Un anno con Prodi

di Giovanni B. Bachelet, in Appunti di Cultura e Politica, giugno 1996
 

1. Telefonata da Bologna

Un giorno di marzo del 95 la mia laureanda Antonella Malatesta, ora borsista alla Scuola Normale, viene a cercarmi nell'aula in cui faccio gli esami di Struttura della Materia, e mi dice: ha telefonato Romano Prodi, richiamalo a questo numero di Bologna fra dieci minuti. Dato il clima goliardico che vige nel mio ufficio della Sapienza, dove oltre a me si trovano democraticamente stipati tutti i miei laureandi, è quasi certo che si tratta di uno scherzo. La candidatura di Prodi è diventata di pubblico dominio solo da pochi giorni ma in proposito io ho già rotto le scatole a troppa gente: a Fisica, in parrocchia, praticamente ovunque. Non si può, però, rischiare di perdere una simile telefonata. Meglio rischiare il ridicolo e tornare in ufficio: zero, cinque, uno, eccetera. Non era uno scherzo. Comitato per l'Italia che vogliamo, vi preghiamo di attendere in linea. Sottofondo, musichetta: Guantanamera. Commozione: potrebbe essere una delle "canzoni per resistere al 94", la cassetta che qualche mese prima Paolo Giuntella mi ha confezionato (Bella ciao, We shall overcome, e perfino E' la pioggia che va dei Rokes e Dio è morto ).

2. Le origini

Al telefono Prodi mi dà solo 30 secondi per accettare la responsabilità di organizzare il suo movimento a Roma. "Non accetti? Allora goditi Berlusconi e Fini per altri 15 anni!", mi dice, e mette giú. Lí per lí mi arrabbio - dopotutto è la prima volta in vita mia che quest'uomo parla con me - ma poi la rude reazione mi aiuta a riflettere. Mi ci vogliono però ancora due settimane abbondanti per accettare, e lo faccio solo ad alcune condizioni: che non sia io l'unico responsabile, ma ci sia un collegio di coordinatori per Roma e provincia; che ne siano esclusi personaggi e gruppi che a Roma non hanno dato buona prova di sè e viceversa ne faccia parte almeno una persona di cui mi fido, che stimo e che in molti campi affini alla politica capisce piú di me: Beppe Tognon. Siccome tutte le condizioni vengono accettate, mi tocca dire di sí. Oltre a me e Tognon, lo apprendo il 10 marzo dal coordinatore nazionale Gianclaudio Bressa, ci saranno anche Luca Fiorentino (comunità Ebraica, amico di un mio amico), Roberto Della Seta (Lega Ambiente), Alberto Tripi (imprenditore e capo della Centrale del Latte, area laica, si è già impegnato per Rutelli), Anna Clemente Rosi (Caritas, l'unica con precedenti elettorali, coi Popolari; scomparirà presto perché diventerà assessore alla Provincia di Roma). In questo momento pensiamo tutti che sarà una volata di tre mesi, che si voterà a giugno e l'impresa sarà soprattutto elettorale.

3. Nasce piazza Ss. Apostoli

Nelle prime settimane, recandomi al nostro coordinamento dei Comitati per l'Italia che vogliamo di Roma e provincia (organizzato a tempi di record a Piazza Ss. Apostoli anche grazie a Tripi, che mette a disposizione gratis ambienti veramente principeschi) guardo centinaia di facce, sull'autobus e per la strada, con occhio nuovo. Poi rido di me stesso e penso ad Alberto Sordi nel "Medico della mutua" quando, dalla finestra, guardava accigliato i suoi simili che passeggiavano per strada e non avevano bisogno di lui (in quanto sani). Forse anche i miei concittadini non hanno bisogno di me: paiono indifferenti alla politica, ai pericoli di Berlusconi e Fini, alla nuova opportunità rappresentata dalla candidatura di Romano Prodi. Due milioni trecentomila elettori nella sola città di Roma. Altri ottocentomila circa nella provincia. Come raggiungerli senza le televisioni? Prodi e Bressa ci ripetono che basta riprendere il Lazio e altre due o tre regioni chiave e vinciamo le elezioni. Eh, grazie. A Roma su 32 collegi della Camera ben 30 sono in mano al Polo. Come rimonteremo una simile china? Su quali gambe cammineranno le proposte di Prodi? Come potrà partire da zero e sostenersi una rete leggera ma non troppo inefficiente? Come eviteremo che la grande speranza nata in tanti diversi ambienti si spenga in pochi mesi, o produca, come altri precedenti conati di rinnovamento, soltanto l'ennesimo, stitico partitino?

