Intervento di Giovanni Bachelet sul tema “Fatti di coraggio”
Capitolo
Regionale delle Scolte e dei Rover dell'AGESCI, Argenta,
domenica 11 maggio 2003
Saluto le autorità e ringrazio i capi per avermi invitato a
questo vostro capitolo regionale, in un luogo e in un tempo quasi sacri
per i democratici, per i cattolici, per gli scout italiani: la piazza
di Argenta, 80 anni dopo il sacrificio di don Minzoni. Il tema del
vostro capitolo regionale è il coraggio, e di questo anch'io
sono invitato a parlare con voi. Trent'anni fa anch'io ero Rover. Il
mio capo Clan era Paolo Giuntella. Ora fa il giornalista; lo vedete
ogni tanto al TG1. Oltre a campi e veglie che non dimenticherò,
ci fece leggere parecchia roba. La costituzione conciliare Gaudium et
Spes [1]. Il Personalismo di Mounier [2]. La Costituzione Italiana [3].
Bob Kennedy [4], Martin Luther King [5]. I giornali. Mentre molti
strillavano (ed altri piú tardi sparavano) alcuni di noi ebbero
il privilegio di essere educati alla curiosità di capire il
mondo e all'ambizione di trasformarlo senza violenza, ma anche senza
cedimenti e compromessi con la propria coscienza. Leggere, studiare,
discutere (di storia, di fede, di politica), sono attività che
non sono mai state molto popolari nei nostri Clan. Ma per me furono
preziose, e per questo ho deciso di proporvi, piú che pensieri
miei, una serie di brani sul coraggio che rimandano a libri da leggere
(o rileggere) e, in qualche caso, a documenti che vale la pena di
ripescare su internet. Se vi verrà voglia di leggerne qualcuno
avrò avuto successo. Comincio con un libro che va spesso
riletto, e molti di voi hanno letto o stanno leggendo a scuola [6].
Don Abbondio
Don
Abbondio… se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due
contendenti, stava col più forte, sempre però alla
retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli era
volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non
avete saputo esser voi il più forte? ch'io mi sarei messo dalla
vostra parte. Stando alla larga da' prepotenti, dissimulando le loro
soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni
a quelle che venissero da un'intenzione più seria e più
meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto gioviale, anche
i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando
gl'incontrava per la strada, il pover'uomo era riuscito a passare i
sessant'anni, senza gran burrasche.
… Era poi un rigido censore degli
uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura
potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto
era almeno almeno un imprudente; l'ammazzato era sempre stato un uomo
torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente,
rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche
torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si
dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia
soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que'
suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d'un debole
oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi
gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva
anche severamente, ch'era un mischiarsi nelle cose profane, a danno
della dignità del sacro ministero… Aveva poi una sua sentenza
prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie:
che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni,
non accadon mai brutti incontri.
Continuo con la storia di un altro prete: quello che commemoriamo oggi
[7].
Don Giovanni 1885-1923
Don Giovanni
Minzoni, insieme ad altre opere sociali e giovanili, aveva lanciato
nella parrocchia di Argenta, tre mesi prima della morte, gli
Esploratori: una grande novità nell'Italia di allora. Fu uno dei
primi Assistenti Scout.
A qualcuno dispiaceva l’operato di don Giovanni. Non mancarono le
minacce, più o meno violente (tentarono perfino d’incendiargli
il circolo cattolico). Di notte, a più riprese, i fascisti
argentani andarono a cantargli il "Requiem " e il "De profundis" sotto
le finestre della canonica, ma egli continuò deciso il suo
lavoro apostolico.
Nel luglio 1923, un mese prima della morte, l’Assistente Regionale
degli Scout fu chiamato ad Argenta per tenere una conferenza pubblica
nel teatro del circolo cattolico. Monsignor Emilio Faggioli era stato
chiamato apposta da Bologna [dove, nell'Aprile 1917, aveva fondato
nella parrocchia di San Giovanni in Monte il primo riparto ASCI
dell'Emilia Romagna, il Bologna I "Pro Fide et Patria"] da Don Minzoni,
per parlare degli Esploratori. Don Giovanni lo presentò al
pubblico che gremiva la sala e gli diede la parola.
