Mino, sono ancora troppi i rami secchi

di Giovanni B. Bachelet, in Avvenire, 7 febbraio 1993 (prima pagina)

Una mattina a Roma. Anziché puntare all'ufficio mi avvio verso la Camilluccia, dove sta per cominciare una riunione Dc in preparazione della conferenza nazionale "Cultura e Politica", a cui sono stato gentilmente invitato. E' la prima riunione organizzata dalla Dc a cui mi reco dal 1976; forse questa partecipazione sarà il mio unico, piccolo contributo al rinnovamento di Martinazzoli. Sono in anticipo e penso ad un possibile, breve intervento. Dal prendere la parola mi tratterrebbe il pericolo di entrare nella schiera dei vampiri, descritta con umorismo e cattiveria dal settimanale liberale "L'Opinione" nei giorni scorsi. D'altronde anche partecipare senza prendere la parola può prestarsi ad equivoci, visto che per ora -purtroppo- non ho aderito alla Dc.

Perché purtroppo? In fondo il non aderire al nuovo manifesto Dc, nel mio caso, equivale solo a dire che nei prossimi mesi -così come peraltro è avvenuto dal 1976 ad oggi- non mi impegnerò nemmeno marginalmente in politica. Non è certo la fine del mondo; anzi è la desiderabile e felice normalità, per chi (e siamo in tanti) senta prevalente la vocazione professionale, familiare e parrocchiale. Il purtroppo è motivato dall'impossibilità di aderire alle esortazioni del Presidente Scalfaro a Capodanno, del Professor Elia a "Carta 93", del Cardinal Ruini alla CEI. Tutti comprendiamo che sarebbe giusto dare un contributo, magari piccolo, alla difficile impresa del rinnovamento politico del Paese. Tutti ci rendiamo conto che è troppo comodo aspettare il momento in cui tutto sarà chiaro e pulito. Alcuni di noi, però, nel partito d'ispirazione cristiana vedono ancora troppo buio: non è questione di sfumature o chiaroscuri. Con l'eccezione del Veneto di Rosy Bindi, inquisiti ed imbroglioni vari continuano ad infestare questo partito, e ad essere rimossi dalle loro poltrone non per iniziativa politica dei segretari, ma solo grazie all'intervento dei magistrati. Questo non basta a rendere più valide improbabili formule palingenetiche alternative (nelle quali oltre al disagio ideale c'è già il problema degli imbroglioni riciclati); ma è sufficiente a tenerci fuori dalla Dc in molte realtà locali che, con tutta la buona volontà, non riusciamo a sentire come nostre.

Non l'hanno capito ancora, i segretari vecchi e nuovi, che -statuto o non statuto- mettere fuori questa gente (possibilmente prima e non dopo l'arresto) è l'unico modo non solo di fare del bene, ma anche, più prosaicamente, di conquistare nuovi e vasti consensi ed adesioni? Martinazzoli, sì, l'ha capito, l'ha detto con chiarezza e vuole farlo. E la gente lo sa: a Mixer, mentre Martinazzoli con un modesto sorriso lo escludeva, eravamo invece in quasi sei milioni ad ascoltarlo: a tifare per lui proprio come avevamo tifato per Di Pietro pochi giorni prima. Chissà, forse eravamo gli stessi tifosi, gli stessi spettatori. Ma il tempo stringe, la partita incalza. Ce la faranno i nostri? O hanno già perso?

Già, Di Pietro e le Mani Pulite. Mentre risalgo Monte Mario mi sorprendo a riflettere sul dc Mongini, che motivava la sua svolta e la collaborazione coi giudici nientemeno che con un'apparizione della Madonna, la quale per interposta persona gli avrebbe consigliato di dire tutta la verità. Trovo singolare che un uomo cresciuto fra oratorio e parrocchia abbia bisogno di apparizioni clamorose per rammentarsi di uno dei 10 comandamenti. Anche i cristiani non possono esimersi oggi dal domandarsi come abbiano educato i loro giovani, quanti dei politici che essi hanno caldeggiato siano oggi in galera, quale morale e senso dello Stato abbiano saputo finora trasmettere nelle loro parrocchie. E' troppo facile chiamarsi fuori, magari con la tentazione -forte per chierici e laici- di indovinare chi vincerà al prossimo giro.

In macchina la radio mi dà una notizia agghiacciante: il sospetto che un deputato dc, col suo telefonino, sia in qualche modo coinvolto nel "via" alla strage di Capaci. La notizia, se vera, è drammatica. Ma è già drammatico che una simile notizia non suoni automaticamente inverosimile. Inverto la marcia e punto all'ufficio: con tutto il senso del dovere verso la politica, dopo questa notizia non me la sento più di andare alla riunione. Già nel 1976 il mio viceparroco don Enrico aveva gridato ad un comizio di Zac: "Bisogna tagliare i rami secchi!" e Zac aveva replicato: "Sono un medico, non un chirurgo". Ora la situazione è precipitata. La chirurgia è l'unica opzione possibile: il malato sta morendo. Certo, può darsi che muoia durante l'intervento. Ma almeno sarà stato fatto l'ultimo tentativo serio di salvarlo.