Va' dove ti porta il cuore, ma...

Giovanni Bachelet, intervento al convegno nazionale organizzato dal PPI sulla Chiesa, Palermo, dicembre 1995

Grazie per l'invito. Il tema che mi avete proposto riguarda il quinto ambito del convegno ecclesiale di Palermo, cioè quello dei giovani. Esso copriva molti aspetti pastorali, educativi ed associativi di grande importanza, ma data la natura dell'incontro di oggi mi limito a quelli di rilevanza politica almeno indiretta: legalità; ecumenismo e dialogo interreligioso; salvaguardia dell'ambiente; accoglienza nei confronti di chi è diverso per razza, religione e cultura, valorizzazione della diversità come risorsa in vista della costruzione di una società nuova in cui si manifesti visibilmente la fratellanza fra i popoli. Vale naturalmente anche per questi temi giovanili quanto suggerito nella relazione generale del Prof. Garelli e nelle considerazioni finali del Card. Ruini: è necessario un progetto culturale, un quadro di riferimento di fondo che consenta di inserirli in un processo organico di ricostruzione del tessuto civile e morale del Paese. In particolare:

Senza poter affrontare tutti i temi toccati dai giovani a Palermo e descrivere le circostanze vivaci che hanno portato ad un loro nuovo appuntamento, sembra di poter dire che anche per i giovani la proposta di un cammino culturale, comune all'intero convegno ecclesiale, risponda ad un'esigenza reale ed urgente. Mi permetto di aggiungere sommessamente, per conoscenza diretta di molti miei studenti di Fisica e dei ragazzi di varie parrocchie di Roma, che su questi ma soprattutto su altri punti toccati dal convegno (dalla riscoperta della famiglia e della professione come vocazione a temi delicati come la bioetica o l'eutanasia, fino alle scelte decisamente controcorrente che il vangelo e l'insegnamento dei pastori suggeriscono alla vita di tutti i giorni degli adolescenti e dei giovani) il termine "cultura" non può che avere il senso piú profondo di parola che diventa vita, di incarnazione di un messaggio nel cuore di una comunità. Da questo punto di vista, per quegli aspetti sui quali la Chiesa è pressoché sola di fronte a messaggi decisamente opposti che provengono dalla società, pare davvero difficile intervenire efficacemente sulla società prima di aver riconquistato con amore e intelligenza la comunità giovanile al proprio interno. Quest'ultima riflessione serve soprattutto a genitori, educatori e preti, ma forse rappresenta un utile campanello d'allarme anche per chi s'interroga sulla politica, giacché - lo ricordava il Prof. Elia commemorando mio padre - in democrazia non basta aver ragione, bisogna anche farsela dare dal 51% degli elettori. Per quel che interessa la riflessione a cui oggi mi ha invitato il PPI gli esiti piú significativi sembrano almeno due, collegati fra loro:
  Per questo secondo aspetto si potrebbe dire - e l'ha detto ieri il Prof. Campanini - che il convegno ecclesiale di Palermo non ha introdotto novità rilevanti rispetto al Concilio: "E' di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa, e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa, in comunione con i loro pastori. La Chiesa, che in ragione del suo ufficio e della sua competenza in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona." (Gaudium et Spes n. 76) Non solo: si potrebbe aggiungere che, anche prima del Concilio, nella tradizione dei democratici cristiani si ritrovano le radici di questa stessa impostazione. Nel gennaio-febbraio 1945, in un foglio clandestino dei democratici cristiani, si leggeva ad esempio: "...Non intendiamo compromettere con la nostra azione politica l'autorità e la missione della Chiesa, che devono esplicarsi a favore di tutti gli uomini qualunque siano le loro idee; inoltre al nostro partito, che è indipendente dall'autorità ecclesiastica e dall'Azione Cattolica, possono aderire tutti coloro, credenti o non, praticanti piú o meno, i quali accettano il suo programma sociale..." (da "La DC per la libertà", SPES 1975, 30º della liberazione)

