Giovanni Bachelet, Micromega 10/2006
Caro Paolo,
anzitutto grazie per avermi incluso fra i “cari tutti”: non solo perché senza Micromega solo i frequentatori di qualche rivista cattolica e del sito di Libertà e Giustizia (nonché del mio visitatissimo sito personale) avrebbero il privilegio di conoscere il bachelet-pensiero, ma perché considero un onore l’inclusione fra i “tutti”. Per risponderti parto da lontano: dalla mia risposta ad un’altra lettera che un caro amico di mio padre, parroco a Torino, mi mandò quasi dodici anni fa. Quando la ricevetti stavo meditando sul perentorio e inatteso invito di Prodi (che all’epoca conoscevo solo di fama) a coordinare i suoi comitati a Roma. Mi domando ancora come l’amico prete l’avesse saputo, visto che non ne avevo parlato a nessuno: potenza del clero, diresti tu! Personalmente propendo per la teoria dell’angelo custode, visto che la lettera diceva piú o meno: lascia stare, l’Italia è nei guai ma tu hai solo quarant’anni, figli piccoli e una professione impegnativa da sviluppare. Non impelagarti in un mondo che forse sfrutterà il nome che porti e poi ti butterà via come un limone spremuto. Prodi fa bene a impegnarsi e tifiamo per lui, ma ha un’altra età e status. E anche cosí, è difficile che riesca a mettere nel sacco preti, banchieri, ex democristiani ed ex comunisti e raddrizzare l’Italia, realizzando i nostri sogni di un Paese migliore: forse batterà Berlusconi ma poi si disferanno di lui; forse perderà e tornerà a casa. Ma può permetterselo: tu no.
Risposi che non m’illudevo: nelle mie previsioni piú rosee c’era un governo migliore del governo Berlusconi, forse un pochino migliore anche dei governi CAF, ma non di piú; in quelle piú nere, poi, un nuovo trionfo di Berlusconi. Mi erano chiari anche i rischi personali su famiglia e carriera accademica. Ma proprio mio padre mi aveva insegnato che, benché la politica non porti il Paradiso in terra (chi ci ha provato, diceva, ha prodotto santa inquisizione, lager e gulag), qualche volta occorre impegnarsi. E farlo coniugando speranze ed entusiasmo con la serena coscienza dei suoi limiti (l’ottimismo tragico di Mounier, il non-appagamento di Moro), perché il bene possibile, e a volte solo il male minore, è già un risultato apprezzabile e mai scontato. Se mio padre, nel 1976, non avesse ragionato cosí, forse sarebbe ancora vivo. Quindi grazie! dissi all’amico prete, ma a Prodi dirò di sí. Era l’inizio del 1995. E nonostante tutto quel che è successo dopo (il prete la sapeva lunga) non mi sono pentito: penso che staremmo infinitamente peggio se Prodi non avesse vinto nel 1996, e sono fiero di aver contribuito, per il poco che potevo, alla sua vittoria di allora.
Lo stesso penso per la seconda vittoria di Prodi, pur avendo
contribuito, stavolta, col voto e poco piú. Non condivido,
insomma, la premessa
maggiore del tuo sillogismo, secondo cui il “nostro” governo è
come e peggio
del precedente, e realizza un berlusconismo senza Berlusconi.
Cosí la premessa
minore, incontestabile –abbiamo contribuito alla vittoria, i vincitori
ci hanno
fatto marameo– la ascrivo a generosità e passione civile: la
tesi secondo cui,
piuttosto che fare i portatori d’acqua, sarebbe “più responsabile,
più morale, soprattutto più
generoso” impedire fattivamente il sorgere di
simili
movimenti, mi pare solo una provocazione. Abbiamo sbagliato? No,
je ne regrette rien. Non rimpiango nulla. Non rimpiango la
Moratti! ho gridato quando un gruppo di no global ha cercato (senza
successo) di appropriarsi,
al grido di “Mussi libero”, della riunione pubblica che il Ministro
aveva
coraggiosamente indetto in un teatro, all’indomani del voto sul decreto
fiscale, per illustrare la Finanziaria a un pubblico di ricercatori e
docenti
molto esigenti. E sempre a proposito della Moratti, ho esultato quando
Fioroni
(che non è Jean-Jacques Rousseau) ha recuperato l’antico nome
“Ministero della
Pubblica Istruzione”, attirandosi subito, checché tu dica della
laicità, le ire
di un cardinale; o quando ha fatto propria l’idea di una “giornata
della Costituzione”
nelle scuole, proposta dal comitato per il referendum all’indomani
della
vittoria.
