Archiviare l'Ulivo dopo averlo spremuto?

Giovanni Bachelet, Festa dell'Unità di Fidenza, 10 luglio 1996

Ringrazio gli amici del PDS che hanno dedicato una serata della festa dell'Unità a questo tema, e ai Comitati per l'Italia che vogliamo che mi hanno coinvolto. Mi scuso in anticipo con tutti i presenti se, come già è avvenuto qualche settimana fa a Pisa, ad una serata organizzata dai Popolari, andrò a ruota libera e non farò troppi complimenti.

Del resto ho sempre detto quel che pensavo senza troppi complimenti: nell'anno di lavoro con Prodi e i Comitati, nella recente campagna elettorale, fino al mio consiglio di Facoltà che voleva approvare l'altroieri una mozione miope e corporativa contro il nuovo disegno di legge del ministro Berlinguer - votata, ahimé, anche da molti colleghi di sinistra. Non vedo perché non dire quel che penso anche qui, fra amici.

Abbiamo condiviso una grande, indimenticabile battaglia. Abbiamo dato all'Italia una nuova prospettiva democratica che due anni fa non era nemmeno pensabile. Qual è stato il ruolo dei Comitati? Abbiamo dato o restituito il gusto della politica a gruppi e persone che ne erano lontani, e abbiamo fornito occasioni d'incontro e di rilancio alle forze politiche tradizionali. Abbiamo inaugurato un nuovo stile, consono alla legge elettorale maggioritaria che gli Italiani a larga maggioranza hanno scelto coi referendum del '91 e del '93: l'incontro e la confluenza di culture ed esperienze diverse e fino a poco fa lontane nella costruzione di un programma comune di governo.

Per quel che mi riguarda personalmente, dopo un simile lavoro politico (per me del tutto inedito e durato un anno - cioè molto piú del previsto) ho chiesto e ottenuto di sfidare Fini nel peggior collegio di Roma. Nonostante l'ottimo risultato non ho conquistato il seggio. Spero però di aver dato un contributo efficace alla battaglia nazionale dell'Ulivo, e di aver confermato con un esempio concreto che l'enorme lavoro fatto dai Comitati per l'Italia che vogliamo non aveva il fine di consentire a qualche outsider una rapida scalata al Parlamento, ma rispondeva solo al compito che Prodi ci aveva affidato: far nascere e vincere l'Ulivo.

Questo stile ha rappresentato un'importante novità, e forse è stata un fattore decisivo rispetto a precedenti, non sempre fortunati tentativi di rinnovamento della politica ai quali personalmente non ho partecipato (referendum vari, Patto Segni, Rete, Sinistra dei Club, Alleanza Democratica). La scelta di mettere in secondo piano non solo le ambizioni personali di tanti nuovi arrivati della politica, ma anche l'ambizione legittima (però difficile da trasmettere ai gruppi dirigenti dei partiti) di una certa qualità e novità delle candidature nella maggior parte dei cosiddetti collegi buoni, non è stata insomma né una nobile scelta di pochi né una fregatura elettorale accettata a malincuore, all'ultimo momento, ma una serena scelta politica collettiva, soppesata con Prodi, basata su una valutazione realistica delle forze in campo, ispirata a profonda coscienza dei pericoli e delle priorità.

Sperando di non farla troppo lunga mi concedo una digressione biblica. Tutti sapete che una volta si presentarono al Re Salomone due donne che dicevano di essere madri dello stesso bambino. Il Re Salomone, chiamato a fare da giudice, propose di tagliare il bimbo in due e darne metà a ciascuna delle due presunte madri. Una accettò. L'altra si oppose: "Se questo è il prezzo - disse - voglio che il bambino resti vivo. Non importa se mi verrà tolto". Da questo Salomone capí qual era la vera madre.

Nel mio paragone il figlio è, naturalmente, l'Ulivo. Molti di quelli che come me hanno fatto attività politica solo in quest'ultimo anno e mezzo, a cominciare da Prodi stesso, avevano tre obbiettivi: (1) fermare Fini e Berlusconi, (2) contribuire alla nascita di un nuovo schieramento democratico capace non solo di vincere le elezioni ma anche di esprimere un governo stabile all'altezza dei problemi del Paese, e (3) rinnovare e semplificare la democrazia e le forme di partecipazione politica in Italia, verso una compiuta democrazia dell'alternanza, piú vicina ai cittadini.

Il terzo punto, posso dirlo dopo aver girato come una trottola per piú di dodici mesi fra militanti politici vecchi e nuovi, fra partiti e comitati, non è una fissazione di Prodi o di pochi intellettuali cervellotici. Rinnovare e semplificare la democrazia e la partecipazione risponde invece ad un'aspirazione diffusa tanto nei nuovi movimenti che nella base dei partiti tradizionali; risponde alla sensazione che ciò che divide le diverse componenti della coalizione sia meno importante di ciò che unisce, e che l'arcobaleno di sigle che formalmente compone la coalizione sia un'eredità del nostro passato proporzionale piú che un elemento d'identificazione e di forza per il futuro; un'eredità cara - per motivi comprensibili e rispettabili - ai vari gruppi dirigenti dei partiti, ma sostanzialmente superata nella sensibilità comune, specie per quanto riguarda le formazioni piú piccole.

