Intervento di chiusura della prima giornata

di Giovanni Bachelet, Assemblea Nazionale dell'Ulivo, Milano 23 marzo 1996

Cari Amici, ce l'abbiamo fatta! L'Assemblea Nazionale, che conclude il lungo lavoro programmatico iniziato da Prodi il 4 agosto dell'anno scorso e apre la campagna elettorale, è davvero cominciata. La Mitica Convention. In qualche momento abbiamo dubitato che avrebbe mai avuto luogo. Con i Comitati e i partiti della coalizione abbiamo preparato questo evento in centinaia di assemblee in tutt'Italia. E' arrivato l'inverno e abbiamo messo gli scarponi chiodati, come aveva detto Prodi. Abbiamo anche temuto la gelata. "Ma anche dopo il più freddo degli inverni ritorna sempre la dolce primavera", diceva una vecchia canzone. Ecco, la primavera è qui.

Il percorso è stato meno facile del previsto. Il progetto che ha spinto molti di noi ad un impegno politico senza precedenti, la prospettiva di valorizzare, rivitalizzare e gradualmente integrare le componenti cristiane, laiche, socialiste e ambientaliste amalgamandole in un nuovo soggetto politico, insomma il cammino verso il Partito Democratico, ha fatto grandi passi avanti, ma è certamente più indietro rispetto alle speranze di molti. Anche la vicenda delle candidature ha lasciato a molti l'amaro in bocca. I veterani mi spiegano che è sempre così. Ma per me era la prima volta. E spero di non abituarmi. Mai. Stanotte mi è giunto un fax allarmato dal Professor Sylos Labini, secondo il quale il governo che abbiamo sostenuto per un anno, il cui capo è oggi nostro alleato, si appresterebbe a varare adesso, alla vigilia delle elezioni, un decreto capace di imbarcare ope legis un'altro vagone di professori universitari. Non ci ho voluto credere. Anzi non ci credo. Come potremo riformare l'Università nella prossima legislatura, se la sfasciamo in questa? Il nostro programma si propone di mettere tutti in condizioni di pari opportunità nella gara della vita. Cioè promuovere e giudicare le persone non sulla base delle loro opinioni, della loro religione, delle loro amicizie, della loro età anagrafica, della loro inclinazione sessuale, ma esclusivamente sulla base dei meriti e delle capacità. Dove finirebbe tutto questo di fronte a un provvedimento ope legis?

Mezze notizie come questa, amarezze sulle candidature: ed ecco insinuarsi la paura di non riuscire a cambiare abbastanza nemmeno se vinciamo, la paura che il libretto "Governare per cambiare" e il nostro programma vengano rapidamente annacquati. Su tutte le delusioni e tutte le paure viene però in soccorso una preghiera di Tommaso Moro, che diceva: "O Signore, dammi la forza di cambiare quel che si può cambiare, dammi la forza di accettare quesl che non si può cambiare, e dammi l'intelligenza di capire la differenza." Sì, un anno di attività politica ci ha insegnato la fatica e la difficoltà di conquistare il consenso, perchè in democrazia non basta aver ragione, occorre anche farsela dare. Ci troviamo così a dover gettare l'anima al di là dell'ostacolo, a doverci impegnare fino allo spasimo in una situazione che non è netta, non è esattamente quella che volevamo. Non scoraggiamoci e buttiamoci lo stesso! Questa incompiutezza è la condizione normale delle grandi imprese di rinnovamento, è la sfida di tutti i momenti forti della politica, nei quali l'impegno sofferto e ragionato di nuove forze ha portato ossigeno alla storia del nostro Paese. È vero, noi vorremmo trovarci già più avanti. "Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente al domani, credo che tutti accetteremmo di farlo; ma, cari amici, non è possibile: oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità; si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà." In queste parole pronunciate da Aldo Moro nel 1978 c'è per tutti l'incoraggiamento ad andare avanti; per me c'è poi anche il senso dell'ispirazione cristiana. È grande infatti la difficoltà e la responsabilità di tradurre in scelte opinabili il proprio patrimonio di valori. Alla luce della tempestiva e banale strumentalizzazione del recente, alto messaggio dei Vescovi italiani, vorrei ripetere che "essere cristiani nel campo della politica non significa menar vanto di privilegi nei confronti di altri; significa invece nutrire un'attenzione speciale nei confronti della giustizia sociale e del destino dei deboli e dei diseredati, lasciando che l'eloquenza dei fatti e della vita tradisca l'ispirazione profonda che ci muove." Anche queste non sono parole mie: sono parole di Alcide De Gasperi, del quale tanti, oggi, si riempiono la bocca. Ed è impossibile, a poche settimane dalla sua morte, non ricordare la domanda che circa un anno fa Andrea Barbato fece a un imbarazzatissimo Buttiglione: se oggi De Gasperi fosse vivo, sceglierebbe Prodi o Berlusconi?

