La stella che non si spegne

Giovanni Bachelet, Segnosette,settimanale dell'Azione Cattolica Italiana, anno 14, n.46/47 (15-22/12/96), pag.3

Da due settimane alla messa delle 10 di Cristo Re bambini e famiglie sono piú soli. Manca una barba, un sorriso luminoso, un parrocchiano fedele che fa la fila alla comunione cantando con vigore, in certe date anche piangendo; manca uno dei pochi nonni capaci di ritmare i canti piú belli battendo per primo le mani con entusiasmo senza essere né sentirsi ridicolo, anzi ispirando in tutti un rispetto quasi sacrale unito al desiderio irresistibile di trovarsi dalle sue parti al momento del saluto di pace. Un mito. Un nonno che ancora pochi giorni fa, felice come una Pasqua alla Cresima del suo primo nipote Osea, festeggiando, riusciva in pochi minuti a spiegarmi alcuni aspetti inediti del ritorno degli ebrei spagnoli dalla Germania di Hitler alla Spagna di Franco; poi, chiacchierando di Bottai (colpe sí, ma lui almeno non si era imboscato e la guerra l'aveva fatta, contrariamente a tutti gli altri gerarchi) e senza tralasciare Curcio e Sofri, prendeva di petto un certo revisionismo storico a buon mercato che ogni tanto serpeggia. Storico e testimone, non si sottraeva agli inviti a parlare, in chiave scientifica ma anche esistenziale, della guerra e dei lager, e non tollerava imbrogli culturali e morali.

In poco piú di ottant'anni ne aveva viste di tutti i colori, il Professor Giuntella, ma anche perché si buttava sempre in prima linea: guerra, deportazione e due anni di lager, poi le speranze del dopoguerra e della Costituente, poi le delusioni, e poi ancora speranze - il Concilio, gli anni sessanta in Italia, nel mondo e nella Chiesa; poi il piú terribile dolore, la morte dell'amatissima moglie Maria Loreta, e poi altre delusioni e altri dolori, amici ammazzati, sogni infranti. Ma anche immense gioie, nella famiglia e fuori; anche abbondanti frutti di bene; anche seme abbondante sparso nelle zolle del mondo, rivoltate dall'aratro di una storia tumultuosa: storia tragica, ma anche - ce lo ricorderebbe lui - da studiare, da capire e da amare perché ricca di luce nascosta.

Conservava infatti, malgré tout, la capacità di entusiasmo di un ventenne. Grande entusiasmo privato e pubblico (e anche aiuto materiale) perfino per la mia recentissima campagna elettorale nel quartiere! Entusiasmo nel partecipare ai raduni nazionali degli Alpini; entusiasmo nell'essere vicino, e fiero della sua vicinanza spirituale ma anche intellettuale e culturale ai Rom [Autentico: una zingara del nostro quartiere mi ha fermato piangendo a calde lagrime per chiedermi dov'è la tomba di Giuntella e per lamentarsi di non aver saputo in tempo del funerale]. Entusiasmo nell'ecumenismo e nell'incontro delle chiese cristiane; entusiasmo nel cogliere e cercare di valorizzare e far crescere tutti i germi di bene della storia e della vita quotidiana. E quando c'era qualcosa di cui entusiasmarsi ne dava visibili segni, come alla Cresima di Osea pochi giorni fa, quando il Vescovo aveva detto: "Ragazzi, nessuno di noi è sostituto di Gesú, nemmeno io, nemmeno il Papa. Siamo tutti uguali, tutti cristiani cresimati, tutti confermati nella fede, tutti aiutanti di Gesú, solo le mansioni sono diverse". Grazie a questo entusiasmo oltre che Professore Universitario restava anche, in modo permanente, Fucino, Alpino, Rom, Protestante, Ebreo. Un mito. Un uomo straordinario.

