Lo confesso, una grazia imprevista

di Giovanni B. Bachelet, in Avvenire, 20 agosto 2000 (prima pagina)

Lo confesso: guardavo alla Giornata mondiale della Gioventú con perplessità, preoccupato - come ha detto pure Serra - "dall'ostentazione oceanica, quasi muscolare, di una professione di fede che dovrebbe essere soprattutto spirituale". Non riuscivo a togliermi dalla testa, ad esempio, una frase di monsignor Capovilla (segretario di Papa Giovanni), trovata in una vecchia agendina di mio padre: il Papa dice che le adunate oceaniche servono poco all'edificazione delle anime. Erano le avvisaglie del Concilio dopo i centomila baschi verdi del '50, ricordati ieri da Miriam Mafai. In questo senso le pacate riflessioni di Magris su piazze piene e chiese vuote mi erano parse azzeccate, e alcuni dati statistici ancora piú preoccupanti: a quanto pare, anche fra quelli che in chiesa ci vengono, meno del 10% prende sul serio le (difficili) proposte cattoliche in campo familiare, fiscale, e cosí via. E' dunque piú urgente la mobilitazione o la riflessione, un'appariscente ma superficiale identità da stadio o una nuova, personale, profonda adesione al Vangelo?

Lo domandavo polemicamente ad un grande Salesiano impegnato nell'organizzazione centrale di queste giornate (che forse si sorprenderà se legge queste righe): quanto resterà nelle anime e nelle Chiese locali dopo che l'ultimo cappellino gmg avrà lasciato la Stazione Termini e l'ultimo gabinetto chimico sarà stato rimosso? Prevedevo quindi, anche data la mia età non giovanile, di passare Ferragosto al mare, godendomi l'evento in televisione, in quel mix di tenace affetto e acido mugugno che i cristiani sono capaci di riservare talora alla loro Chiesa, e i figli adolescenti ai loro genitori.

Invece un figlio e un nipote adolescenti, senza calcolare che a 15 anni non potevano avere il pass (e naturalmente senza chiedere il permesso a noi genitori), avevano deciso diversamente. Avevano invitato a Roma, a casa nostra, una decina di ragazzi (piú che altro ragazze) incontrati a Selva di Val Gardena, ad un campeggio dei gesuiti. Come scoraggiare una simile iniziativa? Cosí mi sono ritrovato a viaggiare con loro in condizioni estreme (caldo micidiale, metropolitane inverosimilmente piene, chilometri a piedi) fra via della Conciliazione, mostre Fuci-Msac sul debito internazionale, veglie scout, serate ignaziane e suore in puro stile Sister Act. Ho sostituito canottiera e braghe di tela in favore di giacca e cravatta solo per la presentazione multilingue, alla presenza di Rutelli, del vangelo di Marco interconfessionale della Società Biblica: un miracolo di ecumenismo, dono del Papa in tutti gli zainetti.

Non si doveva scoraggiare l'invasione di casa nostra, ma occorreva che avesse il senso giusto. Cosí all'ultimo momento, insieme a Paolo Giuntella (papà di un altro dei ragazzi), abbiamo lanciato un Sos alla nostra parrocchia di Cristo Re per organizzare un nostro cammino giubilare. Era - in fondo - lo stesso problema di Veronesi sul "Corriere": cercare di confessarsi pur non avendo il pass. Lo sforzo del citato intervento di Veronesi, al di là di alcune note bizzarre (è carenza ormonale o forza del domani la capacità, anche da ragazzi, di guardare avanti con tranquilla allegria e sguardo limpido?), era quello di andare al nocciolo del problema: la salvezza, il perdono, la chance di una nuova vita anche per chi cade e ricade. Quante volte si deve perdonare? Se lo domandava anche Pietro (che pure aveva rinnegato per tre volte Gesú). E il nocciolo del Vangelo e del bimillenario cristiano (quindi per noi cattolici anche del giubileo e della confessione) è che Dio ci ama come un papà, pronto a tirarci su ogni volta che inciampiamo, anche settanta volte sette. Lo slancio morale, sociale, economico notato da altri commentatori laici - l'uomo non è solo merce, l'egoismo è un peccato grave - è, come anche la morale familiare, importantissimo, ma è un corollario, una risposta a questo amore infinito.

Diversamente da Veronesi, per il nostro gruppetto il problema principale non era quello (pur importante) di evitare l'inferno. Nelle parrocchie ci hanno insegnato che riconciliarci è soprattutto fare la gioia di Dio Padre, che ci viene incontro e fa festa, come il padre misericordioso con il figliol prodigo. Ma dove trovare un prete disponibile cosí, all'ultimo momento? Vorrei dirlo al Salesiano di cui parlavo prima, preoccupato della qualità dei preti giovani. Padre Luca, dehoniano, che ha meno di trent'anni, ci ha detto di sí, a tarda notte. Quel giorno aveva confessato per un numero imprecisato di ore al Circo Massimo. La mattina dopo doveva portare in aeroporto una suora. La parrocchia ospitava molti stranieri. Alle undici, ora dell'appuntamento, è arrivato da Fiumicino fradicio di sudore, si è messo camice e stola e, fidandosi della nostra preparazione biblica casalinga basata sul libretto del giubileo, ci ha aperto una minuscola cappella e ci ha ascoltati uno per uno mentre gli altri cantavano: "Accoglierò la vita come un dono - e avrò il coraggio di morire anch'io...". Abbiamo ricevuto da lui un segno efficace dell'amore e della pazienza di Dio Padre, che ci ha abbracciato, perdonato e incoraggiato a riprendere la strada. Senza il giubileo dei giovani, forse, qualcuno di noi non avrebbe avuto quest'occasione di Grazia. Siamo usciti felici. Il resto non conta.

Giovanni Bachelet