Un laico
nelle istituzioni e nella Chiesa
Giovanni Bachelet su Segno
nel Mondo (rivista dell’Azione Cattolica), febbraio
2005
Negli anni '70 del secolo scorso, nell'esplosione dell'entusiasmo
post-conciliare, un ruolo importante lo ebbe la riscoperta del ruolo
dei laici nella Chiesa come adulti responsabili e partecipi, non
piú sudditi o al massimo solerti collaboratori. Mio padre si
trovava a dirigere la piú grande associazione di laici e ad aver
ricevuto dal Papa il mandato di rinnovarla nella scia del Concilio.
Fece anche parte, in quegli anni, del Pontificium Consilium de Laicis
(che ora si chiama Pro Laicis), uno dei nuovi dicasteri istituiti da
Paolo VI nell'ambito della profonda riforma della Curia del 1967. A
quell'epoca, in Italia, le rivendicazioni operaie e studentesche
conoscevano il loro boom, e anche nella Chiesa c'era chi interpretava
questa nuova responsabilità dei laici in chiave piú o
meno sindacale, come un confronto e una ridefinizione di poteri e
prerogative fra preti e fedeli.
Papà mi spiegò una volta che quella di laico non è
una qualifica prevalentemente negativa (laico come non-prete) ma
positiva: laico, lo suggerisce l'etimologia (in greco deriva da laos,
popolo), vuol dire membro del popolo. Nel caso della Chiesa laico vuol
dire anzitutto membro del popolo di Dio. La riscoperta dei
laici derivava anzitutto da una riscoperta della Chiesa
come Popolo di Dio, da una nuova consapevolezza della centralità
del Battesimo e della vocazione cristiana di tutti i battezzati.
Rispetto a chi ha il ministero
dell'Eucarestia, del perdono dei peccati, del governo del
gregge, i laici non sono utenti e nemmeno una controparte, ma un
pezzo della stessa famiglia, un ponte verso il mondo, un
prezioso deposito di competenza e responsabilità:
Quando essi,
dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia
associati,
non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si
sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno
volentieri la
loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel
rispetto
delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza
tregua
nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione. Spetta alla loro
coscienza, già convenientemente formata, di
inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai
sacerdoti
i laici si aspettino luce e forza spirituale (Gaudium et Spes 43). Dunque in campi opinabili eppure
di vitale
importanza, come ad esempio la politica, i "semplici battezzati",
individualmente o in gruppo, potevano e dovevano assumere le proprie
responsabilità, senza aspettare l'imbeccata dei preti e
senza rivendicare
esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della
Chiesa (ivi).
Quanto sia difficile per laici, preti e
vescovi rispondere a questo esigente mandato conciliare, crescendo
nella fede e costruendo con gradualità ed equilibrio nuove
abitudini (all'interno della Chiesa e nel rapporto Chiesa-mondo) ce lo
dicono i quarant'anni che ci dividono dalla Gaudium et Spes. Nel
venticinquesimo anniversario della morte di mio padre, alla vigilia di
un difficile referendum sulla fecondazione assistita, vale la pena di
ricordare le sue scelte in un altro referendum, quello del
divorzio. Era convinto, da cittadino e da giurista prima
che da cristiano, che la legge Fortuna-Baslini, approvata dal
Parlamento durante la sua presidenza, fosse una pessima legge; al
referendum, nel 1974, votò sí all'abrogazione e lo
scrisse anche su Avvenire. Ma in quello stesso articolo, mentre la DC
di Fanfani suonava le trombe della civiltà cristiana, Carlo
Carretto scriveva una poesia-preghiera "Signore, fa che gli Italiani
votino no", e Pietro Scoppola aveva inventato l'astuzia, poi
rientrata, dell'astensione (corsi e ricorsi della storia), papà
scrisse con garbo che occorreva solo domandarsi qual era il vero
bene del popolo italiano, mentre il "Gott mit uns" elettorale non era
accettabile da nessun pulpito e faceva male a tutti. Una posizione
chiara, che, infatti, nessuno riprese e capí fino in fondo.
Salvo forse l'anonimo che, qualche anno prima, gli scriveva lettere
tremende, con minacce di morte, per
aver rifiutato, da presidente, di coinvolgere l'Azione Cattolica nella
raccolta delle firme (ricordo la cura con cui le strappava in mille
pezzettini e le buttava nel gabinetto). Chissà se piú di
trent'anni dopo le cose andranno meglio.