Intervento di Giovanni Bachelet sul tema “Fatti di coraggio”

Capitolo Regionale delle Scolte e dei Rover dell'AGESCI, Argenta, domenica 11 maggio 2003

Saluto le autorità e ringrazio i capi per avermi invitato a questo vostro capitolo regionale, in un luogo e in un tempo quasi sacri per i democratici, per i cattolici, per gli scout italiani: la piazza di Argenta, 80 anni dopo il sacrificio di don Minzoni. Il tema del vostro capitolo regionale è il coraggio, e di questo anch'io sono invitato a parlare con voi. Trent'anni fa anch'io ero Rover. Il mio capo Clan era Paolo Giuntella. Ora fa il giornalista; lo vedete ogni tanto al TG1. Oltre a campi e veglie che non dimenticherò, ci fece leggere parecchia roba. La costituzione conciliare Gaudium et Spes [1]. Il Personalismo di Mounier [2]. La Costituzione Italiana [3]. Bob Kennedy [4], Martin Luther King [5]. I giornali. Mentre molti strillavano (ed altri piú tardi sparavano) alcuni di noi ebbero il privilegio di essere educati alla curiosità di capire il mondo e all'ambizione di trasformarlo senza violenza, ma anche senza cedimenti e compromessi con la propria coscienza. Leggere, studiare, discutere (di storia, di fede, di politica), sono attività che non sono mai state molto popolari nei nostri Clan. Ma per me furono preziose, e per questo ho deciso di proporvi, piú che pensieri miei, una serie di brani sul coraggio che rimandano a libri da leggere (o rileggere) e, in qualche caso, a documenti che vale la pena di ripescare su internet. Se vi verrà voglia di leggerne qualcuno avrò avuto successo. Comincio con un libro che va spesso riletto, e molti di voi hanno letto o stanno leggendo a scuola [6].

Don Abbondio

Don Abbondio… se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch'io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alla larga da' prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un'intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl'incontrava per la strada, il pover'uomo era riuscito a passare i sessant'anni, senza gran burrasche.

… Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno almeno un imprudente; l'ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que' suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d'un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch'era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero… Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri.

Continuo con la storia di un altro prete: quello che commemoriamo oggi [7].

Don Giovanni 1885-1923

Don Giovanni Minzoni, insieme ad altre opere sociali e giovanili, aveva lanciato nella parrocchia di Argenta, tre mesi prima della morte, gli Esploratori: una grande novità nell'Italia di allora. Fu uno dei primi Assistenti Scout.

A qualcuno dispiaceva l’operato di don Giovanni. Non mancarono le minacce, più o meno violente (tentarono perfino d’incendiargli il circolo cattolico). Di notte, a più riprese, i fascisti argentani andarono a cantargli il "Requiem " e il "De profundis" sotto le finestre della canonica, ma egli continuò deciso il suo lavoro apostolico.

Nel luglio 1923, un mese prima della morte, l’Assistente Regionale degli Scout fu chiamato ad Argenta per tenere una conferenza pubblica nel teatro del circolo cattolico. Monsignor Emilio Faggioli era stato chiamato apposta da Bologna [dove, nell'Aprile 1917, aveva fondato nella parrocchia di San Giovanni in Monte il primo riparto ASCI dell'Emilia Romagna, il Bologna I "Pro Fide et Patria"] da Don Minzoni, per parlare degli Esploratori. Don Giovanni lo presentò al pubblico che gremiva la sala e gli diede la parola.

Monsignor Faggioli spiegò le finalità dello scautismo: "attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo — disse fra l’altro l’oratore — noi intendiamo formare degli uomini di carattere... ".

Dalla galleria una voce interruppe per dire: "C’è già Mussolini... ".

L’interruzione minacciosa creò subito una fenditura nell’ambiente mentre don Minzoni, alzatosi da mezzo il pubblico, si sentì istintivamente portato dalla sua irruenza romagnola verso il luogo donde era uscita la voce. Monsignor Faggioli intanto rispondeva che lo scautismo agisce al di sopra e all’infuori della fazione politica e continuava la relazione tra la compatta unanimità degli ascoltatori, soprattutto giovani, che reagivano battendogli calorosamente le mani.

"Vedrete da oggi — terminò l’oratore — lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello in testa ed il giglio sul cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta...".

