11 settembre, un anno dopo Giovanni
Bachelet, in "La nostra domenica" (settimanale diocesano di
Bergamo), 8 settembre 2002
30 luglio 2002, Monaco di Baviera, imbarco per Washington. E' l'inizio
di un lungo viaggio con destinazione Santa Barbara, California. Ogni
tanto torno per lavoro in USA, l'ultima volta a fine 2000. Ma per la
prima volta siamo in sei: c'e' tutta la famiglia, che durante il mio
mese all'Institute for Theoretical Physics farà vacanza.
I controlli sono molto piú severi dell'ultima volta. Fanno
togliere le scarpe a tutti, per essere certi che non nascondano armi da
taglio o esplosivo. Solo in Israele ho visto controlli simili
all'aeroporto. Alcuni bambinetti corrono divertiti a piedi nudi intorno
al metal detector. E' giusto, spiego ai miei, è per la nostra
sicurezza. Vittorio, il piú grande, lo capisce bene. E' stato
lui a telefonarmi, un anno fa, per dirmi dell'attacco alle Torri
Gemelle. Sto facendo esami alla Sapienza, gli ho detto, non farmi
perdere tempo con scherzi cretini. Invece era vero.
Quanti ricordi nel volare ancora una volta in America. Ho raccolto sul
mio portatile i documenti relativi a questo viaggio in California in
una valigetta a stelle e strisce che ho chiamato "Oh beautiful". Sono
le prime parole di un inno all'America che ascoltai per la prima volta,
non senza sorpresa, alla fine della Messa, a Summit, New Jersey,
ventitré anni fa. Ma mi è rimasta nel cuore. "Oh bella
per i cieli spaziosi, per il grano color dell'ambra che ondeggia nei
campi...oh bella per i piedi del pellegrino, il cui faticoso cammino ha
aperto un sentiero verso la libertà". In America tutti si
sentono un po' immigrati, e ti accolgono subito come uno di loro. Non
è come da noi.
Agosto 1979, ero pellegrino anch'io: il mio primo lavoro dopo la
laurea, vicino New York. Formidabili laboratori Bell, centro di ricerca
della (allora unica) società telefonica degli Stati Uniti, dove
nel '47 era stato inventato il transistor. Nell'82 il telefono è
stato liberalizzato e i laboratori Bell sono stati smembrati, ma quando
arrivai io ci lavoravano ventimila dipendenti, dei quali ben
cinquecento dediti alla ricerca fondamentale.
Anni per me importantissimi, l'avvio della vita professionale. Lavoravo
come un matto. Ricordavo il musical "New York, New York", e
canticchiavo fra me: se ce la faccio qui, ce la farò
dappertutto. Molti di noi abitavano in New Jersey, qualche collega
anche a Manhattan, sotto la Statua della Libertà e le Torri
Gemelle. Il mio capo era tedesco, immigrato dieci anni prima. Un
collega che mi ha insegnato molto era figlio di ebrei russi immigrati
ai primi del '900. Il direttore era indiano. Tra gli amici anche un
fricchettone tedesco coi capelli fino alle spalle; nel frattempo ha
vinto il premio Nobel per la Fisica.
Anni per me drammatici, anche. Sei mesi dopo la mia partenza, mio padre
muore in uno degli (allora frequenti) attentati delle Brigate Rosse.
Aveva rifiutato la scorta e una volta mi aveva detto: se mi rapiscono,
non dovete credere a nessuna delle cose che mi faranno dire. Era questo
il clima che mi lasciavo alle spalle in Italia: attentati e bombe sui
treni e nelle piazze. Per gli americani era qualcosa d'inconcepibile.
Solo adesso, dopo l'11 settembre, sanno che cos'è la paura.
Allora, quando tornavo dall'Italia, un amico siciliano, immigrato
trent'anni prima, mi diceva "Welcome back to civility!", per farmi
arrabbiare. Ma sapeva d'invidiarmi, e io sapevo che, prima o poi, in
Italia ci sarei tornato per sempre.
Nell'albergo dove United Airlines (causa una coincidenza persa) ci ha
sistemato a San Francisco, vediamo un signore in maglietta. Vi
campeggia la scritta "CIA - Central Intelligence Agency". Non è
uno scherzo. In America tutti sono fieri del lavoro che fanno e
indossano magliette col logo delle loro aziende, università,
musei. Dopo l'attentato alle Torri Gemelle, poi, la CIA ha lanciato
un'imponente campagna pubblica di assunzioni. I figli ridono: un agente
indossa una maglietta con su scritto "servizio segreto"? Io rido meno,
pensando a Gladio, alla guerra fredda, alla P2, a Ustica. Quante, delle
cose che si dicono, saranno vere? E se un servizio segreto non riesce a
prevenire un disastro come quello delle Torri Gemelle, a che serve?