Anche il compromesso
raggiunto sulle
staminali, partito dal blitz europeo di Mussi,
è un risultato notevole. D’Alema, che per altri
versi non è in cima alle mie simpatie, come Ministro degli
Esteri mi pare
piuttosto bravo (Libano e Afghanistan, per esempio); e per l’Iraq,
l’Europa, l’ONU,
il trio Prodi-D’Alema-Parisi (meno mefitico e appiattito su Bush,
ammettilo,
del trio Berlusconi-Fini-Martino) sta mantenendo, mi pare, gli impegni
elettorali. Potrei continuare, ma sintetizzo: quando penso che otto
mesi fa un
Ministro della Repubblica chiamava gli immigrati “bingo-bongo”, mi
vengono i
brividi.
Dopodiché gran
parte delle delusioni
che elenchi sono anche mie: non tutte, perché, ad esempio, sui
servizi mi
sembra che nel frattempo Governo e Parlamento, pur adottando una
discutibile
linea soft, stiano
arrivando al dunque. Ma l’indulto è stato un pugno nell’occhio,
soprattutto
dopo aver appreso da Vittorio Grevi (Corriere del 29 luglio scorso) che
non era affatto l’unico
modo di ottenere il tanto strombazzato svuotamento delle carceri. Sono
sacrosanti i tuoi cahiers de doléance su giustizia, leggi
vergogna, pluralismo
televisivo; benché, su quest’ultimo punto, la riforma Gentiloni
nel frattempo
presentata non sembri tanto male, almeno a giudicare dalle reazioni
della
destra. Ma poiché, diversamente da quanto suggerisci, Prodi e
Berlusconi non
sono affatto equivalenti, il culmine del dramma è per me il
pericolo di
ritrovarci con Berlusconi per la terza volta, per il combinato disposto
di un
certo numero di delusioni fra gli elettori e l’ormai impenetrabile
tappo fra
cittadini e Parlamento rappresentato dalla nuova legge elettorale: alla
quale
il centrosinistra poteva rimediare autonomamente, forse perfino con
guadagno
elettorale, mentre ha fatto circa il contrario, come tu ricordi.
Non sono appassionato dal
problema
teorico della sopravvivenza dei movimenti, dei quali conservo un’idea
positiva,
ma circoscritta e non messianica. Per citarti, penso che nella
maggioranza dei
casi siano momenti della democrazia rappresentativa; ma, diversamente
da te,
non mi pare poco, specie quando tale democrazia è, per vari
motivi, gravemente
ammalata. Ho fatto il movimentista anche per la Costituzione, e penso
sia
servito; anzi, in proposito, non abbandono il mio improbabile ruolo di
agit-prop, al fianco del giovane comunista Oscar Luigi Scalfaro, contro
nuove
tentazioni di Grandi Riforme, alla faccia del Referendum. Ma la natura
carsica
dei movimenti mi sembra fisiologica, e a livello epidermico non mi
entusiasmano
strilli, slogan, processioni: c’è voluto Berlusconi, e anche lo
stile
originario dei Girotondi (niente bandiere e passerelle sui palchi;
orari
compatibili con la vita di chi lavora), per trascinarmi in piazza. Sono
poi
persuaso, forse per la mia formazione cristiana e scout, che certe
malattie del
sistema politico abbiano origine sociale e civile, e vadano curate
anche, se
non soprattutto, sul piano pre-politico: dalla lealtà alla
cultura delle
regole, dalla solidarietà all’ambiente. Temo infatti che vite
smarrite e prive
di gioia e speranza, come quelle che emergevano anche nei personaggi
positivi
del Caimano, non riescano a sostenere per piú di una generazione
passioni
civili e democratiche: senza un adeguato alimento culturale e/o
spirituale, non
si resiste alle ballerine, alle lotterie, al modello egoistico SSSS
(soldi
salute sesso successo) del circo mediatico. E sulle ceneri
dell’amarezza non si
costruisce niente.
