Formare e guidare, sicurezza e ottimismo

Giovanni Bachelet su Nuova Responsabilità (rivista dell’Azione Cattolica), agosto 2004

L’anno si chiude. Gite e feste parrocchiali, saggi e spettacoli dei figli; programmi per l’estate e dopo l’estate. Per qualcuno dei ragazzi esami scritti e orali; dubbi e riflessioni su scelte piú o meno imminenti di vita, di lavoro o di studio. Per giovani e adulti anche quella del voto: come orientarsi? quale città e quale Europa vogliamo?

La scuola, la famiglia, la comunità cristiana, i soggetti politici sono comprensibilmente preoccupati della propria organizzazione e sopravvivenza in una postmodernità sempre piú liquida, nella quale a legami forti e stabili sembrano progressivamente sostituirsi legami sempre meno forti e definitivi. Questa latente insicurezza può però diventare una cattiva consigliera, se arriva a far trascurare funzioni importanti, in alcuni casi addirittura costitutive, come quella di formare le persone e aiutarle a star dritte, a guardare in alto, a capire se stesse e il mondo in cui vivono; e perciò ad acquistare sicurezza e indovinare il piccolo o grande contributo che, ai vari livelli, possono ragionevolmente dare. Ciò può succedere quando si dimentica che l’istituzione dovrebbe essere al servizio della persona, e non viceversa, e si pone l’azione e l’organizzazione al di sopra del confronto, della discussione, della riflessione, dell’approfondimento critico, ritenuti fonte di disgregazione o perdita di tempo.

Certo senza diligenza, capacità di collaborazione ed umile gioco di squadra non si costruisce niente. Ma le comunità che premiano soltanto queste virtú allevano buoni gregari e scoraggiano il pensiero e l’azione autonoma e responsabile, lo spirito d’iniziativa e la capacità di rispondere efficacemente a situazioni impreviste, contribuendo, alla fine, all’effetto che vorrebbero combattere. Infatti, discostandosi dallo stile di Gesú (vi ho chiamati amici...), sfornano persone incapaci di orientarsi al di fuori della città, della comunità, della famiglia d’origine (nelle quali peraltro, data appunto la nuova situazione economica e sociale, è sempre piú improbabile permanere vita natural durante); persone disarmate di fronte al pensiero e allo stile di vita prevalenti; persone incapaci di competere efficacemente, e meno che mai d’imprimere una direzione al mondo che cambia. Difficilmente queste persone potranno essere testimoni, maestri o leader attorno ai quali l’umanità di domani si aggregherà in modo nuovo, vivendo nuove stagioni; difficilmente, sciogliendosi nel liquido postmoderno, sapranno dargli sapore o colore; piú probabilmente, in mare aperto, vagheranno senza meta come molecole anonime e insipide.

Fra un mese saremo in piena estate. Se un anno di maratone organizzative della nostra famiglia, associazione, chiesa, comunità politica, non è servito solo alla sopravvivenza di una famiglia o di una sigla, ma ha saputo fornire spinte e spunti illuminanti per esami, elezioni, decisioni personali, professionali o di studio, allora possiamo essere soddisfatti. Se invece – come a volte capita a me – ci assale il dubbio di aver girato a vuoto, potremmo provare a far nostro, per il futuro, il proposito annotato da mio padre quarant’anni fa sulla sua agendina, nel giugno 1964, nei giorni della nomina a presidente dell’Azione Cattolica: “Per formare occorre lasciare discutere e lasciar vivere, dando ideali. E ottimismo. Per guidare gli altri ci vogliono sicurezza e ottimismo.”