Ulivo: risposta italiana ad una destra anomala o prospettiva
europea?
[Contributo di Giovanni Bachelet alla
tavola rotonda “Wie geht’s dir,
Italien?” tenuta al Festival Internazionale della Letteratura di
Berlino sul tema della democrazia in Italia. Partecipano Marina
Astrologo, Paolo Flores d’Arcais, Edoardo Ferrario, Paul Ginsborg,
Francesco Pardi; modera Peter Schneider.]
Non è mai una bella cosa parlar male del proprio governo
all'estero. Chi ascolta e non è italiano, domanda: perché
lo avete eletto? Perché, adesso, vi lamentate con noi? Cercate
piuttosto di convincere i vostri concittadini, in modo che non votino
di nuovo per lui alle prossime elezioni. Qualche italiano
potrebbe invece dire: i panni sporchi si lavano in casa, non davanti a
tutti. Cerchiamo di non fare una brutta figura, di non rovinare
l'immagine del nostro Paese.
Questo sarebbe piú vero in Cina o in India. Non è del
tutto vero qui. Già vent'anni fa, quando lavoravo al
Max-Planck-Institut für Festkörperforschung a Stoccarda, mi
sentivo un po' a casa mia anche in Germania - un Paese della
Comunità Europea. Nel frattempo siamo diventati Unione Europea e
abbiamo abolito dogane e frontiere. Negli aeroporti ci dirigiamo con
passo sicuro verso l'uscita UE citizens. Abbiamo la stessa moneta e ci
prepariamo ad approvare una nuova Costituzione.
Quando amici e colleghi austriaci mi parlano di Haider, o quelli
francesi di Le Pen, penso che la cosa riguardi anche me. Ho avuto una
grande delusione quando la Gran Bretagna ed altri paesi non sono
entrati subito nella moneta unica. Mi è dispiaciuto che l'Unione
si sia divisa sulla guerra preventiva contro l'Iraq. Avrei voluto che
tutta l'Unione, non soltanto Francia e Germania, sostenesse le ragioni
delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, ascoltando la voce di
milioni di cittadini europei.
L'opinione pubblica europea e i vincoli europei sono una realtà.
Crescono lentamente, in mezzo a molti ostacoli. Questa, nella storia
del mondo, è la prima grande rivoluzione geopolitica che
è pacifica; la prima che si afferma attraverso il consenso e
l'integrazione progressiva, anziché con la guerra o la
rivoluzione; che vince con il tempo, non con il sangue. Proprio per
questa ragione, paradossalmente, il processo di unificazione europea
sembra spesso incapace di suscitare entusiasmo. Può anche subire
battute d'arresto, magari nei momenti di scarso sviluppo economico e di
paura del futuro.
Ma nel frattempo la globalizzazione galoppa. Popoli, finanze, merci
senza frontiere. Nuova povertà ed esclusione sociale.
Bioterrorismo, ma anche "semplici" epidemie planetarie. Monopolio
MicroSoft e sicurezza dei dati personali o sensibili. Multinazionali
farmaceutiche. Energia del domani. Organismi geneticamente modificati.
Buco dell'ozono. La globalizzazione galoppa, ed è sempre meno
controllabile e governabile dai singoli Stati-Nazione. E in aggiunta,
dopo il crollo dell'Unione Sovietica non è finita la storia, ma
per gli Stati Uniti, rimasti padroni del campo, sono emersi nuovi
pericoli e nuove tentazioni.
Mentre alcuni si lasciano dominare dalla paura, altri ragionano e si
rendono conto che solo una grande realtà sovranazionale come
l'Unione potrebbe domare e governare questo cavallo che galoppa,
dialogare con gli Stati Uniti aiutandoli a restare gli amici di sempre,
rimettere in mano ai cittadini-elettori europei fenomeni di primaria
importanza per la vita quotidiana e per il futuro del'Europa e del
mondo. Lo dimostrano il successo dell'Euro e gli aspetti della
globalizzazione che trovano già nella Commissione e nel
Parlamento Europeo protagonisti in grado di affrontarli efficacemente,
da una posizione di forza.
Da questo punto di vista, nella grandissima maggioranza dei cittadini
italiani, il ragionamento prevale sulla paura. Qualunque coalizione che
nel suo programma di governo annunciasse non dico l'uscita, ma anche
solo l'indebolimento dei legami europei, perderebbe le elezioni.
Perfino il governo di Berlusconi deve tener conto di questo diffuso
sentimento, che si spiega non soltanto con la coscienza della propria
debolezza, comune ad altre giovani Nazioni che hanno tutto da
guadagnare dall'integrazione europea. Si spiega anche con la tradizione
politica europeista degli antifascisti italiani, sia quelli laici, di
sinistra come Altiero Spinelli o liberali come Einaudi, sia quelli
cattolici, di centro, come Alcide De Gasperi, che dopo la guerra fu con
Adenauer e Schuman tra i fondatori del primo nucleo europeo.