"In piazza non verranno" — interruppe di nuovo la voce del segretario del fascio locale dalla galleria. Ma questa volta rispose don Minzoni stesso: "Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!". L’applauso immenso dei suoi giovani troncò il dialogo.

Poco piú di un mese dopo, il 23 agosto 1923, due sicari lo sorpresero per le vie di Argenta di sera, insieme ad un giovane del suo gruppo. Gli fracassarono il cranio a randellate. Morí un'ora dopo.

Aveva scritto nel suo diario: "A cuore aperto, con la preghiera che spero non si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo… la religione non ammette servilismi, ma il martirio."

Il terzo brano che vi propongo è una lettera, fino a poco fa inedita, di una santa del nostro tempo [8].

Edith Stein a Pio XI (12 aprile 1933)

Padre Santo!

Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da 11 anni figlia della Chiesa cattolica, ardisco esprimere al padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tedeschi.

Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo.

Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci - tra i quali ci sono dei noti elementi criminali - raccolgono il frutto dell’odio seminato.

Le defezioni dal partito che detiene il governo fino a poco tempo fa venivano ammesse, ma è impossibile farsi un'idea sul numero in quanto l’opinione pubblica è imbavagliata. Da ciò che posso giudicare io, in base a miei rapporti personali, non si tratta affatto di casi isolati.

Sotto la pressione di voci provenienti dall’estero sono passati a metodi più "miti" e hanno dato l’ordine "che a nessun ebreo venga torto un capello".

Questo boicottaggio - che nega alle persone la possibilità di svolgere attività economiche, la dignità di cittadini e la patria - ha indotto molti al suicidio: solo nel mio privato sono venuta, a conoscenza di ben 5 casi.

Sono convinta che si tratta di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Si può ritenere che gli infelici non avessero abbastanza forza morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono.

Tutto ciò che è accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo che si definisce "cristiano". Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania - e, ritengo, di tutto il mondo - da settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo.

L’idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse, non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli?

Non è in assoluto contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla croce pregava per i Suoi persecutori? E non è una macchia nera nella cronaca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l’anno della pace e della riconciliazione?

Noi tutti, che guardiamo all'attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco.

La guerra contro il Cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il Giudaismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perché nessun cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso.

Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo la benedizione apostolica,
Dott.ssa Edith Stein
docente all’istituto tedesco di Pedagogia scientifica presso il Collegium Marianum di Münster

Questa lettera è veramente agghiacciante, specialmente se si pensa al tempo in cui fu scritta, al destinatario, a quel che successe dopo. Il coraggio di questa denuncia apparentemente non serví a nulla. E apparentemente non serví a nulla nemmeno il coraggio di Edith Stein, ebrea, che, pur diventata cristiana, e suora carmelitana, non volle abbandonare il destino del suo popolo e morí in un campo di sterminio. Forse va aggiunto che, se pochi mesi fa (inizio 2003) abbiamo conosciuto questa lettera, è merito di un altro atto di coraggio: quello di un Papa che, oltre a proclamarla santa nel 1998, ha pochi anni dopo ordinato di aprire agli storici gli archivi vaticani, anche a rischio di pubblicare documenti come questo. Un Papa che nel Giubileo ha cominciato a parlare degli errori della Chiesa, ad insegnarci che la Chiesa non è infallibile in tutto. Ci vuole coraggio anche per questo. Certo non mancano le contraddizioni: uno spiritoso capo scout, in un forum telematico aperto da un giornale cattolico proprio all'epoca del Giubileo, domandava, con qualche umorismo: fra quanti secoli chiederemo scusa per gli sbagli di oggi? Ma la mancanza di lucidità e di coraggio non fu, allora, esclusiva dei Pastori: con rare eccezioni la generazione dei miei genitori, la stessa del Presidente Ciampi, aprí gli occhi molto piú tardi, con la guerra. Lo vediamo nel brano di un libro appena uscito, che è opera di un gruppo di ragazzi come voi, i ragazzi del liceo scientifico di Sulmona [9].