Forse il professor Giuntella - cosí continuavamo a chiamarlo in molti, benché ci invitasse ogni volta a dargli del tu - si accorgeva dell'alone di leggenda che lo circondava. Ma lo neutralizzava col suo formidabile umorismo. Con gusto rievocava un suo vecchio pellegrinaggio con l'Opera Nomadi, quando un sacerdote, scambiandolo per un collega (forse per la barba bianca, l'aspetto ieratico e la grande preparazione biblica), gli aveva chiesto di concelebrare con lui l'Eucaristia e di dargli una mano per le confessioni: mi dispiaceva deluderlo dicendogli che ho quattro figli - ricordava - gli ho detto allora che fuori della mia Diocesi non avevo il permesso.

Raccontato centinaia di volte anche il finale comico di una autentica giornata di guerriglia urbana negli anni '70. Uscendo di casa a via Monte Zebio il professor Giuntella trova sul marciapiede, in un lago di sangue, un democristiano appena "gambizzato" dai terroristi. Gli prende subito le mani nelle sue mani (come doveva aver fatto con bontà e incrollabile fede a chissà quanti feriti e moribondi in guerra o durante la prigionia del lager), e guardandolo negli occhi gli dice piano piano "Dio è buono, se lo ricordi, Dio è buono". Dopo un po' il democristiano replica: "Si', va bene, ma lei ha chiamato un'ambulanza?". Quante risate dopo questo racconto.

In quegli anni '70 si tiravano molotov e bombe sui treni; le BR, ai primordi, si limitavano a sparare alle gambe. Ma non c'erano solo violenti o futuri terroristi a volere un mondo piú nuovo: nella Cripta di Cristo Re c'era una messa con le chitarre, e a via Monte Zebio, davanti a casa Giuntella, c'era una panchina, che, insieme al giardinetto circostante, fungeva da sede per il gruppo Thomas Merton, poi diventato gruppo Giuseppe Donati e poi circolo Francesco Luigi Ferrari. L'altra sede era casa Giuntella a Roma oppure - meglio - a Capranica, dove il Professore assisteva discretamente, da lontano, ma con insopprimibile soddisfazione e fierezza (anche perché il principale animatore era suo figlio Paolo) a nottate di studio e discussioni animate su Maritain e Mounier, su Sturzo De Gasperi e Dossetti, sui documenti del Concilio, sui cattolici anticonformisti degli anni '30, su Moro e Zac, su Tocqueville e sui documenti di Paolo VI, sui teologi sudamericani e su Küng (amichevolmente ribattezzato Küng Köng dal relatore Eugenio Gaiotti).

La notte a Roma eravamo spesso alla panchina, e il Professore, passando, ci diceva: ragazzi, andate a letto, il mondo non lo cambierete mica tutto stanotte! Eppure gli piaceva questo clima carbonaro, questo clima da gruppettari segretamente morotei; dopotutto era anche da lui, attraverso Paolo, che ci arrivavano le dritte migliori sui libri da leggere, da Dietrich Bonhoeffer a Martin Luther King. E proprio le parole di Martin Luther King per l'ideale cristiano - una mente robusta e un cuore tenero - sintetizzano perfettamente la percezione che molti di noi hanno avuto del Professor Giuntella, e spiegano la nostra grande nostalgia di oggi.

Un'altra stella si spegne, un altro padre se ne va. Gli faremmo però un grave torto se ci crogiolassimo nel rimpianto, se continuassimo a domandarci "a che punto è la notte?" senza credere nel domani, se fingessimo di non sapere che quando l'ultima stella si spegne resta, ad annunciare l'alba, l'unico astro del quale nessuno è sostituto: Gesú, il figlio di Dio, la fulgida stella del nostro mattino. Gli faremmo torto perché dimostreremmo di non avere né l'amore e la speranza che mantengono vivi e giovani anche a ottant'anni, né la sua fede incrollabile, concreta e realistica nella risurrezione dei morti e nella comunione dei santi: la fede di chi si trattiene a stento dal dire ai suoi amici molto malati o molto vecchi "se andate in cielo prima di me, salutatemi Loreta".