Monsignor Faggioli spiegò le finalità dello scautismo:
"attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del
corpo — disse fra l’altro l’oratore — noi intendiamo formare degli
uomini di carattere... ".
Dalla galleria una voce interruppe per dire: "C’è già
Mussolini... ".
L’interruzione minacciosa creò subito una fenditura
nell’ambiente mentre don Minzoni, alzatosi da mezzo il pubblico, si
sentì istintivamente portato dalla sua irruenza romagnola verso
il luogo donde era uscita la voce. Monsignor Faggioli intanto
rispondeva che lo scautismo agisce al di sopra e all’infuori della
fazione politica e continuava la relazione tra la compatta
unanimità degli ascoltatori, soprattutto giovani, che reagivano
battendogli calorosamente le mani.
"Vedrete da oggi — terminò l’oratore — lungo le vostre strade i
giovani esploratori col largo cappello in testa ed il giglio sul cuore.
Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la
larga piazza d’Argenta...".
"In piazza non verranno" — interruppe di nuovo la voce del segretario
del fascio locale dalla galleria. Ma questa volta rispose don Minzoni
stesso: "Finché c’è don Giovanni, verranno anche in
piazza!". L’applauso immenso dei suoi giovani troncò il dialogo.
Poco piú di un mese dopo, il 23 agosto 1923, due sicari lo
sorpresero per le vie di Argenta di sera, insieme ad un giovane del suo
gruppo. Gli fracassarono il cranio a randellate. Morí un'ora
dopo.
Aveva scritto nel suo diario: "A cuore aperto, con la preghiera che
spero non si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori,
attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della
causa di Cristo… la religione non ammette servilismi, ma il martirio."
Il terzo brano che vi propongo è una lettera, fino a poco fa
inedita, di una santa del nostro tempo [8].
Edith Stein a Pio XI (12 aprile 1933)
Padre
Santo!
Come figlia del popolo ebraico, che
per grazia di Dio è da 11 anni figlia della Chiesa cattolica,
ardisco esprimere al padre della cristianità ciò che
preoccupa milioni di tedeschi.
Da settimane siamo spettatori, in
Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della
giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del
prossimo.
Per anni i capi del
nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che
hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci - tra i quali ci
sono dei noti elementi criminali - raccolgono il frutto dell’odio
seminato.
Le defezioni dal partito che detiene
il governo fino a poco tempo fa venivano ammesse, ma è
impossibile farsi un'idea sul numero in quanto l’opinione pubblica
è imbavagliata. Da ciò che posso giudicare io, in base a
miei rapporti personali, non si tratta affatto di casi isolati.
Sotto la pressione di voci
provenienti dall’estero sono passati a metodi più "miti" e hanno
dato l’ordine "che a nessun ebreo venga torto un capello".
Questo boicottaggio - che nega alle
persone la possibilità di svolgere attività economiche,
la dignità di cittadini e la patria - ha indotto molti al
suicidio: solo nel mio privato sono venuta, a conoscenza di ben 5 casi.
Sono convinta che si tratta di un
fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Si
può ritenere che gli infelici non avessero abbastanza forza
morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità
in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa
ricade anche su coloro che tacciono.
Tutto ciò che è
accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo
che si definisce "cristiano". Non solo gli ebrei ma anche migliaia di
fedeli cattolici della Germania - e, ritengo, di tutto il mondo - da
settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la
sua voce contro tale abuso del nome di Cristo.
L’idolatria della razza e del potere
dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse,
non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il
sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità
del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli?
Non è in assoluto contrasto
con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla
croce pregava per i Suoi persecutori? E non è una macchia nera
nella cronaca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l’anno
della pace e della riconciliazione?
Noi tutti, che guardiamo all'attuale
situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio
per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga
ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può
alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco.
La guerra contro il Cattolicesimo si
svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il Giudaismo,
ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo
perché nessun cattolico possa più avere un impiego a meno
che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso.