Deve trattarsi però di un discorso un po' ostico se di nuovo, in anni recenti, Giovanni Paolo II ha sentito il bisogno di ribadirlo con chiarezza in un discorso ai sacerdoti (18 luglio 1993): è bene per tutti che luoghi e momenti della Fede, della formazione cristiana e della Chiesa in quanto tale restino ben distinti da luoghi e momenti della politica propriamente detta, che è necessaria ed importantissima, ma sempre ambigua, "quasi inevitabilmente di parte", esposta a vittorie e cadute che non dovrebbero mai coinvolgere la Chiesa in quanto tale, perché essa ha un compito molto piú universale, duraturo ed importante. Come mai la Chiesa Italiana riflette di nuovo anche a Palermo, a 50 anni dalla liberazione, a 30 anni dal Concilio, sull'elementare motto di Maritain "distinguere per non separare"? Forse quella che per alcuni era da sempre una chiara scelta di valore per altri è stata solo una realistica riflessione dettata da eventi ormai irreversibili. Insomma il cammino del Concilio conosce per ciascuno tempi e modi diversi, ma alla fine arriva a tutti: questo "grande evento ecclesiale, che con il vento dello Spirito ha impresso un poderoso impulso alla barca della Chiesa, continua ancora oggi a sospingerla nel vasto mare della storia", ha detto il Papa l'altro ieri nel 30º anniversario della sua conclusione. Come tutti gli eventi veramente grandi e profondi, il Concilio ha avviato in ciascuno una grande, profonda e lenta conversione; e su tempi lunghi, come una grande piena, finisce per raggiungere e conquistare tutti i cuori, magari dopo flussi e riflussi che in certi momenti sembrano addirittura privi di una precisa direzione.

A volte penso ai flussi e riflussi di questi 30 anni di postconcilio per quel che riguarda la storia dei cristiani impegnati in politica in Italia, e poi penso anche - scusate se mi concedo quest'unica riflessione di parte, come coordinatore del Comitato per l'Italia che vogliamo di Roma - alle vicende degli ultimissimi mesi e giorni. Ripenso a tante grandi occasioni - la scelta religiosa dell'ACI, il tempo di Moro e Zaccagnini, la riforma istituzionale di Ruffilli - e mi domando se e come verrà spesa quest'ultima, grande occasione della candidatura e del programma di Prodi; se, ormai in piena libertà e totale chiarezza, ci sarà la capacità di riprendere, almeno in questa occasione, a fare politica sul territorio e a confrontarsi e qualificarsi rispetto a un programma, secondo l'ispirazione autentica del cattolicesimo democratico e del Partito Popolare di Sturzo e De Gasperi. Mi chiedo se in un momento drammatico ma anche ricco di opportunità e speranze i nuovi popolari di oggi sapranno, come dice il vecchio motto della cavalleria, "gettare l'anima al di là dell'ostacolo" e vincere, o perfino loro saranno tentati, fra un distinguo e l'altro, di far mancare un sostegno decisivo per riportare l'Italia su un binario di sviluppo democratico dal quale solo dodici mesi fa temevamo tutti di poter deragliare.

E mi domando infine: un giovane interessato ai temi cui accennavamo all'inizio e attivamente inserito nella Chiesa e nella società, ad esempio un giovane di quelli convenuti qui al convegno ecclesiale due settimane fa, sarebbe attratto piú da un partito che proprio ora si concentra su se stesso, sulle sue dinamiche interne e sulla propria sopravvivenza, o invece da un partito che lancia la sua identità nel grande gioco delle Assemblee dell'Ulivo, scommettendo sulla propria capacità di incidere e di persuadere, in un percorso popolare programmatico nuovo e vincente?

"C'è un tempo per tacere e un tempo per parlare", ha ricordato citando Qoelet il Card. Martini tre giorni fa, in una predica che ha avuto larga eco nella stampa. Perdonate se non ho taciuto questi ultimi interrogativi e ho parlato col cuore. Forse vi sembrerà che questa storia di Prodi mi abbia dato alla testa, che l'abbia presa troppo sul serio. Ma non liquidate questi nuovi entusiasmi a cuor leggero. Certo, forse "tutto è vanità", come diceva Qoelet (che ne aveva viste tante). E poi lo so, tutti proviamo a dare una mano a Prodi. Non è facile indovinare quale sia il contributo piú utile in questo tempo cosí denso di novità e sobbalzi. Il cuore talvolta suggerisce a ciascuno di noi scelte e passaggi diversi. Speriamo, allora, che il cuore ci consigli bene. "Va' dove ti porta il cuore", dice un altro famoso versetto di Qoelet, che ha dato il titolo a un grande best seller. Pochi sanno invece il versetto successivo, che aggiunge: "Ma ricordati che su ogni cosa il Signore ti giudicherà".

[Giovanni B. Bachelet]