Però, e forse ti
meraviglierai,
concordo, in gran parte, con la conclusione del tuo sillogismo.
Sommando il
rischio di un Caimano tris e la realtà di una democrazia
rappresentativa da
tempo gravemente sofferente, l’immaginazione democratica va
urgentemente
esercitata, non per un astratto problema di rapporto fra movimenti e
società,
ma per una concreta emergenza democratica non ancora superata. Concordo
anche
che l’unico linguaggio comprensibile ai partiti sia la concreta
minaccia di
quella che tu chiami sottrazione di rappresentanza. Ma temo che al
poker delle
elezioni l’ipotesi che prospetti alla fine –una lista autonoma, le cui
tappe si
snodino fin d’ora– appaia fin dall’inizio un bluff, una pistola a salve. Che
non li voteremo piú,
anche a rischio che vinca una terza volta Berlusconi, non è una
minaccia
credibile: purtroppo sanno bene che io, te e i “cari tutti” non faremo
mai come
Renzo Foa o Ferdinando Adornato. La lista che faremmo non sarebbe
fungibile per
improbabili salti della quaglia; al massimo si tratterebbe di un bis
dell’esperimento
fatto alle Europee 2004 con la lista Di Pietro-Occhetto (da me votata,
come ho
avuto la fortuna di raccontare proprio su Micromega); che però
non ha avuto, lo
dico con dispiacere, un impatto particolarmente significativo. Certo
molto
dipende dalle occasioni e relative leggi elettorali, e in tal senso
vale senz’altro
la geometria variabile di cui parli. Ma se vale anche la prima parte
della tua
lettera aperta, perché ripercorrere per l’ennesima volta “ogni
tappa della
deriva minoritaria”?
A me pare che una delle
strade da te
indicate in forma dubitativa –partecipare alla nascita del Partito
Democratico–
sia la strada maestra. Se di fronte alle grandi manovre sul Partito
Democratico
non solo noi, ma anche altri che dodici anni fa credevano nell’Ulivo,
regrediscono verso “ritrite giaculatorie” sul socialismo, sul
cattolicesimo
democratico ed altro, brandendo ognuno il proprio pugno di voti, vuol
dire che
l’operazione sta partendo col piede sbagliato. Provare a premere
affinché parta
col piede giusto è per me un esperimento da fare: se non altro
per essere noi
quelli che, al poker della rappresentanza, dicono “vedo” e scoprono il bluff.
Certo la nomenklatura del
dopo-Prodi
sembra già delineata. Possibile che Veltroni Rutelli Letta e
tante altre
bravissime persone siano disposte a rischiare le loro fiches elettorali al poker di
primarie vere?
e noi cani sciolti ed elettori orfani, ma anche altre persone in gamba
come
Rosy Bindi o Mussi, e perché no, la Bonino o Bertinotti,
troveremmo il coraggio
di sorprendere tutti dicendo “ci sto”, e poi “vedo” –col rischio di
scoprire,
come i no global
alle primarie, di pesare lo zeroqualcosa percento? Sembra improbabile.
Ma le
prime elezioni importanti, le Europee, sono nel 2009, non domani;
c’è tempo,
forse, di farci su un pensierino e uno sforzo di immaginazione
democratica. Se
mantengo una tenue speranza in proposito è perché, da un
lato, non vedo altre
strade, se non come ripiego; dall’altro, perché mantengo una
grande fiducia in
Prodi: il sogno di un soggetto politico unitario ha accompagnato da
sempre il
suo impegno, le due vittorie contro Berlusconi portano la sua firma, e
diversi
atti di governo italiani ed europei, negli ultimi dodici anni, mi hanno
entusiasmato. Lo sai che solo il progetto Galileo della Commissione
Europea
impedirà che il controllo dei cieli sia monopolio USA? Ma poi,
caro Paolo, tu
sai che per me Romano è come per Charlie Brown il Grande
Cocomero. Mi
perdonerai, quindi, se sul Partito Democratico e sul governo,
piú che alle tue
staffilate, mi sento vicino a Francesco Guccini, che qualche giorno fa
gli ha
detto a Bologna: “Resisti, resisti, resisti”.
Un abbraccio e un grazie per il tuo impegno di sempre,
Giovanni Bachelet