4. I Popolari si spaccano

Nel frattempo sul fronte politico e governativo ne succedono di tutti i colori. Riguardo alla candidatura Prodi l'entusiasmo, contro ogni logica, sembra inversamente proporzionale alla vicinanza politica a lui e alla dimensione dei partiti. Se D'Alema ha aderito subito e di slancio, Ripa di Meana fa pelose obiezioni di metodo e Buttiglione addirittura spacca quel che resta dei Popolari. Barbato in TV gli fa una domanda azzecatissima: se Sturzo, De Gasperi e Moro fossero vivi, preferirebbero Prodi o Berlusconi? Ma il fatto è che Buttiglione, con Sturzo De Gasperi e Moro, non ha nulla a che spartire. Meno ovvio, invece, il fatto che anche dopo la spaccatura restino nel partito popolare pro-Prodi, in posizione di rilievo nazionale e locale, alcuni artefici non secondari dell'elezione di Buttiglione. Il Ppi somiglia ai frattali: anche dopo l'ultima mutilazione il pezzo rimasto, benché piccolo, mostra la stessa complessità e le stesse tortuosità della vecchia organizzazione politica. Forse è la migliore prova che sono loro i veri eredi della Dc (tema ampiamente dibattuto nella spartizione di sedi, giornali e simboli). Ma non è detto che ciò rappresenti un elemento di forza nei tempi nuovi.

5. Elezioni regionali '95

In queste condizioni si affrontano le elezioni regionali in quasi tutt'Italia. La formula dei "nostri" somiglia alla maggioranza che dovrebbe, domani, appoggiare Prodi, ma in realtà è improvvisata in quattro e quattr'otto e gestita in larga misura dal Pds, anche perché in questa fase i Popolari sono a pezzi. Veltroni, conosciuto anni prima ad un convegno trentino, mi chiede un articolo di fondo per la vigilia delle elezioni. "E' tempo di incertezza e di sofferenza per molti elettori di centro. Le nuove regole del voto, le tristi vicende giudiziarie e il rapido e spesso inglorioso declino di partiti, formule e modi di pensare a lungo familiari hanno prodotto un grande disorientamento." Apro cosí l'articolo, scritto nella penombra della sede di piazza Ss. Apostoli mentre Tripi e Tognon mi prendono in giro come due scolaretti: non riesco a nascondere una trepidazione degna del tema di maturità. Dopo ore di sforzi chiudo scrivendo: "c'è uno stile nuovo che incoraggia a ben sperare... un'apertura verso elezioni primarie... tutti i sacrifici saranno premiati. Già da domani sarà piú vicina l'Italia che vogliamo." Azzecco l'ultima previsione: vinciamo o andiamo bene quasi dappertutto. Ma non quella sulle primarie, come vedremo fra breve.

6. Niente gamba di centro

Le Regionali rappresentano una svolta importante. Abbiamo vinto, ma il Tatarellum consente alle varie sigle di misurare la loro forza individuale. Nessun partito del centrosinistra è scomparso (è un bene) e tutti si illudono che raddoppieranno la prossima volta (questa è una scemenza). Nel Lazio e altrove i numeri parlano da soli, ma nessuno vuol rendersi conto che l'effetto coalizione, e non il successo dei singoli pezzi, è stato il fattore chiave del risultato elettorale. La vittoria, in sé molto positiva, scatena dunque dinamiche centrifughe e protagonismi che puzzano molto di vecchio. Due giorni dopo Prodi sceglie in modo definitivo di aggregare e capeggiare non l'area di centro, ma tutta la coalizione, e indica Veltroni come vice. Due mosse per me azzeccate, e cosí la pensa anche la stragrande maggioranza di quelli che incontriamo nelle nostre maratone serali con i duecento e piú comitati che continuano a proliferare a Roma. Fra i coordinatori e i comitati restano isolate nostalgie per l'Ulivo-seconda-gamba, ma ormai il nostro compito sarà promuovere tutta la coalizione: un movimento di partiti e cittadini. Un nuovo gusto per la politica dentro e fuori i partiti. Una grande discussione popolare del programma di governo per l'Italia che vogliamo. I comitati saranno il cemento della coalizione, non un nuovo partito. Si tratta di un'impostazione nuova e coraggiosa, ma non banale da mettere in pratica.

