Cristianesimo, politica e legalità in Italia
Giovanni Bachelet, intervento al convegno dei Cristiano Sociali, Roma 20
gennaio 1996
Grazie per l'invito. Non credevo di dover aprire il dibattito, e mi
limito a tre spunti legati all'interessante relazione del Prof. Garelli
e al convegno di Palermo.
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Primo spunto: cristiani in Italia. Molto prima di Palermo leggevo su Avvenire
alcuni risultati delle ricerche del Prof. Garelli: quasi il 90% degli Italiani
ama definirsi cattolico e può considerarsi tale sotto alcuni profili,
ma sotto altri profili non meno significativi (come le scelte quotidiane
di fronte alla vita, alla famiglia, al matrimonio) solo una percentuale
molto piccola dei praticanti condivide e cerca di realizzare le direttive
dei Vescovi e del Papa al riguardo. Giacché i praticanti sono fra
il 10 e il 20% degli Italiani, si deduce che - quando sono in gioco valori
e comportamenti che implicano sacrificio e autonomia rispetto ai messaggi
dominanti della società - la Chiesa convince qualcosa come due o
tre italiani ogni mille. Mio commento: non me ne rallegro affatto, e solidarizzo
con quel due o tre per mille, ritenendo fra l'altro molti di questi difficili
richiami della Chiesa profetici e rivoluzionari. Se però questa
è la situazione e queste sono le proporzioni, l'urgenza principale
sembrerebbe quella di rinsaldare i fondamenti stessi della Fede e della
vita cristiana: è davvero improbabile intervenire efficacemente
sulla società e sulle leggi prima di aver riconquistato con amore
e intelligenza almeno il grosso della propria comunità, specie quella
giovanile. Tale urgenza interpella genitori, educatori e preti, ma rappresenta
anche un utile campanello d'allarme per chi s'interroga sulla politica,
giacché in democrazia non basta aver ragione, bisogna anche farsela
dare dal 51% degli elettori.
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Secondo spunto: cristiani e politica. La definitiva e pubblica presa d'atto
della fine della cosiddetta unità politica dei cattolici non ha,
secondo molti, introdotto novità rilevanti rispetto al Concilio,
del quale la scelta religiosa dell'Azione Cattolica negli anni '60 e '70
fu solo fedele attuazione: "E' di grande importanza, soprattutto in una
società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti
tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara
distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono
in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le
azioni che essi compiono in nome della Chiesa, in comunione con i loro
pastori. La Chiesa, che in ragione del suo ufficio e della sua competenza
in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è
legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia
del carattere trascendente della persona." (Gaudium et Spes, n.76). Si
può aggiungere che, prima del Concilio, nella tradizione dei democratici
cristiani si ritrovavano già le radici di questa stessa impostazione.
Nel gennaio-febbraio 1945, in un foglio clandestino, si leggeva ad esempio:
"...Non intendiamo compromettere con la nostra azione politica l'autorità
e la missione della Chiesa, che devono esplicarsi a favore di tutti gli
uomini qualunque siano le loro idee; inoltre al nostro partito, che è
indipendente dall'autorità ecclesiastica e dall'Azione Cattolica,
possono aderire tutti coloro, credenti o non, praticanti piú o meno,
i quali accettano il suo programma sociale..." (da "La DC per la libertà",
SPES 1975, 30º della liberazione) Ancora piú indietro nel tempo,
Don Sturzo scriveva a un amico: "Vi sono state molte ragioni storiche,
dalla rivoluzione francese ad oggi, per cui il pensiero prevalente fra
i cattolici è stato antimoderno. Tu lo sai bene; ma tu sai anche
che non si può essere antistorici senza privarsi dell'influsso salutare
che viene dal vivere nella storia; la Chiesa non può mai essere
antistorica; la Chiesa ha la virtú di corrispondere ai bisogni di
tutti i popoli di tutte le latitudini di tutte le epoche di tutte le civiltà.
Ecco perché non deve, la Chiesa, essere legata a nessuna forma politica,
a nessuna forma mentale, a nessuna cultura umana; ma al contrario essa
dovrà impregnare tutto di spirito cristiano, che è spirito
di carità e di libertà..." (lettera a Giovanni, 20 febbraio
1930). Come mai la Chiesa Italiana ci riflette di nuovo anche a Palermo,
a 60 anni da Don Sturzo, a 50 anni dalla liberazione, a 30 anni dal Concilio?
