Intervento di Giovanni Bachelet alla Giornata della Giustizia dell’ANM Teatro Brancaccio, Roma, 22 novembre 2003

Sono fiero di poter portare un saluto a questa giornata della giustizia e ringrazio l’ANM e il suo presidente Bruti Liberati per l’onore di quest’invito. Nel venire qui ho rinunciato ad andare a pregare con gli Ebrei al Tempio Maggiore, secondo l’invito di Gad Lerner, e anche a partecipare alla commemorazione in Comune di John Fitzgerald Kennedy, morto quarant’anni fa a Dallas. Consentitemi allora di salutarvi aggiornando il famoso motto “Ich bin ein Berliner”[1]: in questo 2003 ogni uomo libero, in Italia, è orgoglioso di dire “Io sono un disturbato mentale”!

L’ho detto al vostro Presidente: la mia competenza è in tutt’altro campo, e la mia presenza si limita a testimoniare la simpatia e l’affetto da parte del figlio di un giurista che, se non avesse accettato di fare il vicepresidente del CSM, oggi avrebbe 77 anni e sarebbe, forse, ancora vivo; la solidarietà e l’attenzione di un Garante di “Libertà e Giustizia”, associazione che compie in questi giorni il suo primo anno di vita ed ebbe fra i fondatori anche Galante Garrone, che avete appena commemorato; la gratitudine di un cittadino che vede in voi magistrati, nella vostra autonomia e indipendenza, una garanzia dei propri diritti fondamentali, quali la libertà e l’uguaglianza di fronte alla legge.

Dall’epoca della mia giovinezza ad oggi, la magistratura, nel fare il suo normale dovere - indagare sui singoli reati - si è imbattuta nel terrorismo, nella corruzione, nella mafia, e a caro prezzo ha sempre tirato dritto, senza guardare in faccia a nessuno. Da ultimo si è imbattuta nel reato forse piú infamante: la corruzione giudiziaria. Anche qui, malgrado l’enorme danno che poteva derivarne al prestigio dell’intero ordine giudiziario, non si è voltata dall’altra parte: ha avuto il coraggio del proprio dovere. E ha dimostrato che la legge è veramente uguale per tutti, salvando l’onore della magistratura. Se il grosso dei banchieri, degli industriali e dei politici avesse avuto simile coraggio e compattezza rispettoad alcuni fatti e personaggi loschi dei propri rispettivi ambienti – me lo disse una volta il professor Nino Andreatta e l’ha ripetuto qualche tempo fa Barbara Spinelli sulla Stampa - non solo la loro posizione nella classifica nazionale della fiducia sarebbe piú vicina a quella dei magistrati, ma forse l’Italia si sarebbe risparmiata, negli ultimi decenni, piú d’una catastrofe politica, finanziaria e morale.

Oltre all’autonomia e indipendenza c’è un’altra parola chiave, che appare anche nel vostro invito di oggi: efficienza. Non ho competenza per trattarlo, ma osservo che di quest’aspetto, direttamente collegato ad un’inaccettabile lunghezza dei processi, si parla da almeno 25 anni – quando mio padre era al CSM. Al neo-presidente Pertini, ad esempio, mio padre segnalò nel 1978 l’urgenza di “…ottenere quegli strumenti – il cui apprestamento appartiene alla responsabilità di altri poteri dello Stato – che sono indispensabili per il funzionamento e la tempestività dell’amministrazione della giustizia: dai necessari interventi legislativi in tema di ordinamento giudiziario e disciplina processuale…alla predisposizione delle indispensabili strutture edilizie e tecniche, alla congruità del personale di cancelleria e ausiliario…”[2]

Certo in questo momento la responsabilità degli altri poteri dello Stato è ai suoi minimi storici, con unGoverno che combina tagli al bilancio della Giustizia e blocco delle assunzioni con interventi legislativi il cui fine non sembra quello della tempestività, ma semmai dell’allungamento dei processi fino a prescrizione avvenuta; senza contare gli insulti gravi e gratuiti. A questo vero e proprio attacco al cuore dello Stato occorre credere e sperare che i cittadini e le altre istituzioni reagiscano democraticamente, come già sta avvenendo.