7. Decolla il coordinamento romano

Ce la mettiamo tutta. Non abbiamo il becco di un quattrino (né mai ne riceveremo dal coordinamento nazionale di Prodi) e ogni tanto qualche leader mancato tenta di "delegittimare" il nostro coordinamento, ma nel complesso le cose vanno molto bene. L'elemento di maggiore vitalità sono i Comitati: nascono e lavorano autonomamente con entusiasmo e creatività, e sono genuinamente interessati al nostro servizio di collegamento fra loro e con Prodi; il taglio a trenta aderenti per comitato, saggia regola nazionale, ha scoraggiato "riciclaggi" di vecchi rottami, cordate inesistenti, tesseramenti di defunti. Mentre a livello nazionale si tengono le prime riunioni di vertice dell'Ulivo (dove viene subito affondata l'ipotesi delle primarie, che nei comitati sono invece sognate da molti), noi convochiamo a Roma, in un'animata assemblea al teatro Vascello, i "Referenti" dei Comitati; piú della metà degli oltre 350 convenuti versa centomila lire a testa. Chi ha qualche precedente esperienza politica si meraviglia che distribuiamo fra tutti i presenti la lista di nomi e numeri di telefono dei duecento e piú referenti: queste liste sono un formidabile strumento di potere, e precedenti "rinnovatori" della politica si guardavano bene dal diffonderle.

8. La prima giornata di visibilità a Roma

Le quote versate all'assemblea danno qualche mese di respiro alla sede del nostro pur leggero coordinamento, e consentono la prima iniziativa cittadina: la giornata di visibilità dei Comitati, annunciata con due giorni di anticipo il 25 maggio mediante conferenza stampa. Il 26 maggio i quotidiani parlano di noi e dei comitati nella cronaca romana. Il 27 maggio la giornata della visibilità va bene: 100 tavolini su Roma, concerti nei parchi, clown in piazza, e chi piú ne ha piú ne metta. Ma di questo sulla cronaca romana non esce nulla. Per molti giornalisti contano a quanto pare i bla-bla di vertice e gli eventi clamorosi; il resto interessa poco. Sedicenti capi politici o pazzi che sfilano nudi in un teatro meritano piú righe di stampa che migliaia di volontari sguinzagliati per tutta la città. Pazienza. Tanto ormai quasi ogni giorno ci sono iniziative pubbliche: cene, dibattiti, vendite del libretto bianco di Prodi (sarà uno dei bestseller del 95), incontri nelle case. Molti comitati fanno sul serio, lavorano sul territorio e discutono del programma al loro interno, si moltiplicano e ci vogliono dappertutto. Scopriamo cosí l'urgenza del decentramento organizzativo: proprio perché le cose vanno benone non riusciamo piú a star dietro a tutti e a tutte le iniziative. Quelli che non fanno sul serio invece ci abbandonano e rifluiscono rapidamente in altre nicchie del sottobosco politico romano: hanno capito che dalle parti nostre c'è da lavorare sodo e "non c'è trippa pe' gatti", come si dice a Roma. Il bilancio netto è positivo: a giugno siamo piú di quattrocento comitati.

9. Il referendum sulle televisioni

Il referendum televisivo ci vede impegnati, anche se la nostra capacità di mobilitazione collettiva è ai primi passi. Voteremo sí all'abrogazione della legge Mammí, e cerchiamo di far propaganda nei limiti del possibile. La sentenza della Corte Costituzionale però è micidiale: niente par condicio televisiva proprio su un tema nel quale l'interesse in gioco è la televisione stessa. Non aiuta nemmeno lo stop-and-go parlamentare: i tentativi di accordo per evitare in extremis il referendum si rivelano una trappola della destra; nel frattempo i partiti della coalizione, a cominciare dal Pds, danno l'impressione di un certo disimpegno, creando nell'opinione pubblica una falla che non si riesce piú ad arginare negli ultimi giorni. La sera del voto sono l'ultimo ad abbandonare la sede del Comitato per il Sí, perché molti promotori piú illustri di me, appena si vede come va a finire, squagliano a tutta velocità; cosí alle tre del mattino ho l'onore di un contraddittorio a distanza con Pannella su Canale 5, e faccio queste riflessioni: il problema dell'assetto televisivo resta aperto per via delle nuove tecnologie; rispetto alle regionali Berlusconi si è aggiudicato solo una rivincita; la "bella" (cioè le elezioni politiche) la vincerà Prodi, in barba allo svantaggio mediatico. Cito le Termopili. Ai nemici molto piú numerosi che gli dicevano "Le nostre frecce copriranno il sole" Leonida aveva risposto: "Combatteremo all'ombra".

