L'Ulivo è morto, viva l'Ulivo! L'Ulivo non è morto oggi, D'Alema e Marini l'hanno sepolto due anni fa. Può rinascere solo se ci sarà un passo in avanti improvviso. Trionfo e decadenza della coalizione di Romano Prodi nel racconto di Giovanni Bachelet. Intervista di Marco Damilano, in Segno nel mondo 7, settimanale dell'Azione Cattolica Italiana, anno 2, n.37 (25/10/98), pag.12

In verità, lui il 21 aprile 1996 ha perso ed è immediatamente tornato alla sua professione. Ma in piazza Santi Apostoli di Roma dove Prodi e Veltroni festeggiavano la vittoria dell'Ulivo tra centinaia di bandiere bianche, rosse e verdi, nessun'altra notizia emozionò tanto come quella che Giovanni Bachelet stava dando filo da torcere a Gianfranco Fini nel collegio di Roma-Prati, roccaforte inespugnabile del capo di An. Bachelet è stato tra i primi a essere chiamato da Romano Prodi per dare vita all'Ulivo: "Oggi", dice dal suo ufficio di professore di Struttura della Materia all'università di Roma, "a Prodi vorrei dire semplicemente una cosa: grazie. Hai fatto esattamente quello che volevamo da te".

Come è iniziata l'avventura dell'Ulivo?

Il mio primo ricordo personale è una mattina di marzo del 1995. Stavo facendo gli esami all'università e una mia laureanda mi è venuta a cercare dicendo che aveva telefonato Romano Prodi. Ho pensato che fosse uno scherzo: Prodi si era appena candidato a guidare lo schieramento alternativo al Polo, io non lo avevo mai visto in vita mia. Invece era proprio lui: mi ha dato trenta secondi per accettare la responsabilità di organizzare il suo movimento a Roma e quando gli ho obiettato che non avevo mai fatto politica mi ha gridato: "allora goditi Berlusconi e Fini per altri 15 anni", e ha messo giù. Lì per lì mi sono arrabbiato, poi dopo due settimane ho accettato di dargli una mano.

Cosa vi ha spinto a imbarcarvi in questa impresa?

All'inizio (eravamo nella primavera del '95, c'era il governo Dini) eravamo tutti certi che si sarebbe votato presto, e intendevamo il nostro ruolo in chiave pre-elettorale. Volevamo evitare ad ogni costo il bis di una destra che aveva in pochi mesi dimostrato di poterci ridurre ancora peggio degli anni '80. Il nostro era una specie di "servizio civile", un impegno a tempo. Poi si sono create aspettative maggiori, sono nati numerosi comitati, sono cresciute la partecipazione e la voglia di dare vita a un nuovo soggetto politico.

Qual era l'identikit del militante ulivista di questa prima fase?

Per metà c'erano i militanti di partito, persone molto motivate politicamente ma che da anni non erano coinvolte in un'iniziativa seria: per loro l'arrivo di Prodi era un segnale di riscossa e i comitati qualcosa in cui finalmente poter partecipare in prima persona. Per l'altra metà, c'erano quelli come me, che non avevano mai fatto politica attiva. Sentivamo di prendere parte a qualcosa di inedito, facevamo il tifo per un personaggio che girava l'Italia in pullman e ci assomigliava, dava l'idea di uno che per campare non aveva bisogno della politica. Tenere insieme persone di provenienze così diverse era complicatissimo: ma ben presto abbiamo scoperto che i punti in comune e le divergenze non corrispondevano quasi mai ai confini stretti delle chiese partitiche. Emergeva cioè che le identità di partiti e partitini, significative e vitali per i professionisti della politica, non erano più sentite dai tanti normali cittadini che volevano dare man forte all'Ulivo. Erano molto piú importanti i programmi, gli schieramenti (destra o sinistra), le persone; e anche la profonda comunanza di stili di vita e di comportamenti, le affinità elettive, erano spesso trasversali.

Le radici dell'Ulivo: dopo la vittoria del 21 aprile alcuni dissero che si era realizzato il sogno di Moro e Berlinguer. E qualcuno sintetizzò: sono i soliti cattocomunisti.

Certo, chi aveva nostalgia del compromesso storico ha trovato nell'Ulivo qualcosa di familiare, ma non era questo l'aspetto dominante. Semmai si realizzava un'altra lezione del Moro degli ultimi anni, la necessità di superare i partiti e trovare nuove forme di coinvolgimento e partecipazione politica per la società italiana. Zaccagnini era convinto che la Dc fosse riformabile, Moro invece era pessimista, pensava che ci fosse bisogno di qualcosa di radicalmente nuovo. Quello della riforma della rappresentanza e della partecipazione era l'aspetto più affascinante dell'Ulivo: ma anche il più illusorio.

Che rapporto c'era tra l'Ulivo e i partiti del centro-sinistra?

