Ha vinto Zac

di Giovanni Bachelet, in La Discussione (settimanale della DC), 11 novembre 1989

Da oggi guardo l'orologio da tavolo della mia scrivania con maggiore affetto. Me l'ha regalato Zac per il matrimonio. Quando aveva lasciato la segreteria gli avevo scritto dall'America il verso di uno spiritual: "Quando sei arrivato alla fine della giornata non preoccuparti se gli uomini non ti hanno dato retta. Lui capirà, il Signore, e dira': ben fatto''. Adesso Zac è davvero arrivato al traguardo. Ha combattuto la buona battaglia, ha conservato la fede. Non aveva paura della morte, Zac; non temeva quelli che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima. Fra tanti volti senz'anima e tanti ipocriti che speculavano in tutte le direzioni sul drammatico rapimento di Moro si leggeva sul suo volto un vero dolore: quello di non poter dare la vita al posto suo.

Ora si saranno ritrovati, almeno se esiste davvero quel Regno per il quale Zac e Moro, senza sbandieramenti e senza trionfalismi, hanno scommesso e hanno puntato per tutta la vita, bruciandola senza risparmio per il bene degli altri. E nel Regno, che attraverso questi testimoni è già stato presente fra noi, le realtà che Zac temeva ben più della morte sono vinte per sempre: non più ingiustizia ne' prepotenze, non più imbrogli ne' comitati d'affari. Temeva infatti, e ha combattuto con forza e mitezza, anzitutto in se stesso, quel che uccide l'anima: la malintesa concretezza in nome della quale tutto diventa giustificabile, l'incapacità di farsi da parte che spinge a restare a galla a costo di compromessi e manovrette, il disprezzo per le attese della povera gente, la morte della speranza e della fantasia. Leggo i giornali e vedo un verdetto unanime: retto, buono, santo, il volto onesto della DC; e altrove dichiarazioni in cui si sottolinea che egli appartiene a tutta la DC, a tutta la Chiesa, a tutta l'Italia e non a una sua parte.

E' senz'altro vero. Queste lodi sono meritate e sacrosante, e non importa se vengono da chi a volte, in vita, gli votava contro o lo ridicolizzava sulla stampa e nei salotti perbene. Purche' però non ci sia, sotto sotto, la tentazione (forse inconsapevole) di imbalsamare e attutire, di stemperare e, in fondo, sminuire la grandezza e l'efficacia travolgente del suo pensiero e della sua lotta politica, della stagione morotea che ha saputo accendere tante speranze, liberare tante energie popolari, e, pur avversata con veemenza da potenti congreghe politiche ed economiche, salvare l'Italia dalla guerra civile e dalle involuzioni autoritarie ponendo le basi per una nuovo periodo di pace, di democrazia e di sviluppo. La tentazione di pensare a Zac come un sant'uomo che, però, non è riuscito a realizzare quel che si proponeva è insidiosa, se perfino in alcuni di noi, cui questa nuova Italia non pare poi così entusiasmante come l'avevamo sognata qualche anno fa, si insinua drammatica la domanda: è valsa la pena? "Ha vinto Zac'', come diceva a lettere cubitali il manifesto che con Paolo Giuntella e Pio Cerocchi attaccammo su tutti i muri di Roma in una lontanissima notte del marzo 1976, oppure Zac ha perso, ed è stato tutto inutile?

A volte, nei momenti di delusione, ci viene davvero il dubbio che, sul piano terreno e umano della politica nostrana, il suo impegno e quello di tanti che sono vissuti - e alcuni anche morti - per il sogno moroteo di un' Italia rinnovata nella politica e nel costume, sia servito solo a salvare in extremis, nel momento dell'emergenza, una classe dirigente che forse non lo meritava. E invece dimentichiamo che senza Zac potremmo anche essere ridotti come il Libano, e con la violenza e la conflittualità permanente ci sarebbero mancate le premesse sociali per il decennio di ripresa economica; senza Zac sarebbero mancate le premesse politiche e morali per alcune nomine di altissimo livello negli enti pubblici che hanno segnato una vera rivoluzione nell'industria di Stato; senza Zac non avremmo avuto Pertini come Presidente; non avremmo, forse, riscoperto il valore della società civile rispetto ai partiti, e i non pochi cattolici piuttosto refrattari al mondo democristiano che si sono "prestati'' alla politica rinnovando in modo a volte incisivo realtà locali e nazionali non l'avrebbero fatto, probabilmente, senza Zac.

Se dimentichiamo tutto questo, allora la struggente nostalgia, il culto di questo santo del nostro tempo, rischia di diventare un alibi per non essere fedeli al suo esempio, per abbandonare la politica al suo destino, rifugiandoci magari nella professionalità, nella famiglia, nell'ambientalismo, nel volontariato locale. In tante cose buone e importanti, ma non sempre sufficienti a tenere accesa la speranza di trasformare il nostro paese e il mondo, a tener vivo il gusto di immaginare e progettare, a sviluppare le competenze e lo slancio necessari a guidare verso nuove mete di giustizia e partecipazione il mondo che cambia anziche' limitarsi a subirlo, o ad affrontarlo in modo frammentario e stanco. Ma questa è, appunto, una tentazione, forse dovuta al fatto che - contrariamente a Moro e Zac - avevamo caricato la politica di troppe aspettative; che non l'avevamo vissuta con la piena coscienza cristiana della parzialità e della caducità di qualunque realizzazione umana, ne' con la piena coscienza democratica per la quale il consenso e la guida si conquistano sul campo, con la forza della propria capacità di interpretazione, di sintesi e di persuasione, e sul campo si possono anche perdere.

La sfida della morte di Zac in questo giorno d'autunno triste e grigio è quella di riprendere a sperare, a lavorare, a studiare, a fare politica. Senza dimenticare che è proprio nella fatica e nel dolore della lotta partigiana, nelle lunghe esclusioni dal potere, nei rapporti in altri tempi non facili (ma sempre fiduciosi e ricchi di umanità) con alcuni settori del mondo cattolico e della DC, che uomini come Zac si sono duramente formati e sono diventati forti e significativi per il destino di tutto il Paese. Anche noi, in questo autunno dell'entusiasmo e dell'impegno, fra difficoltà obbiettive e soggettive, dobbiamo tener duro, nel nome di Zac, come la brace sotto la cenere, come i semi sotto la neve, sempre pronti a servire il nostro Paese, anche con la politica, quando un giorno ci sarà di nuovo bisogno di noi.

[Giovanni Bachelet]