10. Prodi a Napoli e a Roma

Giugno è denso di eventi. Una settimana dopo la batosta referendaria ci ritroviamo a Napoli, con Prodi e tutti i comitati d'Italia. E' il primo incontro nazionale. Da Roma siamo venuti in molti. Mi godo il viaggio in uno dei pullman e conosco in chiave cameratesca un campione degli aderenti ai nostri comitati. Il viaggio consente un ulteriore confronto fra la genuina partecipazione di gran parte dei comitati e i trucchi (ingenui) di alcuni aspiranti leaders che, dopo aver preannunziato la partecipazione organizzata di ingenti truppe al loro seguito, arrivano da soli sui nostri pullman. Forse sono membri dei "Comitati per le Poltrone che Vogliamo" di cui parlava Prodi. Pochi giorni dopo organizziamo al Palafiera dell'Eur l'incontro di Prodi con i Comitati per l'Italia che vogliamo di Roma. E' un grande azzardo, perché il Palafiera contiene 2500 persone, noi non abbiamo soldi per i manifesti e gli avvisi vanno solo per fax e tam-tam telefonico. Poco prima dell'ora X il panico: in sala ci sono 48 persone, includendo me, Tognon (magna pars nell'organizzazione) e gli altri coordinatori. Ma alle sei e mezza, quando arrivano Prodi, Rutelli e Veltroni, la sala è stracolma e ci sono molte persone in piedi. Siamo salvi. L'incontro l'abbiamo strutturato in modo volutamente diverso dalla noiosa liturgia politica tradizionale. Ognuno di noi coordinatori fa una domanda a nome dei tanti comitati incontrati fino a quel momento e Prodi risponde; l'incontro si chiude senza slabbrature e con piena soddisfazione di tutti all'ora prevista, poco dopo le otto. Diversi responsabili dei partiti e parlamentari di Roma, che abbiamo invitato e sono in sala, si accorgono che esistiamo, e forse ammettono almeno con se stessi che ben poche componenti dell'Ulivo, a Roma, sarebbero in grado di riempire quella sala.

11. Il Tavolo Regionale

Fatto sta che, mentre continuiamo a partecipare a decine di riunioni e iniziative locali dei nostri comitati, i segretari dei partiti di Roma e del Lazio ci invitano ad incontri bilaterali, poi invitano qualcuno di noi ai loro congressi, e infine propongono di istituire un Tavolo Regionale. Nel nostro coordinamento i piú maligni dicono che in questo tavolo c'è puzza di candidature. Cerchiamo però di partire dal metodo: l'incontro popolare, di base, fra le componenti dell'Ulivo, e l'approfondimento dei temi programmatici. Non abbiamo avuto da Prodi alcun mandato riguardo alle candidature. Alcuni ci prendono sul serio; altri meno, e cominciano a mandare al Tavolo Regionale rappresentanti di seconda e terza fila, che cambiano da una volta all'altra. Comunque un cammino è cominciato. Visto che gli interlocutori pensano alle candidature, ipotizziamo a titolo sperimentale, almeno per alcuni collegi, "eventi pubblici" capaci di coinvolgere i cittadini nella scelta dei candidati (tema molto caro ai nostri comitati, arrabbiati per le candidature dell'ultima volta). Trasmettiamo l'auspicio di Prodi: anticipo e trasparenza nella discussione delle candidature, ruolo preminente dei partiti in questo processo. Dispiace dirlo, ma retrospettivamente questo auspicio di Prodi sarà del tutto disatteso, salvo che per l'ultima parte. La nostra partecipazione a questi incontri coi partiti è poi messa sotto tiro nella seconda assemblea dei referenti dei comitati, a luglio: secondo il modello organizzativo proposto da Prodi e Bressa non avremmo una funzione di direzione politica, ma solo di coordinamento. Quelli che obbiettano - non molti - sotto sotto pensano anche loro che ci stiamo attrezzando per ottenere un seggio sicuro. Pazienza. Arriviamo ai primi di agosto, quando Prodi, col vertice nazionale, nomina i sette esperti che stileranno la prima bozza del programma. Questa verrà poi discussa secondo un percorso ben preciso, che prevede assemblee popolari in ogni collegio elettorale.

