di Giovanni Bachelet [sito web di Libertà e Giustizia, 9 dicembre 2005]
E’ morto un giusto e un profeta. E’ morto un maestro e un amico. E’ anche per la sua spinta e il suo esempio che, a partire dal 2002, ho cercato di fare anch’io qualcosa per tirare fuori il nostro Paese dal grosso guaio in cui si è cacciato nel 2001. Se si spende col cuore e l’energia di un ventenne Sylos, che ha piú di ottant’anni, come faccio a dirgli di no io, che ne ho solo cinquanta? E’ stato duro, oggi, doverlo salutare per l’ultima volta, nella camera ardente allestita nella nostra Università La Sapienza, dove Ciampi per primo è arrivato a rendergli omaggio.
Non ci somigliavamo per età, per
studi, per provenienza
culturale e politica; ma Paolo Sylos Labini si proponeva di raggiungere
tutti
quelli che potevano condividere una buona battaglia, come un vulcano i
cui
torrenti di lava ardente arrivano ad infuocare vicini e lontani; e cosí
a un
certo punto raggiunse anche me. Già all’epoca dei Comitati Prodi, nel
1995, ci
eravamo sentiti qualche volta.
Il 2 febbraio 2002 con Sylos ci
ritrovammo fra gli
invitati a parlare a Piazza Navona, nella manifestazione che ebbe
grande eco
(quando Nanni Moretti gridò: con questi dirigenti non vinceremo mai),
all'inizio della stagione dei Girotondi; a marzo di quell'anno abbiamo
scritto
(insieme a Enzo Marzo e Elio Veltri) l'appello per una opposizione
civile che
ebbe in pochi giorni 63mila firme. Ci congratulammo a vicenda per i
rispettivi
interventi, sotto il palco, con pacche sulle spalle e risate: ma
possibile che
ci vogliamo io e te per dire queste cose ovvie? Ma ci fanno o ci sono?
Paolo
Sylos era infatti un profeta col cuore che ride e gli occhi che
brillano.
Da allora ho condiviso con lui diverse
iniziative e ho
avuto l’onore di essere da lui piú volte consultato (in realtà si
trattava
spesso di vere e proprie precettazioni). A volte mi telefonava a casa e
mi
parlava a lungo. Non si risparmiava mai, anche per merito della moglie
e dei
figli, che non solo non ostacolavano il suo attivismo
politico-culturale, ma lo
sostenevano, anche quando (e negli ultimi anni è capitato qualche
volta) non
era in perfetta salute.
Era un simbolo e piaceva a giovani
adulti e vecchi.
Quando parlava gli applausi tiravano giú i teatri. In lui
l'indignazione e
l'impeto morale non suonavano falsi, per un’ottima ragione: a
denunciare il
male e cercare di promuovere una riscossa morale prima che politica, in
85 anni
di vita, non ci ha guadagnato mai niente. E' vissuto del suo lavoro di
professore universitario e di esperto mondiale di economia. Ma sentiva
di poter
e dover fare tutto quello che poteva, anche all’infuori della sua
professione,
per il bene del Paese, nonostante il realismo lucido e impietoso col
quale
analizzava non solo danni e guai dovuti al governo in carica, ma anche
colpe e
sbagli dei "nostri".
Era fortissimamente anticlericale, di
scuola azionista;
ed aveva profonda stima e considerazione per la fede cristiana. Cercava
con
grande determinazione interlocutori anche nel mondo cattolico, convinto
che il
coinvolgimento di tutte le forze moralmente sane e sinceramente
democratiche
fosse l'unico antidoto ai gravi pericoli politici, economici e sociali
che
vedeva all'orizzonte in questi anni.
E’ morto un giusto e un profeta, un
uomo di grandissima
fede, una fede laica nell’uomo, nella ragione, nel bene comune
possibile. E’
morto un uomo ricco di speranza nel riscatto del Paese, proprio questo
nostro
“Paese di…”, come a volte lo chiamava nei suoi sfoghi; e per il quale,
però,
nutriva un grandissimo amore, degno di quello, fedele e fortissimo, che
aveva
per la moglie e i figli.
A loro e a molti di noi adulti
giovani e vecchi che oggi si sentono un
po’ piú orfani di prima resta, oltre al dolore dell’assenza, il fuoco
vivo di
ideali che non tramontano e il dovere di continuare a farlo brillare
nei nostri
occhi come brillava in quelli, indimenticabili, di Paolo Sylos Labini.