“Conforta la saldezza di uno schieramento che ha profonde radici morali. Ma si tratta, non dimentichiamolo, d’incassare ancora molti colpi, conservando la calma e il controllo di sé. Si tratta di continuare a credere nel valore delle istituzioni, mentre esse sono sottoposte a dura prova, e ne risulta obiettivamente messa in gioco la funzione, che è di contrastare con forza, con successo, qualsiasi arbitrio… Questa guerra di logoramento è dura da combattere. Io non dubito dell’esito finale, ma certo sento viva la preoccupazione per l’alto costo che un tale stato di cose comporta, e per le distorsioni, sia pur solo temporanee, che possono prodursi sul piano psicologico e politico. Bisogna rispondere con vigore, con ponderazione e soprattutto con quella concordia che è naturale e doverosa, quando viene così gravemente messo in forse lo stesso fondamento della convivenza civile.”[3]

Queste ultime non sono mie parole: sono state pronunciate da Aldo Moro nel 1977, in tempi di terrorismo; ma a me sono parse buone anche per il nostro nuovo, ben diverso contesto. E’ la vostra concordia ad aver consentito che il CSM continuasse a funzionare. E’ la vostra ponderazione che consentirà di mantenere un clima sereno in condizioni tanto difficili. Dovrete resistere senza nutrire dubbi sull’esito finale della buona battaglia, e senza farvi trascinare dalla parte del torto.

Questa concordia e questa ponderazione serviranno anche quando questo Governo non ci sarà piú, perché, se è vero che le attuali enormità non hanno precedenti, è anche vero che i problemi di efficienza accumulati in 25 anni non sono certo imputabili soltanto ad esso. E quindi anche in un futuro piú roseo del presente occorrerà, io temo, vigilare con serena fermezza su valori e principi non negoziabili dello Stato liberale, rivendicando ai moderati di ogni schieramento, quale io mi ritengo, il diritto a non essere chiamati estremisti per il solo fatto di tifare per i giudici onesti e i carabinieri anziché per i ladri e i giudici corrotti; di credere nella legalità e insegnarla ai propri figli; d’insegnare loro che Paolo Borsellino era “un vero eroe, che non ha esitato a mettere da parte i suoi interessi e le sue paure in nome della comunità e del Paese”, come ha detto l’altroieri l’attore americano Russell Crowe, e non un disturbato mentale, come dicono altri.

Ci vorrà tempo per liberarci democraticamente di questo Governo, ma ci vorrà ancora piú tempo per vincere la battaglia di un’Italia rinnovata nella politica e nel costume. Questo non è impossibile, se conserveremo la fede e lo stile dei primi girotondi, dai quali è partita la riscossa del Paese; se ricostruirermo ponti fra la società e la politica, come tentano di fare Libertà e Giustizia, Opposizione Civile, MicroMega, e tante reti di cittadinanza attiva che non sono rumorose ma sono molto solide; se seguiremo l’invito di Martin L. King nel suo famoso discorso:

“…dovremo sempre condurre la nostra lotta dal piano alto della dignità e della disciplina… dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde all’arroganza e alla prepotenza con la forza dell’anima”.[4]

Riferimenti

1.    John F. Kennedy, Remarks in the Rudolph Wilde Platz, Berlino, 26 giugno 1963 http://www.jfklibrary.org/j062663
2.    Il Consiglio Superiore di Vittorio Bachelet, a cura del CSM, Arti Grafiche Jasillo, Roma 1981
3.    Aldo Moro, maggio 1977, ripreso da Vittorio Bachelet al CSM il 9 maggio 1978, op. cit.
4.    Martin Luther King jr., dal discorso “Io ho un sogno” tenuto a Washington il 28 agosto 1963