Onoriamo Borsellino con le piccole riforme della nostra vita

di Giovanni B. Bachelet, in Avvenire, 26 luglio 1992 (articolo di fondo)

Quante persone dovranno ancora morire, perche' siano in troppi a morire? Questa incerta traduzione italiana di "Blowing in the wind" si accompagna nella mia memoria a mille veglie giovanili in parrocchia: per i Kennedy, per Luther Ling, per la Cecoslovacchia invasa, per il Cile rovinato nella dittatura, per Aldo Moro e la sua scorta. Ha anche accompagnato i miei pensieri, nel lungo volo di ritorno dagli Stati Uniti, dodici anni fa, appena saputo della morte di mio padre. E se le sue note sono purtroppo sempre di attualità in qualche parte del mondo, esse colpiscono con più forza il cuore quando si tratta di casa nostra. Qui viene spontanea la riflessione: si ricomincia a morire ammazzati per strada. Vedrai che ora rifanno leggi d'emergenza di dubbia efficacia. Vedrai che fra dieci anni, quando tutto sarà finito, ci ritroveremo qualche capo mafioso che firma articoli su "Avvenire 7" (come Renato Curcio nel 1991) o qualche altro che domina il prime time televisivo coccolato da giornalisti, politici e studiosi (come Adriano Sofri nel 1992).

Gli stessi che invocano oggi a gran voce restrizioni, crudeltà e la stessa (insensata) pena di morte, invocheranno poi domani una "soluzione politica" per rimediare ai veri o presunti guasti dell'emergenza. Invece i pochi poveretti che avranno servito lo Stato, la patria comune (con fatti e non con chiacchiere, schiamazzi, furberie) resteranno sottoterra. Pazienza per le folle volubili; pazienza per i furbi e i sobillatori di piazza. Pare che ce ne fossero anche duemila anni fa, se dalla domenica delle Palme si è potuto raggiungere in soli cinque giorni il venerdì della crocifissione. Come cristiani poi, e la testimonianza di Borsellino e della sua famiglia è un altissimo esempio e un incoraggiamento di cui far tesoro, non dovremmo avere mai nel successo e nelle vittorie di questo mondo la misura ultima del nostro destino di felicità e di gloria.

Ma come italiani? Vale, è valsa, varrà ancora la pena di vivere e se necessario morire per l'Italia? Lavorare magari sedici ore al giorno, in alcuni casi rischiare la pelle, mentre altri rappresentanti delo stesso Stato si incontrano in un garage per scambiarsi valigette colme di bigliettoni? E mentre in contemporanea qualche arzillo senatore sputa in Parlamento sulla stessa bandiera per la quale altri dovrebbero morire? Anche con il cuore straziato, anche con la mente colma di lugubri presagi balcanici, anche con le cifre del deficit alla mano, dobbiamo avere la forza di resistere, la forza di non dire "e' tutto finito". La disperazione è autentica, sincera. Ma come ci ha insegnato il dottor Caponnetto, la disperazione deve durare un solo istante. Poi bisogna ricominciare a vivere, lavorare, sperare.

Per quelli che operano in Parlamento e che non sono stati ancora contagiati ne' dalla corruzione ne' da un pessimismo definitivo, il primo dovere è a mio avviso un'efficace riforma istituzionale, perche' tutto - dalla fiacchezza delle manovre economiche possibili, alla scarsa responsabilizzazione degli enti locali, alle infoltrazioni malavitose nella pubblica amministrazione e nei partiti - suggerisce che senza sciogliere questo nodo la situazione non può che peggiorare ulteriormente.

Ma per la maggior parte di noi, non impegnati in politica, si tratta solo di riprendere a denti stretti il dovere quotidiano, spesso grigio e raramente eroico. Raramente? Ripensandoci, non saprei. In fondo non concordo con chi sostiene che il 95% degli italiani è onesto e perbene, con chi trasferisce le colpe e i mali su "Palazzo", sul "regime", sui "partiti". La scarsa attenzione per il merito in favore del principio d'anzianità o peggio in favore della spintarella ; qualche forma di evasione fiscale; un malinteso solidarismo che copre inefficienze colpevoli e assenteismi di massa; il rifiuto di assumersi responsabilità, di bocciare, di essere impopolari; l'organizzazione in lobbies e corporazioni piccole e grandi... Queste sono purtroppo caratteristiche, direi corpose metastasi, ben presenti e diffuse in tutto il corpo della cosiddetta società civile. Senza ridurre l'urgenza e l'importanza delle grandi riforme, facciamo, perciò, anche qualche piccola riforma della nostra vita. Se ci costerà sacrificio, se richiederà un pò di coraggio civico, allora sarà un modo più efficace di tante parole per vendicare Borsellino e quanti lo hanno preceduto.

nota: L'allusione è al sen. Miglio che, subito dopo l'attentato a Borsellino, dichiarò in Parlamento che l'unica soluzione era la secessione: che la Sicilia risolvesse da se' i suoi problemi.