La lezione attuale di Vittorio Bachelet

di Giovanni B. Bachelet, pubblicato su Avvenire, 1 ottobre 1993

Vent'anni fa si chiudeva la II Assemblea dell'Azione Cattolica Italiana, e mio padre lasciava, dopo nove anni, la Presidenza. Quel giorno c'ero anch'io. Ascoltai il discorso di mio padre con molta attenzione, e vidi da vicino il mondo per il quale aveva speso, col cruciale sostegno di mia madre, un pezzo importante di vita. Per lui era doloroso lasciare un mondo tanto amato; proprio per questo e' rimasta in me memoria incancellabile delle motivazioni che, nonostante affettuosi incoraggiamenti dal basso e dall'alto, rendevano a suo avviso improponibile un ulteriore triennio da Presidente.

A distanza di tempo continuo a scoprire amici che in quelle settimane avevano parlato con lui dei motivi di questo abbandono, e ne avevano tratto, come me, una lezione efficacissima, capace di orientare, molto piu' tardi, scelte di vita importanti. Modestia e vera fede nella Divina Provvidenza - siamo tutti utili ma nessuno e', ne' deve diventare, indispensabile o insostituibile; fiducia sincera e non strumentale nei metodi democratici di autogoverno e avvicendamento; avvertenza acuta dei gravi pericoli insiti nella personalizzazione e nella professionalizzazione delle cariche associative e dei movimenti ecclesiali. Lasciare era insomma obbligatorio: la testimonianza di alcuni valori cardine del rinnovamento che l'Azione Cattolica Italiana, su mandato di due Papi, aveva coraggiosamente realizzato.

Fu infatti fortemente voluto, prima da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI, il nuovo cammino dell'Azione Cattolica Italiana: l'abbandono di forme vistose ma sempre piu' spiritualmente zoppicanti e ormai incapaci di reggere all'urto e alle sfide dei tempi nuovi, la liberazione da zavorre improprie e orpelli inutili, il ritorno al compito proprio di educazione o rieducazione alla fede, alla liturgia, alla responsabile partecipazione da adulti cristiani alla vita della Chiesa e del Paese, anche a costo di un doloroso e non certo desiderato ridimensionamento numerico e finanziario. Fu loro il mandato a collaborare al rinnovamento del Concilio scrivendo, con l'aiuto di Dio, una pagina del giornale dell'anima del proprio Paese, anche a costo di sparire per qualche tempo dalle prime pagine dei notiziari, catturabili solo dalle grandi manifestazioni di massa (che pero', ricordava Giovanni XXIII a monsignor Capovilla, non servono a formare le anime dei giovani).

Nei nove anni dal '64 al '73 tutte le cariche erano diventate elettive e non piu' di diretta ed esclusiva emanazione gerarchica; era stato discusso e approvato il nuovo Statuto, con la riorganizzazione dell'intera associazione e la creazione di nuove articolazioni, come l'Azione Cattolica Ragazzi, che oggi in molte realta' locali e' risorsa insostituibile dell'animazione ecclesiale; era stata rimessa a posto con fatica la situazione finanziaria; erano stati recisi i cortocircuiti con la politica: non per disinteresse verso di essa, ma al contrario nella convinzione che anch'essa, tornata al compito proprio, dovesse autonomamente ed urgentemente rinnovarsi, anche con l'apporto di cristiani adulti e responsabili.

Erano gli anni del Concilio. Gli anni del centro-sinistra di Moro, del '68 studentesco e del '69 operaio, delle prime bombe, del divorzio; della Cecoslovacchia, dei colonnelli greci, della guerra dei sei giorni, del Vietnam, di Bob Kennedy e Martin Luther King. Anni bellissimi e difficilissimi, che insieme a Don Costa mio padre inauguro' "nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo" a 38 anni, e concluse a 47 anni, nel '73, richiamando, insieme ad un ricco e sereno panorama spirituale e organizzativo, due spine pungenti del tempo, due dolori del mondo che interpellavano i cristiani: il dramma dell'aborto e la tragedia del Cile, precipitato con violenza nella dittatura proprio in quel settembre. Adesso, vent'anni dopo, ripenso ai bilanci e a questo grido d'allarme. La Chiesa Italiana, anche grazie all'Azione Cattolica, si e' fortemente rinnovata, ed ha posto nuove, solidissime radici fra la gente: molto diversamente da Francia, Germania, Austria, Belgio, Olanda, dove, passando ogni tanto per ragioni di lavoro, trovo purtroppo chiese vuote o piene solo di persone anziane. Molte dittature - in Cile, ma anche altrove, dove sembravano perenni - sono cadute, ma purtroppo altre dittaure, altre violenze, altre follie razziste e secessioniste sono alle porte. Fra tanti rivolgimenti il nostro Paese ha per ora avuto il privilegio di mantenere sempre, pagando alti prezzi e in mezzo a paurose contraddizioni, il bene prezioso della democrazia e della pace, anche grazie all'impegno politico e sociale dei cattolici.

