Passione civile
Segno nel Mondo, quindicinale dell'Azione Cattolica Italiana, 15/31 agosto 2002

Nella bella meditazione che ha aperto, pochi giorni fa, il convegno di Camaldoli su "Cristianesimo e democrazia nel futuro dell'Europa", il professor Pierangelo Sequeri è partito da un motto che in occidente è talmente scontato da suonare come un proverbio, un anonimo distillato della saggezza popolare, anziché, come invece è, una lapidaria risposta di Gesú a Farisei ed Erodiani: "rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio" (Mt. 22, 21). Questa risposta sistema in un solo colpo tutti gli interlocutori: sia chi simpatizzava con un imperatore che tende ad assorbire le prerogative di Dio, sia chi, animato da fanatismo religioso, pensava di dover "portare il proprio Dio al potere". Inoltre, a quanti tentavano di coglierlo in fallo con una difficile domanda sulle tasse, la risposta di Gesú suona nuova, creativa, niente affatto scontata: "udito ciò, ne rimasero stupiti, e, lasciatolo, se ne andarono" (Mt. 22, 22). A Gesú, sottolinea Sequeri, non ad un'anonima saggezza laica, l'odierna cultura occidentale ed europea deve un proprio tratto distintivo: la netta distinzione fra religione e politica. Nel suo insegnamento questa nuova idea non è infatti limitata ad un'estemporanea battuta, ma ispira con coerenza tutto l'orientamento messianico, dall'inizio della vita pubblica (le tentazioni) fino alla fine (il confronto con Pilato). Attraverso duemila anni di vita del Cristianesimo, attraverso molte diverse interpretazioni e anche significative contraddizioni e passi indietro da parte di regni e chiese, questo principio sancito da Gesú si è gradualmente radicato e rafforzato nella coscienza e nella cultura occidentale, e trova nella costituzione conciliare Gaudium et Spes, per noi cattolici, l'asse portante della sua linea di coerenza.

Le riflessioni di Sequeri erano molto ricche (converrà quindi leggere gli atti del convegno), ma, pur nella forma di quest'imprecisa reminiscenza, forniscono un punto di partenza per qualche pensiero sulle radici cristiane della passione civile. Che poteva essere del resto un naturale tema di quel convegno, anche se poi l'attenzione maggiore è andata ai rapporti fra Stati, Chiese e Unione Europea. Se il tema è la passione civile, la massima di Gesú può anzitutto suscitare una domanda ingenua, in questi tempi di analfabetismo di ritorno: Dio e Cesare non vanno confusi; Gesú è Re ma il suo Regno non è di questo mondo; perché, allora, un suo seguace dovrebbe curarsi del mondo, della sua storia di oggi? Tutto passa, e solo una Parola che non passa è capace di proiettarci, come proclamiamo alla fine del Credo, verso la vita del mondo che verrà. I poveri - l'ha detto Gesú stesso - li avremo sempre; e in qualche forma, in qualche misura avremo sempre guardie e ladri, prigionieri e secondini, catastrofi naturali e guerre, solitudine e malattie. Concentriamoci allora sul Regno che verrà e lasciamo che quello in cui viviamo vada piú o meno in malora (salvo fare il nostro lavoro, magari al solo scopo di portare a casa uno stipendio). In particolare, lasciamo che il mondo, irrimediabilmente corrotto dal peccato originale, sia governato da chi capita.

Sembra impossibile, ma ragionamenti frettolosi e superficiali di questo genere s'insinuano ciclicamente nella mente di singoli cristiani e, a volte, d'interi gruppi. Forse per questo anche la Novo Millennio Ineunte ci ricorda che "si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell'incarnazione" (n.51). Già, perché il Signore è venuto in questo mondo, e ci chiama a stare in questo mondo, per amarlo e salvarlo, preparando cieli e terre nuove. Del resto Gesú ci ha detto con chiarezza le prime parole che rivolgerà a ciascuno di noi, quando questo nostro mondo e questo nostro tempo saranno giunti a compimento: avevo fame...

Dunque tenere lo sguardo fisso su Gesú significa anche non girare la testa, non voltarci dall'altra parte quando incontriamo chi ha fame e sete, chi è vestito male o dorme per terra, chi è solo, o malato, o prigioniero. E dopo venti secoli di cristianesimo, significa anche aver imparato che tenere fisso lo sguardo sui deboli, "ripartire dagli ultimi" (come diceva un indimenticabile documento della CEI di una ventina d'anni fa), vuol dire anche tentare di comprendere e aggredire quelle che il Papa ha chiamato le "strutture di peccato" insite nella nostra organizzazione economica, politica e sociale, scoprendo che la prevenzione è meglio della cura, la libertà è meglio della schiavitú, l'istruzione è meglio dell'ignoranza, la democrazia è meglio della tirannia. Al sacrosanto sforzo di soccorrere volta per volta chi si trova nei guai, è obbligatorio associare lo sforzo di studiare, progettare e cercare di realizzare azioni preventive di lungo periodo. Chi abbandona il mondo e la storia al suo destino, facendo mancare la propria spinta alla promozione della libertà, dell'uguaglianza e della fraternità (che Giovanni Paolo II, nella visita francese del 96, richiamava come ideali da far incessantemente progredire) fa dunque un peccato di omissione. Per dirla in modo positivo con una famosa definizione di Paolo VI, ripresa poi molte volte dal Magistero, la (buona) politica è la piú alta forma di carità: dalle politiche e dalle leggi che si fanno dipende spesso la speranza o la disperazione di milioni di persone nel proprio paese e, in misura piccola o grande, anche di miliardi di persone al di fuori di esso. Perciò della storia di oggi ci sta a cuore tutto, come ha detto Paola Bignardi nella sua relazione all'Assemblea. Per questo siamo ancora capaci di sognare e lavorare per un mondo piú giusto di quello in cui ci svegliamo ogni mattina.