Ai piedi di Vostra Santità,
chiedendo la benedizione apostolica,
Dott.ssa Edith Stein
docente all’istituto tedesco di
Pedagogia scientifica presso il Collegium Marianum di Münster
Questa lettera è veramente agghiacciante, specialmente se si
pensa al tempo in cui fu scritta, al destinatario, a quel che successe
dopo. Il coraggio di questa denuncia apparentemente non serví a
nulla. E apparentemente non serví a nulla nemmeno il coraggio di
Edith Stein, ebrea, che, pur diventata cristiana, e suora carmelitana,
non volle abbandonare il destino del suo popolo e morí in un
campo di sterminio. Forse va aggiunto che, se pochi mesi fa (inizio
2003) abbiamo conosciuto questa lettera, è merito di un altro
atto di coraggio: quello di un Papa che, oltre a proclamarla santa nel
1998, ha pochi anni dopo ordinato di aprire agli storici gli archivi
vaticani, anche a rischio di pubblicare documenti come questo. Un Papa
che nel Giubileo ha cominciato a parlare degli errori della Chiesa, ad
insegnarci che la Chiesa non è infallibile in tutto. Ci vuole
coraggio anche per questo. Certo non mancano le contraddizioni: uno
spiritoso capo scout, in un forum telematico aperto da un giornale
cattolico proprio all'epoca del Giubileo, domandava, con qualche
umorismo: fra quanti secoli chiederemo scusa per gli sbagli di oggi? Ma
la mancanza di lucidità e di coraggio non fu, allora, esclusiva
dei Pastori: con rare eccezioni la generazione dei miei genitori, la
stessa del Presidente Ciampi, aprí gli occhi molto piú
tardi, con la guerra. Lo vediamo nel brano di un libro appena uscito,
che è opera di un gruppo di ragazzi come voi, i ragazzi del
liceo scientifico di Sulmona [9].
Dal diario di Carlo Azeglio Ciampi 1943
Giunsi
a Scanno dopo l'8 settembre 1943, quasi per caso… vi giunsi dopo aver
provato, come tanti giovani militari, l'amarezza della dissoluzione
dell'esercito, l'umiliazione della disfatta, la rabbia perché
non ci era stato dato modo di reagire…
Nel silenzio di queste montagne si
avviò un dialogo, una riflessione in primo luogo all'interno di
noi stessi, con le nostre coscienze. Ci ponevamo la domanda sul come
ritrovare il fondamento del vivere civile. Riconquistammo la
serenità nei nostri animi a mano a mano che acquisimmo la
consapevolezza intima dei valori alla base della vita di una
collettività: in primo luogo la libertà, intepretata e
applicata nel quadro del vivere in comune, il rispetto cioè
della libertà e dei diritti degli altri come condizione per
rivendicare la libertà e i diritti propri. Rinacque in noi il
sentimento dei valori che uniscono un comunità…
Prima di concludere, consentitemi di raccontarvi un po' alla rinfusa
altre storie di coraggio che hanno influito sulla mia vita e, penso, su
quella di molti altri.
Walter Kohn
Ebreo fuggito dall'Austria a 15 anni con l'ultimo Kindertransport, oggi
premio Nobel per la Chimica, negli anni 50, pur essendo da poco
emigrato in America, ebbe il coraggio di rifiutare la firma di un
giuramento maccartista - il giuramento di non essere mai stato
comunista. Me lo ha raccontato lui stesso con grande semplicità,
50 anni dopo, dicendomi con un sorriso: credevo che mi avrebbero
licenziato, invece non successe niente. L'anno dopo il giuramento fu
abolito. Nel 2000 ha avuto ancora coraggio: quello di dimenticare ogni
rancore (aveva visto coi suoi occhi il cardinale di Vienna fare il
saluto romano al messo di Hitler nel giorno dell'Anschluss) e accettare
l'invito al Giubileo dei Fisici. Dopo il viaggio a Roma e il suo
commovente incontro col Papa, avendo letto la "Dominus Jesus", ha poi
deciso di scrivere al Papa per dirgli che…alcune cose non gli
piacevano. Dal Vaticano, contro ogni mia previsione, gli è
arrivata nel giro di poche settimane un'affettuosa risposta [10]. Ma il
Papa riceve tante lettere. L'avrà letta davvero, oppure un
segretario avrà deciso che non valeva la pena disturbarlo e
avrà risposto per lui? Forse dovremmo domandarcelo anche per la
lettera di Edith Stein a Pio XI. Ecco, vorrei dirvi: non è detto
che diventiate papi, ma può darsi che qualcuno di voi diventi
segretario. Al di sopra di una certa responsabilità, nessuno
può seguire personalmente tutto quello che succede. Che
responsabilità, allora, anche quella di fare il segretario.
