I tormenti del giovane PD
l'Unità 4 settembre 2008
Alla tavola rotonda conclusiva della scuola estiva della Rosa Bianca
(quella vera, fondata da Paolo Giuntella quasi trent’anni fa) un
improbabile neodeputato del PD, di fronte all’improbabile titolo “la
politica come opera d’arte: fascino ed autenticità di una
sinistra credibile”, pensa fra sé: Prodi ha partecipato alla
scuola ma si è limitato ad una (bella) lezione sull’Europa e sul
mondo. Sul futuro del centrosinistra si sono rivolti a me (dalle stelle
alle stalle). Siamo messi male.
Conferma l’impressione il moderatore Damilano, quando, dopo aver citato
Moro Ruffilli Scoppola e Giuntella (dei quali si sente orfano come la
quasi totalità dei presenti), spara la sua raffica di domande:
la paura ha sostituito la fiducia in un mondo globale; l’opposizione
non c’è e lascia a Famiglia Cristiana e a qualche prefetto o
questore il compito di segnalare la fuoriuscita dai binari
costituzionali; l’opinione pubblica non c’è piú, come
dice Moretti, oppure c’è ma è di destra. Come si recupera
un rapporto con il sentimento degli elettori? Brutte domande, a un anno
dalle primarie.
Le altre due interlocutrici della tavola rotonda –Maria Prodi,
assessore dell’Umbria e Giovanna Capelli, preside e fino a qualche mese
fa senatrice di Rifondazione– parlano di primarie taroccate,
candidature sbagliate, impegni sull’equilibrio di genere ed altri
aspetti del codice etico disattesi; di campagna elettorale suicida
nella quale i meriti storici dei nostri governi vengono taciuti come
vergogne; di catastrofe della sinistra, che, di fronte agli sputi
leghisti sul pullmino dei bambini rom che vanno a scuola
nell’hinterland milanese, risponde con sorridenti aperture sul
federalismo.
Gli interventi del pubblico rincarano la dose e segnalano delusione per
le promesse tradite e la rapidissima dissipazione del patrimonio di
credibilità del PD e della sinistra, dal welfare all’Alitalia,
dall’obbligatorietà dell’azione penale alle intercettazioni,
dove perfino un Maroni pare a volte piú intransigente dei
nostri. Gli interventi esprimono anche costernazione per l’impotente
autoreferenzialità della sinistra cosiddetta radicale, maionese
impazzita di mondi piccolissimi che appaiono ciascuno, come peraltro
anche il grande PD, di sé felice, immemore della colossale
tranvata appena presa e/o inconsciente della valanga di danni che la
somma di molte scelte suicide sta quotidianamente riversando sul Paese.
Già, danni immensi: mancano solo la guerra e lo stravolgimento
della Costituzione di qualche anno fa. L’aveva ricordato Pedrazzi (con
Gorrieri fondatore di un mitico quotidiano negli anni settanta) ai
relatori della giornata economica: va bene la democrazia dal basso
realizzata con la pressione democratica dei consumatori, il commercio
equo e solidale, il microcredito, la banca etica; ma guai a
sottovalutare l’azione governativa e parlamentare. Certo la politica ha
effetti limitati (il non-appagamento di Moro, il rapporto
possibile/impossibile di Scoppola citati in apertura da Marco Damilano)
e la base di ogni progresso è educativa culturale sociale (molti
partecipanti, Prodi in testa, si sono impegnati in politica abbastanza
tardi, dopo una vita di ricerca industria educazione informazione
amministrazione); ma disinteressarsi della politica resta una grave
imprudenza.
Il neodeputato PD guarda l’orologio e, vedendo che il suo intervento si
avvicina, si chiede che cosa sottolineare nel tempo che gli è
concesso. Forse, visto che molti organizzatori sono vecchi amici e nel
pubblico la stragrande maggioranza è di elettori o fondatori del
PD (molti dei quali, alle primarie, hanno con ogni probabilità
votato Rosy Bindi), potrà finalmente parlare senza peli sulla
lingua del partito che ancora non c’è, né sul territorio
né nelle istituzioni; dei circoli che, benché lasciati a
se stessi dopo le primarie di ottobre, lavorano sodo sul territorio, ma
rischiano, alla vigilia del primo tesseramento PD di metà
settembre, di restare senza sede, perché il partito non
contribuisce piú all’affitto, in barba al cospicuo rimborso
elettorale; della cui destinazione, peraltro, nessuno sa nulla, in
barba alla trasparenza finanziaria prevista dal codice etico approvato
dal PD. Potrebbe passare poi allo spappolamento del partito nelle
istituzioni: a lui che è deputato, ad esempio, notizie e
anticipazioni sui decreti di scuola e ricerca sono giunte nel corso
dell’estate da amici o dai giornali, ma non dal PD; in precedenza, sia
sulla tattica parlamentare (quando fare ostruzionismo e quando no, per
esempio), sia sulla formazione del nuovo governo ombra, nessuna
consultazione o dibattito sono stati promossi, né nel gruppo
parlamentare, né in qualche sottogruppo tematico, che sarebbe
invece utile nel caso di provvedimenti specifici, dalla riforma del CSM
all’energia nucleare, dalla maestra unica al voto di condotta.
