Guai a normalizzare la magistratura

di Giovanni B. Bachelet, in La Stampa, 8 agosto 1995 (pubblicato come lettera)

Negli anni del terrorismo, quando mio padre era vicepresidente, il Consiglio Superiore della Magistratura suggerì un provvedimento che poi il Parlamento fece proprio, cioe' il processo per direttissima per detenzione e porto abusivo di armi nel caso di flagranza del reato. Mentre i missini di allora aizzavano le folle verso la pena di morte e i radicali lanciavano lo slogan "ne' con lo Stato ne' con le BR", questa semplice idea consentì di celebrare in tempi brevi i procedimenti penali per detenzione d'armi, separandoli dagli interminabili maxiprocessi associativi; ed evitò così che molti terroristi, colpevoli di gravissimi reati comuni, uscissero dal carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Fin da quei tempi la pubblica opinione ha oscillato fra l'indignazione per i criminali che escono di galera da un lato, e, dall'altro, per alcuni drammatici episodi giudiziari nei quali appare con evidenza l'anomalia di una lunghissima, inaccettabile custodia preventiva. I media e la discussione politica e parlamentare hanno per lo più seguito anziche' guidare queste (comprensibili) ondate di opinione; e così, a seconda dell'emergenza prevalente, la custodia cautelare si è ristretta e allargata come un organetto, senza che mai si ponesse mano in modo efficace alla vera emergenza civile che c'e' alla base, e cioe' l'eccessiva lunghezza dei procedimenti penali.

Ad una recente commemorazione di mio padre il giudice Almerighi raccontava come possa capitare che, fra un appello e l'altro, i boss di un grosso traffico di droga abbiano tutto il tempo di dileguarsi con il malloppo, mentre i piccoli gregari, i poveracci, siano gli unici a scontare per tutti. Sentendo questo ripensavo al detenuto comune morto di grave malattia nel carcere di Napoli negli stessi giorni della scarcerazione per motivi di salute dell'ex ministro De Lorenzo; e riflettevo tristemente che da noi le ondate di sdegno, dalla custodia cautelare alla condizione di vita nel carcere, partono sempre per detenuti in qualche modo legati alla politica, dai terroristi degli anni di piombo fino agli odierni indagati per tangenti o per mafia. Saranno proprio onde spontanee? ma forse è inevitabile che i tanti poveracci interessino meno dei pochi eccellenti, e bisogna rallegrarsi che la tematica, ogni tanto, riceva attenzione.

Almeno due problemi contribuiscono alla spropositata lunghezza dei processi: la carenza d'organico e di strumenti della magistratura, aggravata dalla difficoltà a dislocare efficacemente le risorse di cui già dispone, e l'articolazione del processo in tre gradi (di cui il terzo, la Cassazione, appare non di rado come un nuovo giudizio di merito). Quest'ultimo aspetto, insieme al principio di presunzione d'innocenza fino al giudizio definitivo, fa sì che spesso l'unica pena effettivamente scontata dai colpevoli sia quella preventiva. Alcuni confronti europei fanno riflettere: le risorse dedicate dal nostro Paese all'amministrazione della giustizia sono inferiori alla media; solo il Portogallo ha tre gradi di giudizio come noi; in vari paesi di antica democrazia la presunzione d'innocenza vale solo fino al giudizio di primo grado.

Al di là di ingegnosi interventi congiunturali e pensosi commenti sui singoli casi, parrebbe in conclusione molto utile, alla vigilia (o antivigilia) del confronto elettorale, portare allo scoperto il cuore del problema: quale intervento sistematico prevedono i due schieramenti per ridurre drasticamente, nell'arco di una o due legislature, la durata dei processi? Vogliamo potenziare la magistratura affinche' le isole di eccellenza che finora tirano la carretta per tutti - analogamente a quanto accade nel mondo dell'Università e praticamente in tutto il pubblico impiego - abbiano più mezzi, e la selezione, promozione e mobilità del personale, pur regolate dall'autogoverno, siano concepite in modo imprenditoriale, per rispondere in tempo reale alle domande di giustizia del Paese? Mentre faceva il suo normale dovere - indagare sui singoli reati - la magistratura si è imbattuta nel terrorismo, nella corruzione, nella mafia, e a caro prezzo ha tirato dritto senza guardare in faccia a nessuno. Vogliamo dare la sveglia a tante sacche di inefficienza o mettere in difficoltà le procure che hanno lavorato bene?

Dalle risposte a queste domande potremo capire più chiaramente se davvero, come dice Panebianco, l'affermazione di Prodi sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura sia una banalità condivisa da tutti, o se invece si tratti di un punto qualificante del suo programma, contrapposto alla politica tenacemente perseguita -finora senza successo - da vari protagonisti degli ultimi quindici anni: delegittimare la magistratura, per poi porre i pubblici ministeri sotto l'autorità del governo e abolire l'obbligatorietà dell'azione penale. Anche fra i sostenitori di quest'ultimo programma di "normalizzazione" della magistratura ci sono naturalmente persone in ottima fede: lo considerano il toccasana per una giustizia più efficace e ritengono inessenziale il fatto che esso fosse uno dei cardini del "piano di rinascita" della loggia P2. Nessuno vuol fare pagelle dei buoni e dei cattivi, inutili e dannose almeno quanto i polveroni e i vaniloqui sensazionalistici; molti però, al momento di votare, vorrebbero avere di fronte una chiara alternativa di programma.