Impegno cristiano e scelte politiche

di Giovanni B. Bachelet, in Avvenire, 5 aprile 1996 (ultima pagina)

"A nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorita' della Chiesa". E' stato forse questo chiarissimo imperativo, contenuto al n. 43 della Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (il trentennale è stato da poco celebrato dal Papa), a trattenere i molti cattolici dell'Ulivo - da Prodi stesso a Bianco, da Bianchi a Monticone, da Lombardi a Cananzi - dall'intervenire in modo entusiastico e pronto sulle tante autorevoli sollecitazioni arrivate in questi giorni: le dieci parole chiare per il futuro dell'Italia, i requisiti dei candidati secondo Mons. Tettamanzi, le dichiarazioni del Papa sul mercato e sul lavoro, e, da ultimo, gli undici punti della Conferenza Episcopale Italiana e l'impegnativo identikit del candidato tracciato ieri dal Papa, davanti a un gruppo di parlamentari francesi. Infatti un intervento pronto ed entusiastico, fatto in campagna elettorale da un'imponente schiera di ex presidenti nazionali delle principali associazioni cattoliche e altri illustri esponenti del mondo cristiano candidati nell'Ulivo, sarebbe stato, al di là delle migliori intenzioni, vistosamente strumentale.

Per molti di noi - per me, oggi candidato nell'Ulivo - la Chiesa non è un serbatoio di voti da coltivare in campagna elettorale, ma la casa in cui da sempre viviamo e la famiglia che amiamo: una casa e una famiglia radicate nel Dio vivente, che dureranno infinitamente di piú della prossima legislatura. Questo non vuol dire che siamo indifferenti ai messaggi che i Pastori, in una difficile transizione del nostro Paese, ritengono di dover dare anche in tempo di elezioni. Anzi la scelta di impegnarci oggi, per tanti di noi che politica non l'avevano fatta mai, è strettamente legata alla nostra ispirazione cristiana, al ripetuto invito dei Vescovi a non stare a guardare, ma invece partecipare alla trasformazione del Paese in un momento di svolta, ricco di speranze e di pericoli. L'autenticità di questa ispirazione, però, non si misura col numero di dichiarazioni in tempo di propaganda. "Essere cristiani nel campo della politica - diceva Alcide De Gasperi - non significa menar vanto di privilegi nei confronti di altri; significa invece nutrire un'attenzione speciale nei confronti della giustizia sociale e del destino dei deboli e dei diseredati, lasciando che l'eloquenza dei fatti e della vita tradisca l'ispirazione profonda che ci muove".

Per fare un esempio ovvio, chiunque di noi sente l'appello alla solidarietà (fra aree geografiche, fra corpi sociali, fra generazioni) e l'appello ad una comunità nazionale unita e al tempo stesso aperta all'accoglienza e al dialogo tra culture diverse come un richiamo ad altrettanti punti del nostro programma, impostato in prima persona dagli economisti cattolici Prodi e Zamagni. Gli stessi appelli evocano anche, per contrasto, i motivi per cosí dire negativi che ci hanno portato ad un impegno politico in molti casi inedito: la ferma volontà che alle prossime elezioni non si affermi nuovamente una politica basata sull'esasperazione dei contrasti fra Nord e Sud, fra magistrati e politici, fra commercianti e lavoratori dipendenti, fra giornalisti amici e nemici, fra abitanti di periferie disagiate e nomadi; il dovere di fare qualcosa affinché non si attenti mai piú ai diritti delle generazioni anziane, con le quali le giovani generazioni del nostro Paese hanno un enorme debito di gratitudine, ma si punti invece ad un sostenibile sistema di previdenza; la garanzia che antiche conquiste sindacali a tutela della vita, della donna e della famiglia, quale il diritto alla maternità, non vengano neanche per scherzo messe in discussione. Mi sono limitato, come dicevo, ad un esempio facile. Ma anche pace, Europa, lavoro, autonomie, ambiente, parità scolastica, insomma tutti i punti proposti dai Vescovi e dai giornali cattolici trovano eco nel nostro programma e non fanno che confermare la nostra ferma volontà di far vincere l'Ulivo, ricostruire l'Italia che vogliamo e fermare l'Italia che non vogliamo. La stessa lotta all'evasione fiscale - che al n. 30 della Gaudium et Spes era il primo esempio di un'inaccettabile etica individualistica - ci trova delusi per il passato e combattivi per il futuro.

Dunque chi è cattolico deve votare Ulivo? Farebbe comodo affermarlo, ma come dicevo all'inizio non è possibile e non è nel nostro stile. Su queste stesse colonne, alla vigilia del referendum sul divorzio, mio padre - che nell'articolo illustrava le sue ragioni contro il divorzio - scrisse pacatamente che il "Gott mit uns" elettorale non andava bene né da una parte né dall'altra. Fedeli a questo stile maritainiano e montiniano, a questa difficile capacità di "distinguere per non separare" la fede dall'impegno politico, dobbiamo anche oggi, a maggior ragione, tendere la mano ai veri cattolici che oggi in coscienza optano per lo schieramento avversario. Dobbiamo confrontarci lealmente con loro e con tutti sul terreno dei programmi, nella certezza che lo stimolo degli alti messaggi della Chiesa gioverà alla chiarezza, alla coerenza e ad una piú meditata scelta. Grazie ai Vescovi tutti gli Italiani presteranno maggior attenzione alle dichiarazioni e ai programmi, ma anche e soprattutto alle realizzazioni, ai fatti, agli stili di vita.