Che c'entra Salomone? C'entra perché l'Ulivo poteva essere anche questo. Poteva essere un modo nuovo di fare le candidature coinvolgendo i cittadini e la dimensione unitaria, anziché un discorso di quote gestito dal solito vertice nazionale dei soliti partiti e partitini (alcuni dei quali, ormai, francamente inesistenti su gran parte del territorio). Prodi e i comitati l'avevano inizialmente sperato, trovando consensi e suscitando speranze anche fra molti militanti di partito, non meno costernati di noi, a cose fatte, per le candidature che si sono ritrovati sul groppone. L'Ulivo poteva, inoltre, essere qualcosa di piú di un'alleanza elettorale: poteva rappresentare la traccia di un cammino comune di rinnovamento e graduale integrazione dei partiti democratici, rispetto al quale la vittoria elettorale era solo la prima tappa. Anche questo era (ed è tuttora, credo) nella speranza di molti, dentro e fuori i partiti. Ma i gruppi dirigenti dei partiti della coalizione, che erano e sono ingrediente primario ed essenziale di questo processo, non erano - e, mi pare, non sono - disposti a spingersi cosí avanti.

Accettare questo significato riduttivo dell'esperienza e dell'avventura dell'Ulivo (via via sempre piú chiaro man mano che si avvicinava il momento delle candidature) e giocarla lo stesso con grande entusiasmo e generosità è il punto comune alla storia di Salomone. Prodi e noi dei comitati avevamo a cuore il destino del Paese non meno degli altri, e ci erano ben chiare le priorità e le gravi responsabilità di una sconfitta elettorale. Meglio, dunque, combattere a testa bassa e, senza velleità, fornire quel piccolo o grande aiuto della società civile necessario a vincere: meglio questo, che non impuntarsi su rinnovamenti impossibili o creare nuovi partitini. Questo secondo me somiglia a ciò che fece la vera madre nella storia di Salomone.

Ovviamente il paragone è imperfetto: nonostante rinunce dolorosissime l'Ulivo è ancora in mano a Prodi e Veltroni, e il suo futuro si gioca anche e innanzitutto sulla capacità del Governo di rimettere a posto i conti pubblici e rilanciare l'occupazione senza devastare le già difficili condizioni delle categorie piú deboli. Ma nonostante il clima culturale di questi nuovi tempi della politica italiana non dobbiamo dimenticare che siamo pur sempre in una Repubblica Parlamentare: data la composizione del nuovo Parlamento, strettamente legata alla scelta delle candidature appena descritta, vediamo già dalle prime avvisaglie che gran parte del gioco è in mano alle segreterie dei partiti. Ormai tocca soprattutto a loro accennare anche solo vagamente ad un cammino unitario e innovativo, o riproporre invece, pari pari, l'immagine opaca e stantia dei governi di coalizione, dei pentapartiti alla rovescia. Tocca a loro, alle loro segreterie, ai loro congressi archiviare o invece valorizzare e sfruttare l'esperienza di base dell'Ulivo (e quindi anche i nostri comitati). Sta a loro proseguire o archiviare l'avventura nuova e promettente di quest'anno appena concluso con un successo elettorale.

Del resto tutto il poco o il tanto che i Comitati hanno fatto in quest'anno davvero straordinario è stato possibile anche e soprattutto grazie al coinvolgimento, alla simpatia e all'incoraggiamento da parte dei partiti della coalizione di centro sinistra. Se questo viene a mancare, è difficile immaginare contributi utili da parte dei comitati. Forse, ormai che abbiamo fatto da apripista nella società, il nostro lavoro non serve piú. Forse, ma non ci giurerei. L'impressione di molti è che le difficoltà obbiettive e le ambiziose mete programmatiche di questo nuovo governo - nel quale la sinistra, tutta la sinistra italiana è messa alla prova per la prima volta nella storia - avrebbero ancora molto bisogno di un grande consenso attivo e partecipe dei cittadini, al di là dei confini dei partiti tradizionali.

Per questo la proposta di Prodi - formare dopo l'estate un'associazione democratica aperta tanto ai militanti e agli iscritti dei partiti quanto ai cittadini non impegnati in nessuna formazione (come me, per esempio), cioè un "Movimento per l'Ulivo" capace di consolidare nella società questa nuova esperienza unitaria - potrebbe rappresentare un complemento utile all'azione dei singoli partiti, ed è stata accolta con favore da militanti e coordinatori dei vecchi Comitati Prodi.

Personalmente però non ho intenzione di continuare a fare qualcosa a tutti i costi. Il traguardo che tutti insieme, partiti e cittadini, abbiamo raggiunto, mi sembra già molto. Se ai partiti, una volta vinte le elezioni, non interessa piú questo piccolo aiuto supplementare dalla società civile; se nessuno ritiene possibile e utile andare avanti sulla strada dell'Ulivo, può anche darsi che abbiano ragione loro. E comunque, se anche avessero torto, è ben difficile dare un contributo proficuo contro la loro volontà. Dopotutto è stato già bellissimo partecipare con successo ad una svolta difficile e importante della storia del nostro Paese. A molti questo basta. La differenza fra il professionismo politico e la tanto declamata società civile dovrebbe essere proprio la libertà di tornare in qualsiasi momento alla propria professione; la certezza che si contribuisce in modo decisivo ad un Paese normale anche con la serietà e la dedizione al proprio lavoro e alla propria vita familiare e sociale; la generosa e tranquilla disponibilità a dare una mano, anche nella politica, quando ci sarà di nuovo bisogno di noi.

[Giovanni Bachelet]