Dal diario di Carlo Azeglio Ciampi 1943

Giunsi a Scanno dopo l'8 settembre 1943, quasi per caso… vi giunsi dopo aver provato, come tanti giovani militari, l'amarezza della dissoluzione dell'esercito, l'umiliazione della disfatta, la rabbia perché non ci era stato dato modo di reagire…

Nel silenzio di queste montagne si avviò un dialogo, una riflessione in primo luogo all'interno di noi stessi, con le nostre coscienze. Ci ponevamo la domanda sul come ritrovare il fondamento del vivere civile. Riconquistammo la serenità nei nostri animi a mano a mano che acquisimmo la consapevolezza intima dei valori alla base della vita di una collettività: in primo luogo la libertà, intepretata e applicata nel quadro del vivere in comune, il rispetto cioè della libertà e dei diritti degli altri come condizione per rivendicare la libertà e i diritti propri. Rinacque in noi il sentimento dei valori che uniscono un comunità…

Prima di concludere, consentitemi di raccontarvi un po' alla rinfusa altre storie di coraggio che hanno influito sulla mia vita e, penso, su quella di molti altri.

Walter Kohn

Ebreo fuggito dall'Austria a 15 anni con l'ultimo Kindertransport, oggi premio Nobel per la Chimica, negli anni 50, pur essendo da poco emigrato in America, ebbe il coraggio di rifiutare la firma di un giuramento maccartista - il giuramento di non essere mai stato comunista. Me lo ha raccontato lui stesso con grande semplicità, 50 anni dopo, dicendomi con un sorriso: credevo che mi avrebbero licenziato, invece non successe niente. L'anno dopo il giuramento fu abolito. Nel 2000 ha avuto ancora coraggio: quello di dimenticare ogni rancore (aveva visto coi suoi occhi il cardinale di Vienna fare il saluto romano al messo di Hitler nel giorno dell'Anschluss) e accettare l'invito al Giubileo dei Fisici. Dopo il viaggio a Roma e il suo commovente incontro col Papa, avendo letto la "Dominus Jesus", ha poi deciso di scrivere al Papa per dirgli che…alcune cose non gli piacevano. Dal Vaticano, contro ogni mia previsione, gli è arrivata nel giro di poche settimane un'affettuosa risposta [10]. Ma il Papa riceve tante lettere. L'avrà letta davvero, oppure un segretario avrà deciso che non valeva la pena disturbarlo e avrà risposto per lui? Forse dovremmo domandarcelo anche per la lettera di Edith Stein a Pio XI. Ecco, vorrei dirvi: non è detto che diventiate papi, ma può darsi che qualcuno di voi diventi segretario. Al di sopra di una certa responsabilità, nessuno può seguire personalmente tutto quello che succede. Che responsabilità, allora, anche quella di fare il segretario. Quanto coraggio ci vuole per non appiattirsi nel servilismo, per fare da filtro in modo onesto e fedele, fornendo un quadro realistico e sincero del mondo circostante! Tornando a Kohn, oltre all'immenso contributo che ha dato e ancora dà alla Fisica e alla Chimica Teorica, non è ancora stanco. Fino a poco fa andava in pattini a rotelle; a gennaio ha messo insieme 40 premi Nobel americani per un documento contro la guerra in Iraq [11].

Paolo Sylos Labini

Kohn non è il solo vecchietto arzillo che conosco. Ad un altro amico, anche lui piú che ottantenne ma col cuore da ventenne, il grande economista Paolo Sylos Labini, devo la piccola ripresa d'impegno politico negli ultimi mesi. Il suo esempio e la sua spinta mi hanno aiutato a non rassegnarmi all'Italia nella quale, da due anni, mi sveglio ogni mattina; a credere che qualcosa dovevo e potevo provare, se non altro per potermi ancora guardare allo specchio la mattina, quando mi faccio la barba. Il tempo vola e mi limito a segnalare il suo ultimo libro, il diario di un cittadino indignato [12].

Giovanni XXIII

Sempre a proposito di vecchietti arzilli, che dire del Papa della mia infanzia, il santo Papa Giovanni, eletto alla soglia degli ottant'anni con l'idea di un "papato di transizione"? Che coraggio, quello di convocare un Concilio e poi promuoverne la pienezza di dibattito, generando un tempo nuovo. Che coraggio, abbracciare le lingue nazionali abbandonando una liturgia che durava da quattro secoli (credo di essere uno degli ultimi che ha fatto la prima Comunione in latino). Che coraggio, condividere gioie e speranze, angosce e dolori dell'umanità, instaurare un rapporto nuovo col mondo, nel quale la pace, la libertà e il progresso dei popoli valgono piú degli interessi mondani della propria pur santa organizzazione… una conversione certo difficile, ancora in via di compimento, con esiti contraddittori: al miracolo di una Chiesa non piú schierata coi potenti del mondo, che fa muro contro l'inganno di una nuova guerra di religione, si affianca ancora, in alcune circostanze nazionali e internazionali, l'antica tentazione dei privilegi temporali. Ma ormai il dado è tratto [13].

