Imola, 27
gennaio
2007
Son
morto
ch’ero bambino
son morto con altri cento
passato per un camino
ed ora sono nel vento
Ad
Auschwitz
c’era la neve
e il fumo saliva lento
nei campi quante persone
che ora sono nel vento.
Questo nostro incontro ha per
tema la pace, ma si svolge nella giornata della Memoria: abbiamo appena
lasciato un fiore in Vicolo dei Giudei, al quale uniamo anche questo
pensiero
iniziale. Religiosi ebrei e cristiani, e di recente anche il Papa,1
si sono interrogati sul silenzio di Dio ad Auschwitz: “perché,
Signore,
hai
taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. Nel 2000,
prima
della sua
relazione scientifica, Walter Kohn,2 ebreo scampato allo
sterminio e
premio Nobel per la Chimica 1998, ha interpellato scienziati e
religiosi
radunati a Roma per il Giubileo con un’altra domanda, per me
indimenticabile.
Non chiedo –ci ha detto– come mai molti, allora, abbiano taciuto;
chiedo invece
a voi: che cosa farete la prossima volta?
Nelle scelte non direttamente legate alla missione avuta da
Gesú, la
Chiesa è tutt’altro che infallibile. Lo dimostra il non breve
elenco di
malefatte per le quali il Papa chiese perdono in quello stesso anno
giubilare.
Anche dopo l’Olocausto la Chiesa ha oscillato, a fronte di governi
totalitari e
non, fra profezia (pace, giustizia, diritti di tutti) e difesa di spazi
propri
di libertà e influenza; con il Concilio ha riconosciuto il grave
rischio insito
in questa seconda strategia,3 ma ne è ancora tentata.
Dobbiamo però riconoscere
che,
almeno sul tema
della pace, la voce della Chiesa è da molti anni forte e chiara,
come
si vede,
ad esempio, ripercorrendo i messaggi delle ultime giornate della pace.
2001, Dialogo tra le culture per una
civiltà dell'amore e della pace. 2002:
Non c' è pace senza giustizia, non c' è giustizia senza
perdono. 2003:
Pacem in
terris: un impegno permanente. 2004: Un impegno sempre attuale: educare
alla
pace. 2005: Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il
male. 2006:
Nella verità, la pace.
In questo contesto s’inserisce il
messaggio di
quest’anno: La persona umana, cuore della pace.4 Il cuore
della
pace, dice il Papa, è la persona umana e la sua dignità:
dono di Dio,
che ci ha
creati a sua immagine, e anche compito, perché Dio ci ha creati
liberi.
Paolo
VI e Giovanni Paolo II, in occasione di precedenti giornate della pace,
hanno
ribadito l’inscindibile legame fra pace e giustizia. Anche stavolta il
Papa lo
sottolinea; l’aspetto piú originale dell'ultimo messaggio
consiste
forse nel
rendere espliciti alcuni aspetti chiave di questo legame: diritti
umani,
uguaglianza fra uomo e donna, rispetto dell'ambiente, accesso alle
fonti di
energia.
Purtroppo
anno dopo
anno, in barba agli appelli della Chiesa, le guerre proseguono, e nuove
ne
scoppiano: nel 2003 anche col contributo del nostro Paese. Siamo spesso
tentati
di far nostra la conclusione disperata della canzone che citavo
all’inizio:
Ancora
tuona il
cannone
ancora non è contenta
di sangue la belva umana
ancora ci porta il vento.
No,
io non
credo
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e che il vento mai si poserà.
Piú
prosaicamente,
qualche anno fa, un vecchio zio esclamava sconsolato: a che servono
questi
richiami del Papa? solo a far vedere che nessuno lo sta a sentire, che
la
Chiesa non conta piú niente. Gli rispondevo, e ripeterei, che
quando
una
religione organizzata nega la propria benedizione ad una guerra, anche
se non
riesce a fermarla, contribuisce a inchiodare i governi alle proprie
responsabilità
e a disinnescare una pericolosa spirale di paura e consenso popolare. E
poi,
che si tratti di guerra o di morale personale, la Chiesa non dovrebbe
aver
paura di proclamare il Vangelo, anche quando nessuno la vuol stare a
sentire.
Enzo Bianchi5 ci ha anzi recentemente ricordato che, a dar
retta a
Gesú, qualche ostilità da parte del mondo dovrebbe
addirittura
rallegrarci:
“Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate,
perché
grande è la vostra ricompensa nei cieli.” 6 Del
resto né
Gesú né suo
cugino il Battista erano popolari fra vip
e
governanti del tempo; e ad uno di questi vip, prima
di morire, Gesú chiarí senza possibilità di
equivoco che il suo Regno
non era
di questo mondo.
Eppure...eppure la nostalgia di una
diretta
influenza delle religioni organizzate sulle scelte dei governi ce
l’abbiamo in
parecchi. Non solo mio zio: nella mia generazione, e anche in quella
successiva, c’è chi pensa in buona fede che, se il Papa o il
Dalai Lama
contassero di piú, tutto andrebbe meglio. Ma in Europa
l’esperimento di
mettere insieme trono e altare è stato già fatto, e ha
prodotto (fra
l’altro)
guerre devastanti e interminabili! A quanto pare la storia insegna
poco: anni
fa una rivista cattolica scriveva che la democrazia non funziona e si
dovrebbero riformare le Nazioni Unite dando potere di veto a una specie
di
Senato delle Religioni. Nessuno ignora le difficoltà della
democrazia
su scala
nazionale, continentale e mondiale. Non c’è il rischio,
però, che la cura
sia
peggiore del male? Chi compilerà la lista delle autorità
religiose
mondiali che
hanno il diritto, a nome di tutti, di parlare e porre veti? Osama Bin
Laden e
l’ayatollah Khamenei saranno inclusi?