Ma l'aborto e' restato nodo ovunque drammatico, che non si scioglie ed anzi sembra per ora aggrovigliarsi ed aggravarsi sempre piu' nelle statistiche, nelle coscienze e nelle leggi. Sotto quest'ultimo profilo i cattolici sono sempre stati praticamente soli e minoritari: non hanno purtroppo mai avuto, ne' certo hanno adesso, i numeri per far vincere una legislazione veramente umana verso la vita, la donna e la famiglia, ne' in Italia ne' nel resto del mondo. A volte - come negli USA dove ho lavorato un paio d'anni, proprio al tempo della prima campagna elettorale di Reagan - i cattolici sono stati attratti dalla destra conservatrice con promesse di impegno verso la famiglia e la vita: ma dopo piu' di un decennio hanno dovuto tristemente toccare con mano che ai conservatori importava tanto quanto ai "liberals" - cioe' niente - di questi fondamentali diritti umani. Altre frontiere, altri fronti si sono intanto aperti, altre sfide esaltanti e difficili, altre minacce gravi per i disoccupati e per gli immigrati, per i vecchi e per i malati; minacce, forse, per la stessa democrazia (che, insegnava mio padre, non e' mai conquistata una volta per tutte), se non si trovera' il modo efficace e non velleitario di rilanciare le economie e rifondare, anzitutto nelle coscienze, un nuovo senso del dovere e un nuovo slancio di solidarieta' fra persone e fra popoli, cominciando dalle regioni d'Italia e d'Europa.

Che fare? Puntare alle battaglie sociali e politiche in cui i cattolici non sono soli, raggiungere insieme ad altri i numeri che consentano una democratica affermazione, evitare che la svolta politica ed economica da tutti voluta sia ancora una volta forte coi deboli e debole coi forti? Oppure, confidando nella tenuta della democrazia e dell'unita' del Paese, formare un piccolo ed agguerrito gruppo politico che pero', cosciente di non avere per lungo tempo i numeri per vincere, si disponga ad una pura testimonianza parlamentare, ad una lunga intransigente opposizione? Quale che sia la scelta dei cattolici variamente impegnati nella politica e nell'attivita' culturale e sociale, sembrerebbe comunque utile tener presente cio' che, sulla scia di Maritain, ripetevano Don Costa e mio padre: "distinguere per non separare". Dev'essere, questo, un concetto un po' ostico e difficile, se a trent'anni dall'elezione di Paolo VI il nostro Papa Giovanni Paolo II ha sentito il bisogno, il 28 luglio di quest'anno, di ribadirlo con chiarezza ai sacerdoti: e' bene per tutti che luoghi e momenti della Fede, della formazione cristiana e della Chiesa in quanto tale restino ben distinti da luoghi e momenti della politica propriamente detta, che e' necessaria ed importantissima, ma sempre ambigua, "quasi inevitabilmente di parte", esposta a vittorie e cadute che non dovrebbero mai coinvolgere la Chiesa in quanto tale, perche' essa ha un compito molto piu' universale, duraturo ed importante.

A volte, pensando a certe discussioni notturne con mio padre negli anni della contestazione o del terrorismo, mi chiedo con grande curiosita' che cosa direbbe, oggi, sui recenti, tumultuosi sviluppi del mondo e del nostro Paese, decisamente imprevedibili non solo venti, ma anche dieci anni fa. Allora immagino un sorriso sornione di fronte alle odierne gatte da pelare di Rosy Bindi o Dino Boffo, di Mario Agnes o Leopoldo Elia o Angelo Bertani, che (insieme a tanti, tanti altri) a quella II Assemblea c'erano, e oggi sono a vario titolo in prima linea nelle diverse e ben distinte responsabilita' della vita ecclesiale e civile. Un sorriso sornione seguito, magari, da una considerazione seria, e cioe' che tutti, non solo chi ha responsabilita' centrali, siamo in prima linea: anche Antonio Amore che adesso e' Parroco, anche Sitia Sassudelli che ora lavora con i sacerdoti del Padre Venturini, anche Mario Casella che tiene viva nella ricerca e nella memoria la storia di quegli anni veramente irripetibili. Si', siamo in prima linea perfino noi che per ora riusciamo si' e no a studiare, a lavorare, a crescere i bambini, ad animare una Messa domenicale; noi che, cercando di restare uniti a Cristo e alla Sua Chiesa, vorremmo solo, nella nostra vita ordinaria, fare meglio che si puo' la nostra professione, ed essere capaci di un po' di preghiera, studio, azione, e sacrificio . Siamo sempre, tutti in prima linea, come Rosario Livatino, come Paolo Borsellino, come Don Puglisi che ci hanno preceduto nel segno della Fede, e dormono il sonno della pace: perche' non e' tanto nel comandare, quanto nel dare la vita - a pochi tocca in forma improvvisa e clamorosa, a molti in modo quotidiano e silenzioso - che si contribuisce a cambiare il mondo.

E quest'ultima cosa mio padre la disse davvero, proprio nel suo discorso di addio, vent'anni fa: "l'amore alla vita, la difesa del diritto alla vita, l'accoglienza della vita debbono ispirare la legislazione e il costume, i rapporti di convivenza familiare, civile, internazionale. Ma non si vince l'egoismo mostruoso che stronca la vita se non con un supplemento d'amore, se non contrapponendo la capacita' di dare la vita per il sostegno e la difesa degli inermi, degli innocenti, di chi vive in una insostenibile situazione di ingiustizia. Non si vince questo nostro egoismo se non riscoprendo il valore di ogni uomo perche' figlio del Padre che da' la vita."