Mio padre

In questa carrellata di "capitani coraggiosi" ci metto anche mio padre [14]. Era talmente poco retorico e cosí tranquillo, che il valore e la difficoltà di alcune sue decisioni, in alcuni casi le decisioni stesse, le hoapprezzate solo dopo, apprendendole dai suoi amici e colleghi dell'Università, dell'Azione Cattolica, del Consiglio Superiore della Magistratura. Il coraggio d'impegnarsi senza risparmio - nel lavoro, nell'associazionismo, e alla fine, con una certa riluttanza, in politica e nelle Istituzioni. Il coraggio, pur essendo un esperto di diritto amministrativo, di non fare mai soldi attraverso consulenze (questo me l'ha spiegato una volta un suo collega). Il coraggio di avere a che fare con la magistratura in un tempo in cui ne ammazzavano parecchi (per i magistrati la vita non è mai stata facile), e di rifiutare la scorta, anche dopo la strage della scorta di Moro nel 1978. Ma tutto senza clamori e senza sparate. Un ricordo, per capire che tipo era: in quegli anni non si riusciva a celebrare il primo processo alle Brigate Rosse, perché i cittadini chiamati a formare la giuria popolare fornivano via via certificati medici o altri documenti per essere esonerati da un incarico che, secondo i minacciosi proclami dei brigatisti, sarebbe costato loro la vita. Finalmente qualcuno accettò. Io e papà guardavamo insieme la televisione quando uno di questi eroi civili, un cittadino di Torino, fu intervistato con la consueta delicatezza e psicologia: "Ma lei non ha letto le minacce di morte dei terroristi? non ha paura?" Lui rispose "La paura ce l'ho, ma me la tengo." Mio padre mi disse allora (e quante volte ci ho ripensato poi): ecco, questo non è un trombone, questo è un vero uomo.

Il chicco di grano

Quasi tutti i testimoni di cui ho parlato finora, sono stati, almeno in qualche momento, visti come traditori. O almeno come fessi, illusi, come gente che non si fa i fatti suoi o ha sbagliato i calcoli (un cardinale, subito dopo la morte di Giovanni XXIII, disse che ci sarebbero voluti 40 anni per rimediare a tutti i danni che aveva fatto). Nessuno di essi, però, ha fatto il grillo parlante. Non erano - non sono, alcuni sono vivi e vegeti - vuoti proclamatori di valori e facili denunciatori di mali. Ma profeti nel senso vero del termine: persone cioè capaci non solo di leggere il proprio tempo, ma anche di mettere a punto e realizzare progetti che hanno lasciato un segno. Solo alcuni di essi hanno fatto politica, e per una piccola parte della vita; tutti, invece, hanno lavorato nell'ambito dell'associazionismo e delle realtà educative, giovanili, universitarie. Dunque uno dei modi piú efficaci di cambiare il mondo è quello che fate voi, adesso: respirare ideali che non tramontano, educarsi alla fede, alla democrazia, alla libertà, all'umiltà e alla durezza del lavoro comune, alla bellezza e alla feconda fatica dell'incontro con gli altri, della strada, e, lasciatemi aggiungere, dello studio.

Purtroppo non pochi di loro, nel tener fede anche da grandi ai loro ideali giovanili, hanno avuto la vita spezzata. Come quella del dottor Carlo Urbani, morto pochi mesi fa dopo aver identificato e cominciato a curare la nuova sindrome acuta respiratoria, la SARS. A volte, di fronte all'enormità di simili sacrifici, ci domandiamo se non avesse ragione don Abbondio. Perché esporsi? A che cosa è servito? Guerre, ingiustizie e malattie ci saranno sempre. Finita una, ne comincia un'altra. Non è meglio campare qualche anno in piú?