Impegno cristiano e tradizione degasperiana mi impongono il più grande rispetto e la più grande attenzione verso l'insegnamento della Chiesa. Quindi, oggi, fedeltà alla costituzione conciliare "Gaudium et Spes", il cui trentennale è stato da poco celebrato dal Papa. Essa al numero 43 dice: "a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa". Il dovere di impegnarmi oggi è strettamente legato alla mia ispirazione cristiana, al ripetuto invito dei Vescovi a non stare a guardare ma invece partecipare alla trasformazione del Paese in un momento di svolta, ricco di speranze e di pericoli; ma non oserò mai invocare l'autorità della Chiesa per giustificare o rafforzare la mia opinabile scelta di schieramento. Dunque da cristiano, ma sotto la mia personale responsabilità, accetto oggi la candidatura dell'Ulivo nel 24mo collegio di Roma, in gara col presidente di AN Gianfranco Fini. Accetto questa sfida difficilissima per contribuire a chiarire plasticamente, nel mio collegio e fuori, quale sia l'alternativa culturale, politica, civile del prossimo 21 aprile. Rispetto ogni altra scelta.

Nel 1968 discutevamo in famiglia di un tema dato al liceo a mia sorella, dal titolo "La libertà non è un dato permanente, conquistato una volta per tutte: ogni generazione deve lottare per conservarla o riconquistarla." Mio padre commentò: "La libertà è come le mani: ti accorgi della loro importanza solo dopo che te le hanno tagliate". Cari amici, la libertà è una sola. Dite ai nostri elettori di diffidare dalle imitazioni! Non c'è libertà dove non c'è piena libertà d'informazione. Non c'è libertà dove non c'è pluralismo di soggetti economici, non c'è libertà dove c'è monopolio. Non c'è libertà nei quartieri dove campeggiano enormi scritte "No alla società multirazziale", né dove ci si fa giustizia da soli organizzando ronde contro viados e prostitute. Non c'è libertà senza una magistratura autonoma a indipendente. Non c'è libertà se si impedisce al proprio avversario di parlare.

Potrei andare avanti, ma chiudo con un pensiero sullo Stato. Oggi si parla giustamente delle tante distorsioni, delle tante vessazioni, delle tante delusioni che vengono dal nostro Stato democratico, e il nostro programma ha uno dei suoi punti forti proprio nello snellimento e nella riforma dello Stato. Ma nessuna convivenza civile potrà reggere senza un forte e rinnovato senso dello Stato. Se con tutti i suoi difetti e drammi il nostro Paese è ancora in piedi, è perché, a fronte di tanti che non vogliono pagare nemmeno le tasse giuste, a fronte di tanti che salgono sull'autobus senza pagare il biglietto, ci sono e ci sono stati tanti Italiani per i quali la nostra comunità nazionale, il nostro Stato, sono uno scopo per il quale vale la pena di vivere e a volte di morire. Giornalisti, magistrati, poliziotti, guardie di finanza, responsabili penitenziari, politici, sindacalisti, preti. Ma anche oscuri impiegati, insegnanti, medici, tecnici che continuano a lavorare come se fossero pagati dieci volte lo stipendio che lo Stato oggi dà loro. Il nostro Paese non si salverà, come già ricordava Moro, se non si estenderà e si consoliderà questo profondo senso di responsabilità e di corresponsabilità.

Potrà questa nostra coalizione dare il grande contributo necessario a un così profondo rinnovamento per ricostruire il Paese ed entrare in Europa? Pensando con trepidazione all'immenso compito che avremo di fronte dopo la vittoria, permettetemi di chiudere con un'altra citazione di De Gasperi, che risale all'inizio della ricostruzione: "Fa', o Signore, che i vivi siano degni dei morti, e l'Italia risorga per nuovo cammino".

[Giovanni Bachelet]