Quanto coraggio ci vuole per non appiattirsi nel servilismo, per fare
da filtro in modo onesto e fedele, fornendo un quadro realistico e
sincero del mondo circostante! Tornando a Kohn, oltre all'immenso
contributo che ha dato e ancora dà alla Fisica e alla Chimica
Teorica, non è ancora stanco. Fino a poco fa andava in pattini a
rotelle; a gennaio ha messo insieme 40 premi Nobel americani per un
documento contro la guerra in Iraq [11].
Paolo Sylos Labini
Kohn non è il solo vecchietto arzillo che conosco. Ad un altro
amico, anche lui piú che ottantenne ma col cuore da ventenne, il
grande economista Paolo Sylos Labini, devo la piccola ripresa d'impegno
politico negli ultimi mesi. Il suo esempio e la sua spinta mi hanno
aiutato a non rassegnarmi all'Italia nella quale, da due anni, mi
sveglio ogni mattina; a credere che qualcosa dovevo e potevo provare,
se non altro per potermi ancora guardare allo specchio la mattina,
quando mi faccio la barba. Il tempo vola e mi limito a segnalare il suo
ultimo libro, il diario di un cittadino indignato [12].
Giovanni XXIII
Sempre a proposito di vecchietti arzilli, che dire del Papa della mia
infanzia, il santo Papa Giovanni, eletto alla soglia degli ottant'anni
con l'idea di un "papato di transizione"? Che coraggio, quello di
convocare un Concilio e poi promuoverne la pienezza di dibattito,
generando un tempo nuovo. Che coraggio, abbracciare le lingue nazionali
abbandonando una liturgia che durava da quattro secoli (credo di essere
uno degli ultimi che ha fatto la prima Comunione in latino). Che
coraggio, condividere gioie e speranze, angosce e dolori
dell'umanità, instaurare un rapporto nuovo col mondo, nel quale
la pace, la libertà e il progresso dei popoli valgono piú
degli interessi mondani della propria pur santa organizzazione… una
conversione certo difficile, ancora in via di compimento, con esiti
contraddittori: al miracolo di una Chiesa non piú schierata coi
potenti del mondo, che fa muro contro l'inganno di una nuova guerra di
religione, si affianca ancora, in alcune circostanze nazionali e
internazionali, l'antica tentazione dei privilegi temporali. Ma ormai
il dado è tratto [13].
Mio padre
In questa carrellata di "capitani coraggiosi" ci metto anche mio padre
[14]. Era talmente poco retorico e cosí tranquillo, che il
valore e la difficoltà di alcune sue decisioni, in alcuni casi
le decisioni stesse, le hoapprezzate solo dopo, apprendendole dai suoi
amici e colleghi dell'Università, dell'Azione Cattolica, del
Consiglio Superiore della Magistratura. Il coraggio d'impegnarsi senza
risparmio - nel lavoro, nell'associazionismo, e alla fine, con una
certa riluttanza, in politica e nelle Istituzioni. Il coraggio, pur
essendo un esperto di diritto amministrativo, di non fare mai soldi
attraverso consulenze (questo me l'ha spiegato una volta un suo
collega). Il coraggio di avere a che fare con la magistratura in un
tempo in cui ne ammazzavano parecchi (per i magistrati la vita non
è mai stata facile), e di rifiutare la scorta, anche dopo la
strage della scorta di Moro nel 1978. Ma tutto senza clamori e senza
sparate. Un ricordo, per capire che tipo era: in quegli anni non si
riusciva a celebrare il primo processo alle Brigate Rosse,
perché i cittadini chiamati a formare la giuria popolare
fornivano via via certificati medici o altri documenti per essere
esonerati da un incarico che, secondo i minacciosi proclami dei
brigatisti, sarebbe costato loro la vita. Finalmente qualcuno
accettò. Io e papà guardavamo insieme la televisione
quando uno di questi eroi civili, un cittadino di Torino, fu
intervistato con la consueta delicatezza e psicologia: "Ma lei non ha
letto le minacce di morte dei terroristi? non ha paura?" Lui rispose
"La paura ce l'ho, ma me la tengo." Mio padre mi disse allora (e quante
volte ci ho ripensato poi): ecco, questo non è un trombone,
questo è un vero uomo.