12. Dopo l'estate

A fine estate scoppia Affittopoli e a D'Alema passa la voglia di votare in autunno. A quell'epoca sono invitato ad un incontro dei comitati in un'altra regione. La collocazione dell'evento in appendice ad una festa dell'Unità non mi entusiasma: secondo me per portare alla coalizione energie nuove occorre essere e sembrare capaci di far da sé. Verifico che per giunta la partecipazione a questa iniziativa targata comitati Prodi è veramente modesta. Nelle settimane successive toccherò con mano in altre occasioni che il fenomeno dei comitati è purtroppo a macchia di leopardo: le cose vanno veramente bene solo in alcune regioni. Il fatto è comprensibile: da un lato non si possono azzeccare tutti i coordinatori al primo colpo, dall'altro al momento della nomina da parte di Prodi e Bressa alcuni si aspettavano un breve lavoro di supporto seguito forse da una loro candidatura alle elezioni, e non prevedevano di lavorare sul serio per un lungo periodo senza garanzie per il loro destino politico personale. Cerco di stimolare i Grandi Capi a fare una verifica a tappeto e cambiare i coordinatori che non ci sanno fare, oppure promuovere uno statuto del movimento basato su adesioni personali ed eleggere tutti gli organi del movimento. Al momento infatti aderiscono non persone ma comitati, e i coordinatori interloquiscono solo con i "Referenti" dei comitati. Le adesioni personali consentirebbero anche una base stabile di finanziamento e un riassetto del coordinamento nazionale, che appare ormai debole a fronte dei tempi lunghi che forse abbiamo davanti e della crescita numerica tumultuosa. Ma da questo orecchio Prodi, Bressa e Parisi non ci sentono. Forse Parisi non vuole dare l'impressione di voler fondare un partito. Forse a Prodi importa poco di noi (ricorre, fra comitati e coordinatori, la sindrome dei "sedotti e abbandonati") e punta prioritariamente ai vertici dei partiti. Forse Bressa si è fiondato troppo presto al "Tavolo Nazionale" e avrebbe fatto meglio ad occuparsi a tempo pieno del movimento.

13. I convegni di settembre e il programma

Anche se l'assetto dei comitati resta invariato i quattro grandi convegni nazionali di settembre vanno molto bene: ampia, vivace, intelligente partecipazione e grande interesse al programma di governo che Prodi e i suoi esperti vanno costruendo, in vista delle assemblee popolari annunciate ai primi d'agosto. A Roma abbiamo già avviato la ripartizione territoriale dei comitati secondo il collegio elettorale della Camera; dopo i convegni vanno a ruba le bozze di Zamagni su "Risorse umane", che provocano moltissimi consensi e infuocate discussioni. Coi nostri comitati puntiamo a completare la riorganizzazione territoriale e a promuovere, internamente e poi in pubblico, la presentazione e discussione del programma. Intanto il vertice nazionale mette a punto le regole per le assemblee, ed emergono grosse resistenze: ora i partiti si rendono conto che le assemblee del programma (delle quali Prodi ha chiaramente parlato all'inizio di agosto) si faranno davvero e, specialmente Popolari e Verdi, pongono infinite difficoltà. Si tratta di discutere emendamenti ed eleggere delegati per l'assemblea nazionale che ha il compito di licenziare in forma finale il programma della coalizione, ed è comunque composta per l'altra metà da membri di diritto espressi dai partiti e dalle amministrazioni locali. Nonostante queste garanzie i partiti ritengono folkoristico il discorso sugli emendamenti e la discussione popolare (che invece appassiona i nostri comitati), e temono come la peste il meccanismo elettorale, nel quale intravvedono prove tecniche di primarie. Tanto faranno che riusciranno quasi a svuotare questa parte del progetto di Prodi.