L'università della California, dove sono già stato,
è magnifica. Una differenza col passato è la scritta
sulle cassette della posta: STOP! se la vostra lettera ha peso o
dimensioni non standard, andate all'ufficio postale. E' la grande paura
dell'antrace. Vedo anche dappertutto piú bandiere americane del
solito (ma ce n'erano già molte), e lo slogan "United we stand",
uniti possiamo resistere. Ma per il resto la vita è normale.
Tutti lavorano sorridendo, osserva mia figlia Lucia. Per i figli un
paese ordinato nel quale tutti rispettano i limiti di velocità,
si fermano allo stop, non buttano carte per terra e lavorano sodo
è una scoperta. Inutile dir loro che magari, in altre parti
dello stesso paese, c'è povertà e disordine. Del resto
anche a me, prima di scoprire certe sacche di povertà e
disperazione, l'America sembrava il paese della Cuccagna. E in parte lo
è veramente.
Il programma scientifico di questo agosto è eccezionale.
L'Istituto di Fisica Teorica è ospitato in un edificio
intitolato (da vivo!) al fondatore Walter Kohn, premio Nobel per la
Chimica 1998. Proprio con Walter Kohn, in una cena al ristorante
tailandese, parliamo delle Torri Gemelle. Gli racconto che il giorno
dopo l'attentato ho ascoltato alla Sapienza un discorso di Walter
Cronkite, figura mitica del giornalismo USA: attenti a non innescare
una caccia alle streghe! La Sapienza gli aveva attribuito la laurea
honoris causa senza immaginare che il 12 settembre 2001, giorno della
cerimonia, sarebbe stato un giorno drammaticamente speciale.
Kohn sa del discorso di Cronkite, ma, pur essendo un convinto
progressista, mi spiega subito che in quei giorni anche Bush, nel partecipare
platealmente ad una cena di Ramadan, ha tranquillizzato la
comunità islamica americana. Vorrei poter dire altrettanto sul
nostro Presidente del Consiglio, ma non riesco a ricordare alcun
episodio simile. L'autorità di Kohn nel parlare non proviene
solo dal premio Nobel. E' fuggito a 15 anni dall'Austria annessa alla
Germania con l'ultimo "Kindertransport", salvandosi cosí, unico
della sua famiglia ebrea, dai campi di sterminio. E' amico dell'unico
superstite della Rosa Bianca, che abita davanti a lui a Santa Barbara.
Negli anni '50 si è rifiutato di firmare una specie di
giuramento maccartista, proprio ai laboratori Bell. Nel 2000 è
venuto a Roma al Giubileo dei Fisici ed è stato commosso
dall'incontro col Papa.
Qualche giorno prima del mio ritorno in Italia Kohn m'invita nel suo
ufficio per parlare un po' di fisica. Mi prepara un ottimo tè
cinese. Per evitarmi un terribile caffè americano, mi spiega.
Gli dico che quel caffè mi ricorda l'America e la mia
gioventú, e adesso mi piace. E lui: vediamo se il tuo amore per
questo paese è incondizionato, che ne dici della birra
Budweiser? Incredibile, mi piace anche la Budweiser. Quello che mi
spaventa, e non mi piace, è solo la tentazione di fare da
sé, d'ignorare gli alleati e l'ONU, di puntare sulla guerra come
mezzo di soluzione delle controversie internazionali. E non mi è
mai piaciuta la pena di morte e la tendenza a calpestare, in altri
paesi, diritti che nel proprio sono sacri. Ma questo non piace neanche
a lui. E' anche indignato e preoccupato per il trattamento dei
prigionieri talebani a Guantanamo. Per lui sono ferite ai valori
piú profondi degli Stati Uniti, la cui vera forza è
l'attaccamento alla libertà e alla democrazia.
26 agosto 2002, ultimo giorno. Prendiamo un taxi per l'aeroporto alle
quattro di mattina. Chiacchiero col tassista, che ha quasi
settant'anni. Vengo a sapere che ha fatto il militare coi Marines a
Napoli. Accenno le note della marcia dei Marines e lui si commuove:
come la sai? I Marines hanno riportato la libertà e la
prosperità ai miei genitori, gli dico, e in America ho imparato
buona parte del mio mestiere. Poi gli chiedo se ha quel turno tremendo
tutti i giorni. Sí, tutti i giorni, salvo il sabato, dalle 2 di
mattina alle 2 di pomeriggio. Gli dico che da noi i turni sono al
massimo di 8 ore, e che i tassisti ruotano sui tre turni. Beati voi! mi
dice; forse anche voi avete qualcosa da insegnarci. Leggo piú o
meno lo stesso messaggio, dopo il ritorno, su un fondo di Franco
Venturini del Corriere della Sera e nella dichiarazione di Prodi sul
protocollo di Kyoto: per il bene nostro e loro, su alcune cose, noi
europei dobbiamo aiutare gli americani a cambiare rotta, da amici.
[Giovanni Bachelet]