Il chicco di grano
Quasi tutti i testimoni di cui ho parlato finora, sono stati, almeno in
qualche momento, visti come traditori. O almeno come fessi, illusi,
come gente che non si fa i fatti suoi o ha sbagliato i calcoli (un
cardinale, subito dopo la morte di Giovanni XXIII, disse che ci
sarebbero voluti 40 anni per rimediare a tutti i danni che aveva
fatto). Nessuno di essi, però, ha fatto il grillo parlante. Non
erano - non sono, alcuni sono vivi e vegeti - vuoti proclamatori di
valori e facili denunciatori di mali. Ma profeti nel senso vero del
termine: persone cioè capaci non solo di leggere il proprio
tempo, ma anche di mettere a punto e realizzare progetti che hanno
lasciato un segno. Solo alcuni di essi hanno fatto politica, e per una
piccola parte della vita; tutti, invece, hanno lavorato nell'ambito
dell'associazionismo e delle realtà educative, giovanili,
universitarie. Dunque uno dei modi piú efficaci di cambiare il
mondo è quello che fate voi, adesso: respirare ideali che non
tramontano, educarsi alla fede, alla democrazia, alla libertà,
all'umiltà e alla durezza del lavoro comune, alla bellezza e
alla feconda fatica dell'incontro con gli altri, della strada, e,
lasciatemi aggiungere, dello studio.
Purtroppo non pochi di loro, nel tener fede anche da grandi ai loro
ideali giovanili, hanno avuto la vita spezzata. Come quella del dottor
Carlo Urbani, morto pochi mesi fa dopo aver identificato e cominciato a
curare la nuova sindrome acuta respiratoria, la SARS. A volte, di
fronte all'enormità di simili sacrifici, ci domandiamo se non
avesse ragione don Abbondio. Perché esporsi? A che cosa è
servito? Guerre, ingiustizie e malattie ci saranno sempre. Finita una,
ne comincia un'altra. Non è meglio campare qualche anno in
piú?
Un altro di questi profeti, il professor Roberto Ruffilli, morto in un
attentato nel 1988, ci risponderebbe forse che "non sempre il successo
immediato coincide con l'efficacia della propria azione". A volte,
affinché la propria azione sia efficace, affinché qualcun
altro, magari molti altri vivano meglio, bisogna proprio morire, o
almeno conoscere la disfatta e il dubbio atroce che tutto quel che
abbiamo fatto non sia servito a nulla, che tutto quello in cui abbiamo
creduto sia falso.
Se il chicco di grano non muore non può dare frutto. Lo ha detto
il nostro maestro Gesú, ma questa verità antica e sempre
nuova è dura da digerire. Come indigesta risulta l'altra sua
esortazione - non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono
uccidere l'anima; temete piuttosto quelli che possono uccidere l'anima…
Cosí anche duemila anni dopo - ci ripensavo tre giorni fa,
assistendo alla riedizione di Jesus Christ Superstar da parte del Clan
di mio figlio - anche a noi viene da domandare a Gesú, come
Giuda nel pezzo piú famoso del musical: si è trattato di
un errore, oppure sapevi già che la tua vergognosa morte avrebbe
battuto tutti i record? E anche noi, come Pietro nel momento della
prova, siamo tentati di svicolare dicendo "Non lo conosco".