L’assenza di pubblico dibattito è un guaio anche per la
comunicazione esterna: nel caso di Eluana, senza una pubblica
elaborazione o rielaborazione della linea comune, la scelta del PD di
uscire dall’aula per non votare un’imbecillità propagandistica
(verrà comunque respinta dalla Corte Costituzionale) è
parsa invece, anche a molti dei nostri, un’esitazione dovuta a deficit
di laicità.
Clamoroso, infine, il voto per il bilancio della Camera a fine luglio:
in mancanza di preventiva discussione, o almeno di un’indicazione da
parte del capogruppo, su varie proposte di trasparenza negli stipendi
dei parlamentari (suggerite dall’improbabile neodeputato nella prima
riunione del gruppo parlamentare, e poi promosse in aula dai radicali,
che ne fanno parte), il PD ha votato in ordine sparso, mentre il
centrodestra votava senza defezioni in favore del mantenimento dei
privilegi, anche piccoli, dei deputati: è stata sprecata,
cioè, un’occasione d’oro per mostrare che a favore della casta e
di Roma ladrona sono compattamente schierati Lega e PDL, ma non noi.
Alla fine, però, il neodeputato decide: resisterà alla
tentazione e rinuncerà a questi ed altri motivati mugugni e
sfoghi. Si è infatti accorto che in questa scuola estiva, quando
si parla di PD, tira un’aria peggiore del previsto: non un’aria
battagliera degna dei gruppi PUMA (i democratici che non volevano
rassegnarsi alla sconfitta di Hillary, la sigla sta per Party Unity? My Ass!), ma semmai
un’aria moscia moscia: le critiche e proposte di Parisi, per esempio,
non le ha riprese nessuno; e non perché troppo radicali,
bensí, purtroppo, perché il PD è dato in blocco
per perso; e del PD, di qualunque sua componente, non frega piú
niente a nessuno. Non è astio o attrazione verso altri poli, no.
Lo dice bene uno degli ultimi interventi: di fronte ad enormità
come il lodo Alfano e il decreto fiscale avete rimandato all’autunno la
battaglia, e nel frattempo non siete riusciti né a valorizzare
l’opposizione con Di Pietro (sopravvissuto grazie al vostro
apparentamento elettorale, che in Parlamento vota quasi sempre come
voi), né a incantare Casini (che continua ad astenersi votando
quasi sempre in modo diverso dal vostro), né a istituire qualche
tavolo di consultazione con i pezzi della sinistra rimasti fuori dal
Parlamento. Capiamo che siete in buona fede e avreste bisogno di noi,
ma siamo stanchi, disillusi, sfiduciati: non ce la facciamo piú
a sperare, a combattere, ad aiutarvi.
Poiché questo è il clima perfino fra i nipotini di
Scoppola e Giuntella, il neodeputato avverte: per cinque anni il PD
sarà il piú grande partito di opposizione del Parlamento
e, se non vogliamo tenerci Berlusconi per altri dieci, è vitale
identificarne le potenzialità buone e farle crescere; è
inutile lamentarsi come vecchie zitelle per le cose che non vanno,
occorre lavorare alacremente per correggerne qualcuna, per rilanciare
qualche idea portante e organizzarsi sul territorio. Chi poi, come
molti partecipanti alla scuola, si è fregiato del nome di
Democratici Davvero, deve anzitutto democraticamente ammettere che le
primarie non sono state taroccate, ma semplicemente perse. Chi ha vinto
ha il diritto e il dovere di guidare il partito; ed è abbastanza
ovvio che strategie, tattiche e scelte di persone siano diverse, a
volte antitetiche a quelle che opererebbe chi non l’ha votato. E’
inoltre cosa buona giusta e laica riconoscere che molte scelte per il
bene comune sono opinabili. Benché abbiano guidato il partito
fino al punto in cui si trova ora, quelli che hanno impostato la
campagna elettorale di Veltroni sono persone oneste e in gamba; alcune
le conosciamo bene perché hanno fatto un lungo tratto di strada
con noi: Ceccanti, Tonini, Vassallo per un verso, Roberto Della Seta
per un altro. Occorre continuare a parlare forte e chiaro, anche se
siamo minoranza e per ora nessuno ci dà retta; occorre
persuadere loro e tutti gli altri che stanno sbagliando strada, e con
loro scoprire e imboccare la strada giusta, quella di un partito
democratico davvero, capace di suscitare nuova fiducia e partecipazione
perché capace di distinguere credibilmente fra i molti punti sui
quali è possibile e sensato trattare con gli avversari, e i
pochi “principi non negoziabili” sui quali non si scherza: capace
cioè di essere ed apparire un credibile partito di opposizione.
Insomma ci vuole un congresso; per partecipare occorre iscriversi e
prepararlo, discutere, ascoltare, proporre, votare. Un lavoro duro.
Generosi tentativi di rinnovamento e non poche alchimie politiche del
recente passato sono fallite perché è mancata la
capacità –o la pazienza, o l’umiltà– di persuadere,
raccogliere il consenso, attaccare manifesti, arrostire salsicce.
Proviamoci. Alla fine saremo, forse, ancora minoranza. Ma è il
nostro partito. Per molti di noi è il primo ed unico partito al
quale si potrebbero iscrivere: prima di darlo per perso, facciamo un
ultimo sforzo. Fine dell’intervento, e, incredibile a dirsi, nemmeno un
fischio! anzi molti applausi. Forse per il PD c’è ancora
qualche speranza.
[Giovanni Bachelet]