Il fatto di sapere che la storia non è il nostro assoluto, che questo mondo passa, ci trattiene da molti errori che hanno insanguinato e purtroppo ancora insanguinano il mondo: non solo dall'idolatria dello stato e dalla simmetrica tentazione del fondamentalismo religioso di cui parlava Sequeri, ma anche, piú generalmente, dall'idea che a fin di bene si possa fare il male: perché a nulla vale conquistare il mondo, se poi si perde l'anima; e anche l'efficacia di un'azione politica non coincide sempre col suo immediato successo. Lo ricordava Roberto Ruffilli, uno dei tanti cristiani il cui impegno civile e culturale ha lasciato una profonda traccia di bene, ancora feconda a tanti anni dalla sua morte violenta.

Lui e tanti altri cresciuti nell'Azione Cattolica o nella Fuci fra guerra, Concilio e dopo Concilio, hanno realizzato con pienezza l'esortazione del Magistero ad informarsi, prepararsi e poi, nei limiti delle possibilità e delle occasioni offerte dalla vita civile, sociale e politica, a partecipare responsabilmente: un dovere, in qualche misura, di tutti i cristiani adulti, che non è finalizzato ad aumentare l'estensione o l'influenza della Chiesa, del partito, della propria lobby, ma a servire il mondo, come insegna con audacia e chiarezza la Gaudium et Spes.

Da loro abbiamo imparato anche che la politica non consiste principalmente in una declamazione di valori o in una denuncia dei mali, bensí nell'identificare la priorità dei problemi, la migliore ricetta e le persone più adatte a risolverli. E nel valutare esattamente le forze e le probabilità delle mosse di tutti i protagonisti in campo affinché la scelta, la ricetta e le persone migliori raggiungano effettivamente la maggioranza dei consensi, necessaria in democrazia. La rinuncia a scorciatoie immorali o illegali, una forte ispirazione cristiana, sono requisiti senz'altro necessari, ma purtroppo raramente sufficienti ad indicarci la strada da seguire. E mentre la santità è vocazione comune per tutti i battezzati, conoscenza e competenza sono le virtú che devono caratterizzare in modo particolare chi voglia avventurarsi nel difficile sentiero della politica: "non ci si inserisce nelle istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti." (Pacem in Terris)

A volte, pensando ai grandi Padri Costituenti d'ispirazione cristiana, a tanti altri testimoni illustri ed oscuri e al formidabile impatto che in piú di un'occasione i loro ideali e i loro progetti hanno avuto nella storia del nostro Paese, tendiamo a scoraggiarci, nel confronto col presente. Attenzione però: vanno ricordati con chiarezza due fatti che in genere rimuoviamo dalla memoria: il primo, che quasi tutti quelli che oggi, retrospettivamente, riconosciamo come grandi leader politici cristiani hanno avuto almeno in qualche periodo guai e serie incomprensioni con il loro partito, con la loro Chiesa, con le loro associazioni di provenienza; il secondo, che essi sono stati significativi non perché hanno cercato di stare al di sopra delle parti, ma, al contrario, perché, con tutti i dubbi e le perplessità che le persone buone e intelligenti non possono non avere, hanno però scelto da che parte stare, anche a rischio della vita, nel grande gioco della democrazia.

Forse anche oggi ci sono fra noi leader e animatori politici cristiani piccoli e grandi che un giorno riconosceremo come costruttori di giustizia e pace. Non è facile riconoscerli oggi, perché la politica per sua natura divide, e questo era vero anche quando c'era solo la Democrazia Cristiana e le sue correnti in lotta fra loro. Non è facile, e non è mai stato facile, parlare asetticamente di politica, né spronare all'impegno politico senza poi prendere posizione e porsi come parte tra le parti, o almeno senza essere disposti ad una discussione veramente aperta e franca, dall'esito non predeterminato. Questa è una delle ragioni che rendono obbiettivamente difficile affrontare questo tema in ambito ecclesiale e associativo. Ma nei molti momenti in cui l'Azione Cattolica e la Chiesa tutta hanno saputo incoraggiare un dibattito forte e franco, pluralista e fedele al Vangelo e al Magistero; quando hanno saputo insegnare credibilmente a "distinguere per non separare", come diceva il vecchio Maritain, la fede dall'impegno politico; quando, come dice la relazione di Paola Bignardi, hanno dimostrato coi fatti che democrazia e stile fraterno possono andare di pari passo, hanno contribuito ad accendere la passione civile e a rifondare il Paese. E allora chi lo sa? Forse fra diversi anni riconosceremo con gioia, gratitudine e nostalgia, che anche quello di oggi è stato, per l'Azione Cattolica e per l'Italia, uno di quei momenti alti.

[Giovanni Bachelet]