Sempre pronti, con l'aiuto di Dio
Non sempre ci vengono chiesti, per fortuna, gesti pubblici di coraggio;
ancora piú raramente ci s'imbatte nella violenza privata o
politica, com'è capitato da poco al mio amico padre Beppe
Pierantoni, che è stato per sei mesi dell'anno scorso nelle mani
dei terroristi islamici delle Filippine (uscirà fra poco il
diario di quei giorni presso le Edizioni Dehoniane Bologna [15]). Ma la
vita quotidiana è il banco di prova piú esigente e la
scuola piú preziosa. Mio padre, quando mi preparavo alla prima
Comunione e la storia dei primi martiri cristiani mi turbava un po', mi
spiegò che affrontare il martirio era come andare dal dentista -
basta un attimo di coraggio - mentre, mi disse, essere fedeli a
Gesú nella vita ripetitiva e poco eroica di tutti i giorni
è piú difficile. Confermo, quarant'anni dopo: è
nella vita di tutti i giorni che è nascosta e preparata la vera
grandezza. Non sappiamo mai se e quando saremo chiamati a fare qualcosa
di grande e importante. Ma siamo sempre chiamati a capire quanto grande
e importante è quello che facciamo tutti i giorni, ad "Essere
Pronti" a "vivere felici e a morire felici", ad "essere fedeli alla
nostra promessa Scout anche quando non siamo piú ragazzi", come
ci diceva BP nel suo ultimo messaggio.
Forse questo non richiederà mai un atto clamoroso di coraggio,
una scelta visibile e drammatica; forse il coraggio, enorme, del quale
avremo bisogno, sarà solo quello di "lavorare duramente e
comportarci lealmente quando nessuno ci vede come se tutto il mondo
potesse vederci", come dice la vecchia preghiera dell'Esploratore. E
non è davvero poco in questo nostro Bel Paese, nel quale, lo
dice una ricerca dell'Eures uscita pochi giorni fa, il 63% dei giovani
fra 15 e 29 anni si dichiara contrario al fenomeno della spintarella e
della raccomandazione, però subito dopo il 70% di loro confessa
che, avendone la possibilità, si farebbe raccomandare per
ottenere un lavoro.
O forse invece sí, serviranno anche atti di coraggio pubblico,
una volta o l'altra: anche se Bertolt Brecht, dopo i disastri della II
guerra mondiale, diceva "fortunata la terra che non ha bisogno di
eroi", io, arrivato quasi a 50 anni, comincio a temere che presto
questa nostra terra avrà nuovamente bisogno di straordinarie
riserve d'impegno e generosità.
Il nostro metodo educativo punta, come si diceva già 80 anni fa
ad Argenta, a formare uomini e donne di carattere. Punta a far crescere
e maturare in noi stessi e nei nostri ragazzi, in un'equilibrata
progressione personale, riserve d'impegno, di generosità, di
coraggio. Come cristiani sappiamo che la sorgente ultima di questa
forza e di questo coraggio è il Signore risorto, che siede alla
destra del Padre, e lo Spirito Santo mandato alla sua Chiesa nel giorno
di Pentecoste: lo ricorderemo fra qualche domenica. Sappiamo, come
diceva sant'Ignazio di Loyola, di dover fare come se tutto dipendesse
da noi, ma poi pregare come se tutto dipendesse da Dio.
Lo ricordava anche il cardinal Federigo Borromeo a don Abbondio [16].
Don Abbondio e il Cardinale
- Ma forse non mi
sono spiegato abbastanza, - rispose questo: - sotto pena della vita,
m'hanno intimato di non far quel matrimonio.
- E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d'adempire un
dovere preciso?
- Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave
incomodo, ma quando si tratta della vita...
- E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor
più grave, Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v'ha
essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi
al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo?
O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il
dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito
che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'eran
de' violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe
comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l'esempio, ad imitazione
di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a
esercitarne l'ufizio, mise forse per condizione d'aver salva la vita? E
per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla
terra, a spese della carità e del dovere, c'era bisogno
dell'unzione santa, dell'imposizion delle mani, della grazia del
sacerdozio?…
Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli
argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono
sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai
respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una
certa sommissione forzata: - Monsignore illustrissimo, avrò
torto. Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma
quando s'ha che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che
non vuol sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa
ci si potesse guadagnare. E' un signore quello, con cui non si
può né vincerla né impattarla.
- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro
vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete
maestro? qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? Chi
pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi
sarà domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere
i potenti; che a questo non vi fu dato né missione, né
modo. Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi
ch'erano in vostra mano per far ciò che v'era prescritto, anche
quando avessero la temerità di proibirvelo.