A noi, gli Italiani che non hanno votato per Berlusconi, i vincoli
europei sembrano anche una garanzia contro le enormità del
nostro governo di destra. Le enormità sono tante. Il presidente
del consiglio possiede tutte le televisioni italiane. Possiede anche
quotidiani, case editrici, società finanziarie e di
assicurazione. Ha passato i primi due anni e mezzo a far approvare
leggi di esclusivo interesse personale, che aboliscono la tassa sulle
grandi eredità, aboliscono il reato di falso in bilancio, lo
salvano da molti processi penali per gravi frodi, delle quali fu
accusato come imprenditore, prima del suo impegno politico. Non ha
risolto alcun problema del paese, anzi l'economia è peggiorata.
Non è in grado di occuparsi seriamente dell'Unione Europea,
della quale è presidente di turno (inutile ricordare le risposte
al deputato europeo Schulz). In compenso vuole cambiare la Costituzione
Italiana, e fa molte battute: una volta i magistrati sono malati di
mente, un'altra volta Mussolini non ha ammazzato nessuno, e cosí
via.
Tutti ridono, ma non in Italia, dove, salvo miracoli, egli
rimarrà in carica ancora per due anni e mezzo; non in Italia,
dove questi fatti sono filtrati da una televisione dominata dagli
interessi del proprietario - il presidente del consiglio - nella quale
giornalisti e belle ragazze , nei talk shows, parlano quasi sempre
d'altro. Per questo chi sente il dovere di denunciare e contrastare, in
Italia e in Europa, la vera e propria emergenza democratica nella quale
stiamo allegramente scivolando, ha cominciato ad esprimere la propria
indignazione organizzando girotondi in piazza, o inventando nuove
associazioni come Libertà e Giustizia, o utilizzando internet o,
appunto, appellandosi all'opinione pubblica europea.
Per molti europei che guardano dal di fuori, e anche per molti
italiani, l'Ulivo, la coalizione politica di centro-sinistra che
riunisce antichi democristiani, liberali, ambientalisti, socialisti,
comunisti, nasce e ha senso solo per questo: combattere una spaventosa
anomalia italiana, tornando alla normalità democratica e al
pluralismo dell'informazione. Questo è certamente un elemento
unificante, e, anche grazie ad esso, l'Ulivo di Prodi vinse per la
prima volta contro Berlusconi, nel 1996. Ma nel programma dell'Ulivo
c'era l'entrata nella moneta unica europea; anzi questo era il primo
punto. C'era l'idea di un'alleanza strategica di tutte le forze
democratiche e progressiste, in un'Europa sempre piú lontana
dalle ideologie del ventesimo secolo e perciò non piú
inquadrabile nelle famiglie politiche tradizionali. Quest'idea, per
qualche anno, ha prodotto un governo funzionante, fra i migliori
governi italiani degli ultimi 50 anni, ma fu presto messa in crisi dai
nostalgici dei vecchi partiti italiani; da allora abbiamo sempre perso.
Nel frattempo il panorama dell'Europa e del mondo è rapidamente
cambiato. Le Nazioni Unite sono a rischio. I neoconservatori americani
scrivono apertamente "Non è troppo tardi, gli Usa possono
aiutare a fermare la nascita del superstato europeo" e Weekly Standard
titola "Against united Europe". I democratici americani sfidano Bush
junior, ma ci riusciranno? In molti paesi europei, lo dicevo prima, ci
sono ricorrenti ondate di razzismo, xenofobia, euroscetticismo.
In questo quadro, anche su scala europea, le famiglie politiche
tradizionali appaiono spesso inadeguate a definire gli schieramenti
secondo cui popoli e rappresentanti politici si dividono nelle scelte
fondamentali: è di destra o di sinistra cedere all'Unione
maggiori quote di sovranità nazionale, nella nuova Costituzione?
E' progressista o conservatore il diritto di veto (che con 25 paesi
equivale a bloccare l'Europa) su temi come la politica fiscale o la
difesa comune? Fare la guerra preventiva all'Iraq è una scelta
socialista o democristiana? O ambientalista? E' solo italiano il
pericolo di una nuova destra che salda interessi economici,
concentrazioni editoriali e televisive, xenofobia e aggressività
militare? Una destra che punta ad uno smantellamento selvaggio del
modello di società europeo, non per trovare un nuovo sistema di
compatibilità, ma nel disprezzo di ogni forma di welfare, di
ogni attenzione per l'ambiente?
Come va, Italia? Male, grazie. Ma anche l'Europa si trova a una svolta
importante e pericolosa. Alla vigilia delle elezioni europee del 2004,
davanti ai temi cruciali sui quali i governi europei si troveranno a
decidere, a cominciare dalla nuova Costituzione, davanti ai molti
rischi e alle molte opportunità della globalizzazione, forse
anche su scala Europea i democratici che amano libertà,
giustizia e pace (nella società e nel mondo) e vogliono per
questo rendere sempre piú stretta l'Unione, potrebbero trarre
uno spunto dal caso italiano ed interrogarsi sul futuro della
democrazia in Europa e nel mondo, e perciò anche su una nuova
articolazione delle famiglie politiche in Europa.