Come un bambino in braccio alla sua mamma

di Giovanni Bachelet, in Servire, rivista scout, marzo-aprile 1991
Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam.
Salirò all'altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.
Con questi versi del Salmo 43 si apriva ogni domenica la Messa, quando, trent'anni fa, mi preparavo alla Prima Comunione. Erano gli ultimi anni della Messa in latino, poco prima del Concilio. I preti giravano con la tonaca e molti di loro portavano anche un cappello tondo (preti vestiti cosí se ne trovano ormai solo nei rebus della Settimana Enigmistica). La Russia costruiva il muro a Berlino. Gli anni di Kennedy, e Papa Giovanni. A casa nostra non c'era ancora né la lavatrice, nè la lavastoviglie, e forse non avevamo ancora la macchina; da poco avevamo dato l'addio a una vecchia stufa a carbone quando il condominio era passato al riscaldamento centralizzato a nafta. Ricordo ancora la mattina della mia prima comunione, il primo giugno di quell'anno. Ricordo il mio vestito, la "mia" suora Madre Agnese che mi aveva preparato all'incontro piú importante della mia vita e mi diede anche un biscotto subito dopo, nel giardino delle suore, perchè allora c'era un lungo digiuno da rispettare prima dell'Eucaristia. Ricordo i volti sorridenti dei miei genitori, di mia sorella, dei miei nonni, dei miei zii.

Da allora nella mia famiglia, nel mio paese e nel mondo, sono cambiate molte cose: grandi speranze di rinnovamento ed effettivi, giganteschi passi avanti nella vita di ogni giorno, nella vita della Chiesa, nella vita civile; ma anche paurose decadenze, tragedie, delusioni. E per me il mistero della morte e della cattiveria, ma anche quello della bontà, dell'amore e della nuova vita che nasce. In tutto questo la gioia di quel giorno non si è mai spenta. Dio ha davvero allietato la mia giovinezza col dono del Suo Figlio, della Sua Chiesa, del Suo Creato, secondo la promessa contenuta in quelle strane parole che a sei anni imparavo a memoria per "saper rispondere a Messa''. Certo, per colpa del peccato o della stanchezza ci sono stati e ci saranno ancora momenti tristi e a volte drammatici; pure appena sono costretto, come da questa occasione, a fare un bilancio onesto, non posso che concludere con le parole del Te Deum: In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum; in Te, Signore, ho sperato, non sarò mai deluso.

Non è una fortuna da poco in tempi di revisioni e svolte a U, o peggio di vuoto, di buio; c'è proprio da rallegrarsi e gioire grandemente, come i Magi, quando, dopo esitazioni e anche dure prove, si riscopre nel cielo la stessa Stella che guidava da sempre il nostro cammino. E qui quando si è invitati a scrivere testimonianze personali e si ringrazia Iddio bisogna sempre stare molto attenti a non fare come quel signore che, ai primi banchi della Chiesa, proclamava "Grazie, o Dio, che non mi hai fatto come quel pubblicano lí dietro...". Quindi è necessario aggiungere subito che questa gioia che mi accompagna non c'entra quasi niente con la mia personale costanza, ed è al contrario segno della costanza e della fedeltà di Dio a me, della cura personale che Egli ha della mia vita nonostante i miei frequenti e stupidi zigzag che mi portano a volte sull'orlo dell'abisso, in bilico fra disperazione e speranza. Cosí per me una delle preghiere piú belle, fonte di grande speranza e grande serenità, è quella del buon Ladrone sulla croce: Gesú, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno! Cui Gesú rispose: In verità ti dico: stasera stessa sarai con me in Paradiso.