In proposito, nel messaggio della
pace di
quest’anno, l’insistenza sul concetto che Dio, attraverso la legge
naturale
scritta nel cuore di ogni uomo, è l’unico fondamento sicuro dei
diritti
umani,
a prima vista non sorprende: che altro dovrebbe dire un Papa?
chiederebbe mio
zio. Anche i non credenti e gli agnostici piú aperti e avveduti,
Kant
alla
mano, si renderebbero conto che il problema posto dal Papa (fondare
principi
morali assoluti su base relativa?) non è poi campato per aria.
Tuttavia,
rileggendo, può capitare che questa insistenza finisca per
aprire piú
questioni
di quante ne risolva.
Un cristiano potrebbe ad esempio
domandare: se
le “oggettive istanze della natura donata all’uomo dal Creatore” sono
l’unica
base sicura non solo per la fondazione dei diritti dell’uomo, a loro
volta
presupposti di una pace vera e stabile,4 ma anche per il
“dialogo
tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi
non
credenti”, che bisogno c’era che Dio mandasse il suo unico Figlio? 7
Un ateo o agnostico, un po’
seccato, potrebbe
invece domandare (in piú d’uno hanno davvero posto il quesito):8,9
chi ha mai detto che alla cultura non religiosa siano preclusi valori
forti?
Chi ha mai detto che chiunque non creda in Dio è automaticamente
un
relativista
senza principi? Quanti atei e agnostici hanno sacrificato la vita per
la
giustizia e la libertà?
A un democratico verrebbe, magari,
la curiosità
di sapere: qual è l’opposto di “relativismo”?10 Non
sarà
mica
“assolutismo”? E’ questo che oggi vuole la Chiesa? Ovvero, come
chiedeva di
recente Zagrebelsky:11 il dialogo a cui la Chiesa si dispone
col
mondo è ispirato alla fede di incontrare anche in tutti gli
“uomini di
buona
volontà”, per usare una famosa definizione coniata dal Concilio,
il
volto e il
soffio di Dio, o è solo una tattica a cui la Chiesa si rassegna
se,
dove e
quando essa si scopre minoritaria nella società e non può
imporsi con
altri
mezzi?
Uno storico potrebbe anche
domandare: se
l’unico fondamento sicuro dei diritti umani è Dio, come mai
libertà,
eguaglianza, fraternità, libera stampa e libero culto, sono
emersi non
dall’autorità religiosa, bensí dal pubblico confronto, da
grandi
battaglie
civili? Nel corso delle quali, fino a non molto tempo fa, la Chiesa
–salvo rari
spiriti illuminati– non solo non promuoveva questi diritti, ma li
avversava
cordialmente e li contrastava fino all’ultimo con tutte le proprie
forze?12
Per non deprimersi, su questo ci sarà molto da aggiungere, nella
chiacchierata
che faremo ora, sui momenti invece positivi del rapporto fra
cristianesimo e
democrazia. La storia suggerisce che il rapporto
cristianesimo-democrazia può
essere anche di amicizia,13,14 e che tale amicizia, quando
funziona,
può dar luogo a straordinari progressi: essa è stata, ad
esempio, al
centro del
processo di ricostruzione dell’Italia e di unificazione dell’Europa
negli
ultimi sessant’anni, e quindi al cuore della pace.15
C’è poi un’ultima domanda
che
potrebbe fare un
sindacalista, o un politico, o un diplomatico, o in genere chiunque
viva nel
mondo e si trovi a prendere decisioni insieme ad altri. Se (a) si hanno
interlocutori che non condividono la nostra fede o la nostra idea di
legge
naturale, che poi è lo stesso, (b) non è in gioco il
dogma della
Santissima
Trinità o altri di pari calibro, (c) si discutono cose
importantissime
(nel
nostro caso diritti umani e pace) sulle quali, però, nessuno
è
infallibile, e
(d) alla fine si deciderà a maggioranza...se e quando si
verificano
queste
quattro condizioni, perché non considerare l’ipotesi di un
confronto
paritario,
lasciarsi un po’ andare, cedere alla voglia e alla curiosità
dell’incontro, vedere
se non ci sia anche qualcosa da imparare dagli altri? Al cuore della
pace, insieme
all’amore per la verità, c'è anche l’abbandono della
presunzione di
possederla per
intero.5 Certo, questa umiltà si basa sulla fede che
Gesú,
attraverso di noi ma anche per altre strade che non conosciamo, stia
già
attirando pian piano a sé tutti gli uomini e le donne, tutti i
popoli,
tutte le culture, tutte le tradizioni; sulla speranza che la nostra
persona e la nostra Chiesa siano uno strumento
formidabile, ma non esclusivo, dell’incontro degli altri con
Gesú. A questa umiltà e a questa speranza evangelica ci
ha richiamato il Concilio.16
Quante domande! offrono l’occasione
di
discutere da adulti cristiani, come chiede la Chiesa italiana dopo
Verona;17
scoprendo, magari, che non c’è solo un grande passato, ma anche
un
grande
futuro per l’amicizia fra cristianesimo e democrazia e per il ruolo del
personalismo cristiano nella promozione dei diritti umani e della pace.
1.
Benedetto XVI, Discorso
ad Auschwitz-Birkenau, 28/5/2006 (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20060528_auschwitz-birkenau_it.html)