Un altro di questi profeti, il professor Roberto Ruffilli, morto in un attentato nel 1988, ci risponderebbe forse che "non sempre il successo immediato coincide con l'efficacia della propria azione". A volte, affinché la propria azione sia efficace, affinché qualcun altro, magari molti altri vivano meglio, bisogna proprio morire, o almeno conoscere la disfatta e il dubbio atroce che tutto quel che abbiamo fatto non sia servito a nulla, che tutto quello in cui abbiamo creduto sia falso.

Se il chicco di grano non muore non può dare frutto. Lo ha detto il nostro maestro Gesú, ma questa verità antica e sempre nuova è dura da digerire. Come indigesta risulta l'altra sua esortazione - non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto quelli che possono uccidere l'anima…

Cosí anche duemila anni dopo - ci ripensavo tre giorni fa, assistendo alla riedizione di Jesus Christ Superstar da parte del Clan di mio figlio - anche a noi viene da domandare a Gesú, come Giuda nel pezzo piú famoso del musical: si è trattato di un errore, oppure sapevi già che la tua vergognosa morte avrebbe battuto tutti i record? E anche noi, come Pietro nel momento della prova, siamo tentati di svicolare dicendo "Non lo conosco".

Sempre pronti, con l'aiuto di Dio

Non sempre ci vengono chiesti, per fortuna, gesti pubblici di coraggio; ancora piú raramente ci s'imbatte nella violenza privata o politica, com'è capitato da poco al mio amico padre Beppe Pierantoni, che è stato per sei mesi dell'anno scorso nelle mani dei terroristi islamici delle Filippine (uscirà fra poco il diario di quei giorni presso le Edizioni Dehoniane Bologna [15]). Ma la vita quotidiana è il banco di prova piú esigente e la scuola piú preziosa. Mio padre, quando mi preparavo alla prima Comunione e la storia dei primi martiri cristiani mi turbava un po', mi spiegò che affrontare il martirio era come andare dal dentista - basta un attimo di coraggio - mentre, mi disse, essere fedeli a Gesú nella vita ripetitiva e poco eroica di tutti i giorni è piú difficile. Confermo, quarant'anni dopo: è nella vita di tutti i giorni che è nascosta e preparata la vera grandezza. Non sappiamo mai se e quando saremo chiamati a fare qualcosa di grande e importante. Ma siamo sempre chiamati a capire quanto grande e importante è quello che facciamo tutti i giorni, ad "Essere Pronti" a "vivere felici e a morire felici", ad "essere fedeli alla nostra promessa Scout anche quando non siamo piú ragazzi", come ci diceva BP nel suo ultimo messaggio.

Forse questo non richiederà mai un atto clamoroso di coraggio, una scelta visibile e drammatica; forse il coraggio, enorme, del quale avremo bisogno, sarà solo quello di "lavorare duramente e comportarci lealmente quando nessuno ci vede come se tutto il mondo potesse vederci", come dice la vecchia preghiera dell'Esploratore. E non è davvero poco in questo nostro Bel Paese, nel quale, lo dice una ricerca dell'Eures uscita pochi giorni fa, il 63% dei giovani fra 15 e 29 anni si dichiara contrario al fenomeno della spintarella e della raccomandazione, però subito dopo il 70% di loro confessa che, avendone la possibilità, si farebbe raccomandare per ottenere un lavoro.

O forse invece sí, serviranno anche atti di coraggio pubblico, una volta o l'altra: anche se Bertolt Brecht, dopo i disastri della II guerra mondiale, diceva "fortunata la terra che non ha bisogno di eroi", io, arrivato quasi a 50 anni, comincio a temere che presto questa nostra terra avrà nuovamente bisogno di straordinarie riserve d'impegno e generosità.

Il nostro metodo educativo punta, come si diceva già 80 anni fa ad Argenta, a formare uomini e donne di carattere. Punta a far crescere e maturare in noi stessi e nei nostri ragazzi, in un'equilibrata progressione personale, riserve d'impegno, di generosità, di coraggio. Come cristiani sappiamo che la sorgente ultima di questa forza e di questo coraggio è il Signore risorto, che siede alla destra del Padre, e lo Spirito Santo mandato alla sua Chiesa nel giorno di Pentecoste: lo ricorderemo fra qualche domenica. Sappiamo, come diceva sant'Ignazio di Loyola, di dover fare come se tutto dipendesse da noi, ma poi pregare come se tutto dipendesse da Dio.

Lo ricordava anche il cardinal Federigo Borromeo a don Abbondio [16].