Prodi ci aveva detto che il nostro compito non era fare l'ennesimo partitino, ma rappresentare il cemento della coalizione. L'idea dell'Ulivo soggetto politico era innovativa, ma forse prematura. Prodi, che ha sempre considerato i vecchi partiti come ingredienti essenziali del suo progetto, è stato anche il primo a capire ed accettare che essi non fossero disposti a federarsi "aprendosi" ai cittadini in forme nuove. I partiti, d'altra parte, nel '94 erano a pezzi e hanno visto l'Ulivo come una boccata d'ossigeno, ma poi hanno ripreso a far sentire la loro voce e a far contare le loro percentuali, anche e soprattutto quando erano da prefisso telefonico.

L'assenza di un partito dell'Ulivo è all'origine della crisi di queste settimane?

Dopo le elezioni del 21 aprile a rappresentare in Parlamento il progetto dell'Ulivo sono rimasti in pochi. Quando si trattò di fare le candidature D'Alema e Marini fecero di tutto perché il numero dei deputati fedeli a Prodi fosse minimo. Ma Prodi accettò perché aveva avuto mano libera sul programma, aveva la garanzia di essere il punto di equilibrio di tutta la coalizione, e soprattutto non poteva fare altro. Dopo le elezioni l'Ulivo come movimento federativo di partiti e cittadini è stato stroncato dai partiti del centro-sinistra, che pure ne erano stati sostenuti nella lotta contro Berlusconi: essi hanno confermato che il loro unico orizzonte era quello di una coalizione parlamentare, e che l'unico modo di partecipare alla politica sarebbe stato, anche nel futuro, quello di iscriversi ad una delle trenta sigle del proporzionale. Nonostante questo alcuni hanno generosamente provato a proseguire un movimento per l'Ulivo. Io e molti altri abbiamo realisticamente concluso il nostro servizio dopo le elezioni.

E' una conclusione amara...

No, perché? Mio figlio di 14 anni mi vedeva triste in questi giorni e mi ha detto: "ma scusa, in soli due anni e mezzo il governo Prodi ha ottenuto risultati storici, l'ingresso in Europa, la sconfitta dell'inflazione, alcune buone riforme, cosa potevate fare di più?" E mi pare che anche l'uscita di scena, un voto parlamentare alla luce del sole, sia stata una fine gloriosa, trasparente.

Resta il fatto che adesso, dicono in molti, l'Ulivo è morto e sepolto.

E' un problema che andava posto non oggi ma il 23 aprile di due anni fa. D'Alema e Marini l'Ulivo l'hanno sepolto il giorno dopo la vittoria elettorale. I partiti hanno decretato che non siamo in America e sull'Ulivo-partito democratico del futuro non doveva restare in vita nemmeno una piccola illusione. Faccio un paragone: l'Europa della moneta unica è nata ora, ma fin dagli anni '50 anche gli Stati nazionali più gelosi hanno lasciato che se ne discutesse e che ci fosse qualche istituzione che teneva aperta una speranza. Invece nel nostro caso i partiti non hanno voluto neppure che prendesse corpo un piccolo embrione, un'istituzione magari simbolica ma comunitaria in cui si potesse utilmente impegnare qualcuno dei tanti cani sciolti che solo per Prodi e per l'Ulivo si sono avvicinati o riavvicinati alla politica. E ora non abbiamo né i partiti né l'Ulivo. Abbiamo avuto il governo dell'Ulivo, che non era cosa da poco, ma oggi non c'è più. E abbiamo avuto ectoplasmi malriusciti come la Cosa due o l'ennesimo rinnovamento dei popolari che è roba più da piangere che da ridere. I partiti non fanno politica sul territorio, impediscono agli altri di farla, si limitano a inseguire personaggi come Giuliano Amato o Gabriele De Rosa, persone degnissime, ma che non spostano neanche un voto.

Il progetto dell'Ulivo potrà risorgere dalle sue ceneri?

Mi sembra difficile, almeno nel breve periodo. Per convincere le persone a impegnarsi di nuovo con la stessa passione di due anni fa ci vorrebbe un'emergenza gravissima, tipo la possibilità concreta di rivedere Previti al governo, oppure un passo in avanti improvviso, quelle sorprese della storia che ogni tanto capitano. Ad esempio, il referendum sulla legge elettorale, o qualche altra novità che rimetta in gioco la partecipazione a livello territoriale. Magari la stessa improvvisa morte del governo Prodi rimetterà in moto riflessioni ed energie che porteranno poi ad una nuova tappa nella costruzione dell'Ulivo. Chi lo sa. Quelli che, come Prodi (e come me), hanno un altro mestiere e non hanno bisogno della politica per vivere possono essere fieri e soddisfatti del primo Ulivo, e guardare con grande libertà al futuro del secondo Ulivo, se mai ci sarà.