europea. La Commissione, infatti, ha contestato che
l'attuale
disciplina italiana attribuisce illegittimamente agli operatori
già operanti la
possibilità di convertire in digitale un numero di reti
addirittura superiore a
quello delle loro attuali reti analogiche, così consentendo a
questi operatori
di trovarsi in una situazione migliore sotto il profilo della
concorrenza
rispetto al periodo precedente al passaggio alla nuova tecnica e
permettendo
loro di convertire tutte le reti analogiche in reti digitali (comprese
le reti
per le quali non era stata allora accordata una concessione analogica,
così
come avviene per il gruppo Mediaset con Retequattro). La proposta
emendativa
ignora completamente tali rilievi della Commissione riconfermando
implicitamente la possibilità di convertire in reti digitali
tutte le reti
detenute dagli operatori esistenti anche se in base al mero generale
assentimento previsto dal regime transitorio della cosiddetta legge
Gasparri.
In proposito, determinante risulta il richiamo, contenuto nel comma 4
dello
stesso articolo aggiuntivo, al fatto che i diritti d'uso delle reti
televisive
digitali saranno assegnati in base alle procedure definite
dall'Autorità nella
delibera n. 603/07/CONS. Il richiamo di tali criteri, che sono quelli
prefigurati per l'assegnazione delle frequenze in Sardegna, una volta
che sarà
attuata la completa digitalizzazione della regione, comporta che gli
attuali
operatori dominanti conserveranno la titolarità di tutte le reti
analogiche e
digitali già detenute, così che Mediaset verrà a
detenere, a regime, ben sei
reti digitali (attualmente essa esercisce tre reti analogiche e tre
reti
digitali). In altri termini, in mancanza di un limite alla detenzione
di reti a
frequenze digitali, che non viene introdotto neanche con l'articolo
aggiuntivo
8.015 del Governo, nessuno potrà contestare, anche in futuro,
agli attuali
operatori la titolarità delle frequenze ora detenute. Solo
l'assegnazione delle
poche frequenze eventualmente residue, il cosiddetto «dividendo
digitale» sarà
oggetto di assegnazione attraverso procedure comunitarie, ma
esclusivamente
dopo che saranno state fatte salve le situazioni di favore in cui
versano gli
operatori dominanti, prima tra tutti Mediaset. Inoltre, gli esperti del
settore
dubitano che in tutte le regioni vi sarà un «dividendo
digitale» data la
diversità delle condizioni orografiche e radioelettriche delle
stesse.
In definitiva, la proposta emendativa
non soddisfa le
richieste vincolanti della Commissione e tanto meno il rispetto della
sentenza
della Corte di giustizia delle Comunità europee sul caso Europa
7, continuando
ad affidare la soluzione dei problemi di illegittimità
costituzionale e
comunitaria della nostra disciplina radiotelevisiva alla completa
conversione
delle trasmissioni in tecnologia digitale. Si tratta, però, di
una conversione
fissata, nella migliore delle ipotesi, nel 2012 e che, anche in sede
europea,
tende sempre più ad essere differita al 2015, con la conseguenza
che, ancora
per molti anni, l'attuale sistema transitorio analogico
continuerà a riproporsi
nei termini attuali e giudicati da tutti illegittimi costituzionalmente
(quantomeno dal 1994) e ora anche a livello comunitario.
Per questi motivi, chiedo al Governo
di ritirare la
proposta emendativa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito
Democratico e
Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Onorevole Bachelet, la
Presidenza della Camera
si associa alle sue parole di cordoglio per l'improvvisa scomparsa del
dottor
Paolo Giuntella.