“ Anche questi santi son curiosi, - pensava intanto don Abbondio: - in
sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori
di due giovani, che la vita d'un povero sacerdote ”. E, in quant'a lui,
si sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma
vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una
risposta: una confessione, o un'apologia, qualcosa in somma.
- Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto
io... Il coraggio, uno non se lo può dare.
- E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un
ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo?
Ma come, vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in codesto
ministero, comunque vi ci siate messo, v'è necessario il
coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c'è Chi ve lo
darà infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che
tutti que' milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? che non
facessero naturalmente nessun conto della vita? tanti giovinetti che
cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse
già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri?
Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario,
ed essi confidavano...
Don Abbondio o don Minzoni?
Concludendo: quando c'è bisogno di coraggio, Dio lo fornisce con
abbondanza. Lo fornisce a chi vuole, anche a chi dice di non credere e,
perciò, non si rivolge a Lui. Gesú ha detto anche questo:
lo Spirito soffia dove vuole. A volte, viceversa, noi cristiani ci
comportiamo da fifoni, come se Dio non esistesse. E' un peccato: almeno
noi che abbiamo ricevuto il Vangelo – in greco, Buona Notizia -
dovremmo confidare nel padre che è nei cieli, ricordare che
è lui la ragione e la fonte del nostro coraggio. Spesso, nelle
nostre preghiere, gli chiediamo la salute, la fortuna, anche la pace e
la giustizia in questo mondo; e magari ce la prendiamo pure, quando
sembra che Dio non ci dia retta. Raramente gli chiediamo il suo
Spirito, il dono piú grande che Gesú ci ha, invece,
inequivocabilmente promesso e garantito fin da questa vita terrena.
Invochiamo dunque lo Spirito Santo. Poi guardiamoci intorno e guardiamo
dentro noi stessi. Quanto don Abbondio e quanto don Minzoni? Chiediamo
al Signore, in questo tempo di nuove guerre e nuove forme di
totalitarismo strisciante, di relativismo etico e di Grandi Fratelli,
l'intelligenza per comprendere il nostro tempo, per capire da quale
parte sta il bene; e il coraggio di scegliere il bene, anziché
voltarci dall'altra parte.
Riferimenti bibliografici
- Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale "Gaudium
et Spes"
- Emmanuel Mounier, Il personalismo, AVE 1964 (ultima ristampa 1996)
- Costituzione
della Repubblica Italiana
- Robert F. Kennedy, Vogliamo un mondo piú nuovo, Garzanti
1968
- Martin Luther King, La forza di amare, SEI 1968 (ultima ristampa
2002)
- Alessandro Manzoni, I
Promessi Sposi, capitolo I
- Don Giovanni Minzoni: vedi ad esempio http://www.geocities.com/zio_zeb2001/donminzoni.html
- Edith Stein: per la vita e il testo della lettera vedi http://www.gesuiti.it/moscati/Ita.html#Edith
- Liceo Scientifico di Sulmona, Il sentiero della libertà,
Laterza 2003; vedi anche http://www.liceoscientificosulmona.it/
- Walter Kohn, Riflessioni di un fisico dopo l'incontro col Papa http://www.srhe.ucsb.edu/lectures/info/kohn.html
(in inglese); vedi anche M. Scheffler and P. Weinberger (a cura di),
Walter Kohn: personal stories and anectodes told by friends and
collaborators, Springer Verlag 2003 (in inglese)
- Walter Kohn, 40 premi Nobel contro la guerra in Iraq (traduzione
italiana) http://www.libertaegiustizia.it/war/war06.htm#
- Paolo Sylos Labini, Berlusconi e gli anticorpi - diario di un
cittadino indignato, Laterza 2003
- Giovanni XXIII, vedi ad esempio la lettera enciclica Pacem
in Terris (1963)
- Vittorio Bachelet, vedi http://www.azionecattolica.it/aci/Chi_siamo/Testimoni/Figure/bachelet
(con bibliografia)
- Beppe Pierantoni, Con Dio e con i terroristi islamici (prefazione
di G. Bachelet), Edizioni Dehoniane Bologna 2003
- Riferimento 6, capitolo XXV