14. Scarponi chiodati e inciucio

Per fortuna gran parte del programma è buono già in partenza e l'enorme sforzo profuso per preparare e gestire queste assemblee serve comunque a cementare alla base la coalizione, a creare una nuova cultura del programma e ad avvicinare le posizioni dell'eterogeneo, anche se entusiasta popolo dell'Ulivo. Siamo arrivati all'inverno ma come ha detto Prodi mettiamo gli scarponi chiodati e andiamo avanti. Tutti gli jettatori che pronosticavano un crollo della candidatura Prodi sui tempi lunghi si sono sbagliati, anche se proprio in queste settimane, nel cuore dell'inverno, dovremo resistere all'attacco piú insidioso. Ma intanto ai primi di dicembre Prodi e Veltroni presentano prima il simbolo e poi il programma dell'Ulivo a Piazza Ss. Apostoli (modestamente la nostra sede è diventata anche sede delle riunioni dell'Ulivo nazionale e delle conferenze stampa) e comincia per noi un immenso lavoro per preparare coi partiti della coalizione le assemblee del programma. Su nostra spinta i partiti si organizzano finalmente su base di collegio elettorale della Camera e ovunque si innesca un processo che fa perno, per lo piú, sul "coordinamento di collegio" dei nostri comitati. Fra dicembre e gennaio si tengono a Roma piú di cento eventi pubblici sul territorio per presentare il programma e fare la campagna di adesioni all'Ulivo in vista delle assemblee. Ho ancora in tasca la tesserina verde e penso che molti l'abbiano conservata. In questo stesso periodo le elezioni sembrano imminenti: grazie, per cosí dire, a Rifondazione Comunista, Dini ha assicurato che si dimetterà a fine anno. Oltre al già enorme lavoro per le assemblee stiamo pure svolgendo un'inchiesta, grazie all'iniziativa di Maria Giordano (che fa parte del nostro coordinamento dall'estate), ad amici delle agenzie Pragma e BB&B e a molti volontari dei comitati che fanno centinaia e centinaia di telefonate. L'inchiesta si rivelerà utile al momento di votare. Ma si voterà davvero? Sotto Natale aleggia un'aria strana e ai primi dell'anno salterà fuori, del tutto a sorpresa, il cosiddetto inciucio. Non ne scrivo perché è cosa nota, ma è una delle poche occasioni in cui Prodi fa il muso duro ed esprime, almeno da quel che vedo in molte assemblee pubbliche originariamente previste per il lavoro programmatico, il sentimento non solo dei comitati ma di gran parte della sconcertata base della coalizione. E' l'unica fase in cui i Popolari e gli altri della coalizione fanno corpo con Prodi, mentre D'Alema va per conto suo e Veltroni, palesemente imbarazzato, tace in sette lingue. Ma dura poco, perché Fini vuole votare e fa saltare tutto.

15. Arrivano le elezioni

Si vota! ma abbiamo perso un bel mesetto nel quale il lavoro di preparazione delle assemblee si è arenato e l'opinione pubblica si è notevolmente disorientata. Ora le assemblee riprendono assumendo inevitabilmente un ruolo soprattutto elettorale, e l'assemblea nazionale sarà una (bellissima) kermesse che però non avrà nulla a che fare con l'approvazione del programma, ciò che speravano fin dall'inizio molti partiti della coalizione. Al frenetico lavoro delle assemblee - a Roma ne facciamo una in ciascuno dei 32 collegi della Camera - si accavalla la grande corsa alle candidature, complicata dall'arrivo in extremis di Dini che, se risulta a posteriori una carta vincente, provoca però un terremoto dalle parti del centro e una mossa finale secondo me quasi obbligata di Prodi: la sua presentazione nelle liste proporzionali dei Popolari e Democratici, non facile da ricollegare a tutta la strategia precedente. I nostalgici della gamba di centro dicono ora: ve l'avevo detto io! ma per me non è ovvio neppure adesso che avessero ragione loro. Mentre lavoro alle assemblee, Beppe Tognon partecipa con Bressa alle trattative dei partiti sulle candidature. Tutto congiura contro di loro: i tempi stretti, le configurazioni elettorali delle liste proporzionali, il fatto che Prodi dopo averceli mandati si tenga prudentemente fuori dalla mischia. Quello che dispiace di piú, almeno a me, non è che tanti buoni candidati che i comitati avrebbero potuto esprimere restino fuori, ma piuttosto che non ci sia stato né l'anticipo né la trasparenza auspicati all'inizio da Prodi, e che neppure alcuni veti preventivi a candidati che i nostri comitati (ma anche la base dei partiti) da mesi segnalavano come improponibili abbiano avuto alcun effetto. I nostri due ce l'hanno messa tutta. Era meglio non andare proprio a quel tavolo? Forse date le condizioni non era possibile fare diversamente. Comunque ormai siamo in guerra.