Don Abbondio e il Cardinale

- Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, - rispose questo: - sotto pena della vita, m'hanno intimato di non far quel matrimonio.

- E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d'adempire un dovere preciso?

- Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave incomodo, ma quando si tratta della vita...

- E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor più grave, Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'eran de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l'esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l'ufizio, mise forse per condizione d'aver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a spese della carità e del dovere, c'era bisogno dell'unzione santa, dell'imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio?…

Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una certa sommissione forzata: - Monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si potesse guadagnare. E' un signore quello, con cui non si può né vincerla né impattarla.

- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete maestro? qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo.

“ Anche questi santi son curiosi, - pensava intanto don Abbondio: - in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote ”. E, in quant'a lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta: una confessione, o un'apologia, qualcosa in somma.

- Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare.

- E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma come, vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v'è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c'è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que' milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? che non facessero naturalmente nessun conto della vita? tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed essi confidavano...

Don Abbondio o don Minzoni?

Concludendo: quando c'è bisogno di coraggio, Dio lo fornisce con abbondanza. Lo fornisce a chi vuole, anche a chi dice di non credere e, perciò, non si rivolge a Lui. Gesú ha detto anche questo: lo Spirito soffia dove vuole. A volte, viceversa, noi cristiani ci comportiamo da fifoni, come se Dio non esistesse. E' un peccato: almeno noi che abbiamo ricevuto il Vangelo – in greco, Buona Notizia - dovremmo confidare nel padre che è nei cieli, ricordare che è lui la ragione e la fonte del nostro coraggio. Spesso, nelle nostre preghiere, gli chiediamo la salute, la fortuna, anche la pace e la giustizia in questo mondo; e magari ce la prendiamo pure, quando sembra che Dio non ci dia retta. Raramente gli chiediamo il suo Spirito, il dono piú grande che Gesú ci ha, invece, inequivocabilmente promesso e garantito fin da questa vita terrena.

Invochiamo dunque lo Spirito Santo. Poi guardiamoci intorno e guardiamo dentro noi stessi. Quanto don Abbondio e quanto don Minzoni? Chiediamo al Signore, in questo tempo di nuove guerre e nuove forme di totalitarismo strisciante, di relativismo etico e di Grandi Fratelli, l'intelligenza per comprendere il nostro tempo, per capire da quale parte sta il bene; e il coraggio di scegliere il bene, anziché voltarci dall'altra parte.

Riferimenti bibliografici

  1. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale "Gaudium et Spes"
  2. Emmanuel Mounier, Il personalismo, AVE 1964 (ultima ristampa 1996)
  3. Costituzione della Repubblica Italiana
  4. Robert F. Kennedy, Vogliamo un mondo piú nuovo, Garzanti 1968
  5. Martin Luther King, La forza di amare, SEI 1968 (ultima ristampa 2002)
  6. Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, capitolo I
  7. Don Giovanni Minzoni: vedi ad esempio http://www.geocities.com/zio_zeb2001/donminzoni.html
  8. Edith Stein: per la vita e il testo della lettera vedi http://www.gesuiti.it/moscati/Ita.html#Edith
  9. Liceo Scientifico di Sulmona, Il sentiero della libertà, Laterza 2003; vedi anche http://www.liceoscientificosulmona.it/
  10. Walter Kohn, Riflessioni di un fisico dopo l'incontro col Papa http://www.srhe.ucsb.edu/lectures/info/kohn.html (in inglese); vedi anche M. Scheffler and P. Weinberger (a cura di), Walter Kohn: personal stories and anectodes told by friends and collaborators, Springer Verlag 2003 (in inglese)
  11. Walter Kohn, 40 premi Nobel contro la guerra in Iraq (traduzione italiana) http://www.libertaegiustizia.it/war/war06.htm#
  12. Paolo Sylos Labini, Berlusconi e gli anticorpi - diario di un cittadino indignato, Laterza 2003
  13. Giovanni XXIII, vedi ad esempio la lettera enciclica Pacem in Terris (1963)
  14. Vittorio Bachelet, vedi http://www.azionecattolica.it/aci/Chi_siamo/Testimoni/Figure/bachelet (con bibliografia)
  15. Beppe Pierantoni, Con Dio e con i terroristi islamici (prefazione di G. Bachelet), Edizioni Dehoniane Bologna 2003
  16. Riferimento 6, capitolo XXV