Forse quella che per alcuni era da sempre una chiara scelta di valore,
per altri è stata solo una realistica riflessione dettata da eventi
ormai irreversibili. In altre parole il cammino del Concilio conosce per
ciascuno tempi e modi diversi, ma alla fine arriva a tutti: questo "grande
evento ecclesiale, che con il vento dello Spirito ha impresso un poderoso
impulso alla barca della Chiesa, continua ancora oggi a sospingerla nel
vasto mare della storia", ha detto il Papa di recente nel 30º anniversario
della sua conclusione. Il Concilio ha avviato una grande, profonda ma lenta
conversione; su tempi lunghi, come una grande piena, finisce per raggiungere
e conquistare tutti i cuori, magari dopo flussi e riflussi che in certi
momenti sembrano addirittura privi di una precisa direzione. Qualche residua
difficoltà a digerire la nuova situazione è forse testimoniata
dal fatto che a parlare di politica, a Palermo, siano stati curiosamente
messi a confronto soltanto opinionisti non cristiani, anziché affidare
la riflessione a due cristiani che se la sarebbero cavata ottimamente:
Romano Prodi e Rocco Buttiglione.
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Terzo ed ultimo spunto: cristiani e legalità. Il pensiero, soprattutto
a Palermo, è andato ai tanti eroi della lotta alla criminalità
organizzata, spesso cristiani: Piersanti Mattarella, Rosario Livatino,
Paolo Borsellino, don Puglisi e tanti altri. Ma nonostante questi esempi
la mia impressione è che non sia ancora sufficientemente forte e
diffuso, fra noi cattolici, quel senso dello Stato sollecitato a Palermo
con poca grazia da Galli della Loggia. In queste condizioni anche la generosità
nel fare (volontariato etc.) rischia di riproporre per il futuro cortocircuiti
pericolosi: radicalismo politico (non importa se su temi sociali, ambientali
o "tipicamente cattolici"), che in nome dell'impossibile perfezione fa
fallire i pochi passi avanti possibili nelle condizioni reali della società;
o, al contrario, qualunquismo, abbinato a volte ad un inquinante rapporto
utilitaristico con la politica (quanti ricordano le merendine del Sindaco
di Roma Giubilo, che provocarono un inascoltato appello del Card. Poletti
alla fine degli anni 80? e di recente il sindaco di Napoli Bassolino, pur
impegnato in un proficuo rapporto col volontariato, denunciava alcune "bufale"
che anche in questo campo nascono col solo scopo di ottenere risorse).
Ricordo che nell'estate del '92, dopo le prime inchieste sulle tangenti
del pool di Milano, un esponente della Tavola Valdese, intervistato durante
l'incontro annuale a Torre Pellice, dichiarò che la sua Chiesa non
doveva alzare l'indice per una facile condanna, ma semmai riflettere sui
propri peccati di omissione: non aver abbastanza educato alla legalità
e al senso dello Stato, non aver notato o peggio non aver voluto denunciare
con forza un peccato cosí grave e cosí diffuso nella società.
Se diceva cosí una Chiesa di estrema minoranza (che poteva facilmente
ribaltare su altri tutte le colpe), cosa dovremmo dire noi? Nelle nostre
parrocchie, nelle nostre associazioni, nei nostri movimenti, nei nostri
seminari, insistiamo abbastanza sul fatto che esistono il bene e il male,
e che "a fin di bene" si muovono invece uomini e gruppi che presto diventano
cinici e disonesti nella politica e nel lavoro? Spieghiamo mai che il modo
principale di essere buoni cristiani è essere onesti, far bene il
proprio lavoro e pagare le tasse, e che ogni generoso impegno volontario
(associativo, politico, solidaristico) ha valore e senso solo dopo aver
assolto a questi elementari doveri di ogni cittadino? Ecco, se oltre che
nei santi e negli eroi crescesse fra tutti i cattolici italiani una diffusa
coscienza dei propri doveri "normali" (eppure cosí difficili) verso
la società e verso lo Stato, forse anche il contributo al rinnovamento
della politica italiana, al di là degli schieramenti, sarebbe piú
duraturo ed efficace, e tanti "martiri laici" non sarebbero morti invano.
[Giovanni B. Bachelet]