16. La mia candidatura

Esprimo comunque, sia pure timidamente, le mie perplessità all'assemblea nazionale dell'Ulivo a Milano. Sento "insinuarsi la paura di non riuscire a cambiare abbastanza nemmeno se vinciamo, la paura che il libretto Governare l'Italia e il nostro programma vengano rapidamente annacquati. Su tutte le delusioni e tutte le paure viene però in soccorso una preghiera di Tommaso Moro, che diceva: O Signore, dammi la forza di cambiare quel che si può cambiare, dammi la forza di accettare quel che non si può cambiare, e dammi l'intelligenza di capire la differenza." Nello stesso intervento annuncio la mia candidatura al collegio 24 della Camera di Roma, contro Fini. L'ho voluta io, ed essendo per l'Ulivo uno dei due peggiori collegi della città non ho avuto alcuna difficoltà. Ho anche accettato di candidarmi al proporzionale a Roma e in Abruzzo coi Popolari, come Prodi, pur sapendo che le probabilità di essere ripescato con quel sistema lí sono modestissime. D'altra parte ho già speso piú di un anno in un mestiere che non era il mio (senza lasciare il mio), e non sono certo che la politica sia la mia vocazione. Se anche in queste condizioni vengo eletto, sarà proprio un segno del Cielo che devo continuare con la politica; altrimenti avrò solo contribuito a raggiungere il risultato per il quale ho detto sí un anno fa: fermare Fini e Berlusconi e portare Prodi alla Presidenza del Consiglio.

17. Campagna elettorale

La campagna elettorale è un'esperienza straordinaria, non solo per la fatica ma soprattutto per l'enorme aiuto umano e finanziario che arriva spontaneamente da ogni parte, per l'incontro con migliaia di elettori e per i risultati raggiunti. Il nostro ufficio elettorale, organizzato in una sede ceduta dal Partito Repubblicano, diventa una specie di bunker popolato da centinaia di volontari di tutte le età e di tutte le provenienze, dal quale partono continuamente nuove operazioni di propaganda. I partiti e i cittadini collaborano entusiasticamente, e raramente ci si ricorda delle rispettive provenienze. Localmente è un piccolo esperimento dell'Ulivo che avevo sognato. In Abruzzo l'entusiasmo non è da meno. Pur sapendo che è quasi impossibile, combattiamo come se dovessimo vincere: nessuno si risparmia. Da parte mia la scelta del collegio di Fini ha anche lo scopo di impostare una grande battaglia simbolica, che abbia risonanza sui media nazionali e scuota qualche pensosa o pelosa equidistanza. Anche questo riesce perfettamente. Giornali e TV locali e nazionali mi danno un bel po' di spazio, e nei dibattiti televisivi mi diverto e, dicono, me la cavo bene anche se non ho esperienza. Gran finale nel faccia a faccia con Taradash alla Tribuna Elettorale nazionale: benché in contemporanea ad un faccia a faccia D'Alema-Fini, è salutato da centinaia di telefonate e lettere che mi arrivano da tutta Italia.

18. Unità politica dei cattolici?

Una nota particolare merita la posizione della Chiesa. Quando ne capitava l'occasione ho sempre sottolineato che nella vera tradizione popolare e cattolico-democratica (da Sturzo a De Gasperi, da Moro a mio padre) l'impegno politico nasce dalla scelta del metodo democratico e di un programma economico e sociale, non dalla trasposizione in politica dell'unità di fede dei cattolici; e che da trent'anni questa è la linea ufficiale della Chiesa, come si legge nella Gaudium et Spes. Ottima quindi la riconferma al convegno ecclesiale di Palermo del 95; singolare il fatto che, dopo aver digerito di tutto durante la lunga era post-conciliare, questa quasi ovvia equidistanza sia enfatizzata proprio la prima volta che un consistente gruppo di cattolici, fra cui lo stesso leader, optano per uno schieramento decisamente progressista. Ma tant'è! Meglio tardi che mai. La mia percezione soggettiva è però diversa, anzi opposta. Malgrado un rigoroso rispetto della distinzione degli ambiti - ho vietato il volantinaggio davanti alle chiese - dalle mie parti c'è aria di Valle di Giosafatte, di Grande Ritorno, di Nuovo Diciotto Aprile: dal mondo parrocchiale e associativo spuntano a ondate attivisti ed entusiastici elettori da tempo persi di vista o notoriamente fautori delle piú varie opzioni politiche. Stavolta, per la prima volta dopo molti anni, votano e si impegnano di nuovo, tutti, sotto un unico simbolo: l'Ulivo. Situazione simile in Abruzzo, ma lí, siccome mi presento sotto il simbolo dei Popolari, in qualche zona i giovani impegnati nell'associazionismo cattolico mi mandano a dire che mi vorrebbero tanto votare, ma purtroppo la situazione locale di quel partito crea loro problemi di coscienza. Naturalmente cerco di convincerli, ma fra me e me penso: è sensato continuare a riconoscere nel gruppo di sigle che ancora si rifanno esplicitamente all'ispirazione cristiana il cuore dell'elettorato cattolico italiano?