La salvezza è un dono che Gesú offre mille volte, la fede un dono che Egli offre e fa crescere in noi attraverso mille occasioni; non è un merito. Anzi, è fra un nostro demerito e l'altro che risplende la grandezza della pazienza di Dio, l'ampiezza del sorriso con cui Egli guarda ai nostri maldestri tentativi di fare del bene e forse anche alle nostre malefatte, proprio come un papà guarda al suo bambino che fa guai, e magari si trova a doverlo sgridare, ma sotto sotto pensa fra sé: "come mi è venuto bene questo figlio!". Mille offerte di Dio, mille occasioni: nel mio, forse nel nostro immaginario, prevalgono, quando si parla di chiamata e di vocazione, le rivelazioni folgoranti e clamorose - san Paolo che cade da cavallo, il roveto ardente - rispetto alla via ordinaria, e peraltro efficacissima, attraverso cui Dio ha scelto - a cominciare dal Suo Figlio - di manifestarsi, e cioè attraverso altri uomini. Mentre di solito è proprio attraverso altri uomini e donne - il papà, la mamma, gli amici, le suore che offrono biscotti, i preti, i capi, i maestri, la moglie, i figli - che il Signore chiama e parla; è in genere attraverso un processo che si dipana nel tempo, non solo grazie a qualche attimo magico, che arriviamo alla certezza della Sua chiamata; e anzi, da un certo momento in poi, alla certezza che solo dicendogli, continuando a provare a dirgli di sí saremo felici e tranquilli. "Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non può riposare in Te", diceva Sant'Agostino.

Come nelle modalità della chiamata, cosí pure in quelle della risposta mi trovo spesso, erroneamente, ad immaginare grandi imprese, sforzi titanici, risultati clamorosi, e a rammaricarmi di puntare solo, in questa fase della mia vita, a vivere con letizia la normale amministrazione di una famiglia giovane e di un lavoro impegnativo. Dimentico il Salmo 131, quello che dice "Signore... non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze...l'anima mia è come un bambino in braccio alla sua mamma...". E dimentico pure quello che mi aveva detto Papà, proprio all'epoca della mia preparazione alla Prima Comunione, quando ero molto impressionato dalla faccenda dei Martiri. Mi aveva detto che a confermare la Fede davanti al rischio della morte ci voleva un attimo, e che in quell'attimo lo Spirito Santo dava certamente tutta la forza necessaria a non piegarsi; in un certo senso, quindi, non c'era da preoccuparsi troppo in anticipo. Ma aveva aggiunto che essere buoni, giusti e fedeli a Cristo nella normalità e a volte nella banalità e nel grigiore della vita di tutti i giorni, questa sí era un'impresa eroica e straordinaria, per la quale si doveva invocare spesso lo Spirito Santo. E molti anni dopo a Fiumicino, quando dopo la laurea partivo per andare a lavorare in America (e fu il nostro ultimo incontro), mi aveva di nuovo esortato a vedere il nocciolo della mia vocazione anzitutto nella parte ordinaria della vita e dello studio, che volontariato e attività culturali, politiche o religiose, per essere credibili, non possono danneggiare o rendere marginale. Aveva citato un brano di Gandhi che a lui piaceva molto: "Se quando si immergono le mani nel catino dell'acqua, se quando si attizza il fuoco con il soffietto, se quando si allineano interminabili colonne di numeri al proprio tavolo di contabile, se quando, scottati dal sole, si è immersi nella melma della risaia, se quando si è in piedi davanti alla fornace del fonditore non si realizza proprio la stessa vita religiosa che se si fosse in preghiera in un monastero, il mondo non sarà mai salvo".

Cosí mi consolo delle grandi imprese per ora non realizzate, e cerco di andare avanti scrutando e intuendo la grandezza di quelle normali cui sono oggi chiamato; godo il miracolo, la complessità, la bellezza che c'e' in un cespuglio, anche se non è un roveto ardente; tendo l'orecchio alla voce di Dio nella brezza senza aspettare il tuono e il lampo. Mi accompagna il sole di una mattina del 1961, e la speranza che Gesú non lasci mai la mia mano, non per i miei meriti, ma per la ricchezza del suo amore. Mi incoraggia la preghiera del Centurione, che recito con gli altri, in Chiesa: Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di' soltanto una parola... ; e nell'abbraccio dei miei piccoli e di mia moglie, dei miei genitori e di mia sorella, dei miei preti e delle mie suore, dei miei maestri e dei miei amici, dei vivi e dei morti, oso accostarmi ancora, come quel giorno di giugno, all'altare di Dio, che ha allietato la mia giovinezza e non mi deluderà in eterno.

[Giovanni Bachelet]