19. Risultati elettorali

L'Ulivo ha vinto! Certo, io sono stato trombato, ma non sonoramente, anzi. Ho preso, in voti assoluti, piú di Rutelli, piú di Badaloni e piú della somma di Popolari e Pds dell'ultima volta. Ma dovrei dire abbiamo preso, perché nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza la generosità e l'impegno straordinario di centinaia di cittadini di tutte le età che per un mese hanno sacrificato quanto me ogni aspetto della vita ordinaria per combattere una grande battaglia ideale. I risultati del mio collegio sono stati analizzati in dettaglio da Abacus sul Corriere della Sera del 18 maggio, perché si tratta del collegio in cui l'Ulivo ha spostato piú voti in tutta Roma. Rispetto alle politiche 94 mi ha votato il 98,7% dei progressisti, il 96,3% dei centristi e il 46,4% dei pannelliani; abbiamo perfino strappato il 2% degli elettori a Fini. Non c'è proprio da lamentarsi. Sempre nel collegio 24 di Roma, al proporzionale, i Popolari sono andati molto meglio che nel resto della città. In Abruzzo infine il risultato è stato superiore alla media nazionale, ma (come già sapevo) le piccole dimensioni della Regione e il cosiddetto scorporo, grazie alla geniale intuizione del Mattarellum, puniscono anziché premiare la coalizione che vince. E l'Ulivo ha vinto! E' questo l'importante. Per il mio risultato personale basta la preghiera di Baden-Powell, fondatore degli Scout, che avevo fatto segretamente mia fin dall'inizio della campagna elettorale: Signore, se non devo vincere, fa' che io sappia perdere con stile. Ci siamo basati solo sui soldi offerti dagli amici e sui volontari. Senza rifiutare nessun invito al colloquio non abbiamo mai, per scelta, cercato di coinvolgere parrocchie o associazioni ecclesiali in quanto tali. Abbiamo ignorato le chimere del sottobosco politico romano. E malgrado ciò abbiamo potuto fare una costosissima campagna elettorale e abbiamo preso un sacco di voti. Del nostro coordinamento romano, oltre a me, era candidato Tognon (ma in Lombardia). Anche lui non è stato eletto. Bressa stesso ce l'ha fatta per un pelo. Ma nella provincia di Roma l'Ulivo ha conquistato 21 collegi della Camera su 32. Forse non ci verrà mai riconosciuto alcun merito, ma è per questo che abbiamo lavorato, e ci basta.

20. Telefonata da Roma

La mia non-elezione decide con ogni probabilità, tranne che per il tentativo di avviare le tante energie buone sprigionate in un anno di Comitati Prodi e in campagna elettorale verso uno sbocco utile, la fine del mio "servizio civile" in politica. Tutti mi dicono di continuare e Prodi stesso accenna subito alla possibilità che io continui a dargli una mano da vicino, ma non mi lascio tentare. Che qualcuno di noi sia valorizzato e vada avanti con la politica è sacrosanto, ma in questo momento non fa per me. E stavolta non mi sento un disertore: mi pare anzi che il valore e l'autenticità di tante energie venute dalla società civile si misuri anche sulla capacità di fare un servizio e poi farsi da parte, senza diventare professionisti della politica. Il giorno in cui sento alla radio Prodi che elenca i ministri sono raggiante. Alcuni sono migliori e altri meno, ne mancano alcuni che mi sarebbero piaciuti, e poi ci saranno enormi difficoltà col debito, con le forze sociali, col Parlamento. Ma questa è l'ordinarietà della politica, alla quale (per ora?) il Paese ritorna. Missione compiuta, dunque! Anche molti di noi possono tornare alla vita ordinaria, fino al giorno in cui il loro servizio potrà essere di nuovo utile alla politica. Non è questa una libertà quasi ideale? Mentre simili pensieri mi attraversano la mente, mi sorprende una telefonata: le passo il Professor Prodi, anzi, le passo il Presidente del Consiglio. Niente Guantanamera, stavolta. "Grazie Giovanni, grazie di tutto." Un ciclo si chiude. Abbiamo veramente vinto.