Intellettuali, cristiani, democratici nell'Italia di Berlusconi
[Intervista di Umberto Brancia a Giovanni Bachelet per la rivista
“Confronti” (marzo 2003), riprodotta nel libro “La fatica di pensare.
Gli intellettuali nell'Italia di Berlusconi”, di Umberto Brancia
(Editore Com Nuovi Tempi 2003)]
Negli ultimi anni,
di fronte a fenomeni evidenti di crisi sociale (razzismo,
povertà diffuse, collasso ambientale), vi sono state
mobilitazioni a favore dell'intervento "militante" degli intellettuali,
di quelli che sono stati chiamati i ceti medi riflessivi (insegnanti,
scrittori, ricercatori) su temi d’impegno civile: non tanto una sorta
di richiamo ideologico sotto bandiere precise, ma un appello per alcuni
valori civili ed umani condivisi, che si sentono minacciati. C'è
un versante "laico" di questa posizione, che in Italia è ben
rappresentato, per esempio, da registi come Moretti, da professori
universitari e da scrittori come Antonio Tabucchi e da Erri de Luca.
Nell'epoca del disincanto diffuso, che sembra caratterizzare la
modernità, quale possibilità di udienza vede per
quest’idea di responsabilità pubblica?
Mi pare che nel nostro Paese i cosiddetti ceti medi riflessivi si siano
mobilitati in misura visibile soprattutto nell'ultimo anno, e che la
mobilitazione non sia nata da una crisi sociale o ambientale, ma
piuttosto, come suggeriva la domanda, da minacce ad alcuni pilastri
democratici e liberali, come l'equilibrio nell'informazione televisiva,
la trasparenza dei bilanci societari o l'uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge. Questa serpeggiante preoccupazione civile è
sbocciata in forme pubbliche soprattutto attraverso il movimento
spontaneo dei girotondi, al quale anch'io ho partecipato quando potevo.
Non mi pare che abbia avuto una connotazione laica o religiosa:
è nato proponendo gesti simbolici semplici, assenza di bandiere
e palchi, temi condivisi da chiunque abbia a cuore la costituzione,
catene di email auto-organizzate. Nelle piazze vere e in quelle
telematiche ho incontrato o ritrovato amici di ogni estrazione, non
pochi attivamente impegnati nella comunità cristiana ed ebraica.
Non mi pare nemmeno che alcuni intellettuali, certo piú visibili
di altri, costituiscano l'aspetto piú innovativo; c'erano,
naturalmente, e hanno contribuito al successo e all'impatto pubblico
delle iniziative. Ma in fondo la sinistra ha sempre avuto schiere di
intellettuali capaci e significativi per il Paese, pronti, nei momenti
di mobilitazione, a firmare appelli o partecipare ad eventi. A mio
avviso la novità piú interessante era il gruppo di donne
che in molte città è stata l'anima dei girotondi. Sono
anch'esse parte di questo ceto medio riflessivo - traduttrici,
insegnanti, impiegate - ma autenticamente estranee al circo
politico-mediatico, desiderose solo di svegliare l'opposizione
parlamentare, capaci di aprire nuovi spazi e inaugurare un nuovo stile
di comunicazione. La loro iniziativa ha messo in luce le minacce ad
alcune garanzie democratiche e civili da parte dell'attuale maggioranza
di governo, ma anche una crisi di rappresentanza politica nell'area
dell'opposizione: a parte ogni recriminazione su riforme previste e non
realizzate (la regolamentazione delle tv) o realizzate ma mai esistite
nei programmi (il "giusto processo") quando l'opposizione era al
governo, anche dopo la sconfitta il suo atteggiamento appariva ancora
incerto e contraddittorio. Per rispondere alla sua domanda, io sono un
po' all'antica: guardo con istintivo sospetto i "grilli parlanti",
quelli che dicono ai politici quello che dovrebbero fare senza poi
doverne rispondere agli elettori; e guardo con istintiva paura alle
piazze e ai movimenti privi di una struttura democratica interna
(perfino nella mia chiesa cattolica, figuriamoci nella politica). Sono
affezionato alla democrazia rappresentativa basata sulla delega e sul
principio di maggioranza. Credo che in tempi normali la politica spetti
a quelli che sono eletti e pagati per farla a tempo pieno. Se adesso
perfino io apprezzo movimenti e intellettuali militanti, è
perché il mio Paese mi sembra in una situazione di emergenza
democratica. Che è tale non solo per il pessimo governo della
destra, ma anche per l'indageuatezza del sistema di partiti e partitini
a rappresentare gli elettori dopo le trasformazioni elettorali
culturali e politiche degli ultimi dieci anni. Quando, aiutati e
stimolati anche da movimenti e cittadini preoccupati, i nostri capi e i
nostri parlamentari (intendo: quelli di opposizione) riprenderanno a
fare bene il loro mestiere, anche molti di noi saranno felici di
riprendere il proprio. Ma purtroppo, salvo qualche momento di speranza
e di ottimismo della scorsa primavera, questo momento non mi pare
imminente.
Si
registra anche, negli ultimi due anni, un successo crescente di
dibattiti e libri dedicati ai temi sociali, dell’ambiente, o sui vizi
di comportamenti pubblici, privi di contenuto etico. C'è anche
un versante religioso di quest’attenzione alle domande di senso, che
tenta di definire gli interrogativi spirituali piú urgenti
dell’uomo: Dio, la morte, la malattia. Stanno nascendo nuove collane
editoriali dedicate alle questioni etiche e religiose: penso al
successo e all’interesse suscitato da pensatrici come Simone Weil e la
Hyllesum. Che spazio reale possono avere queste domande spirituali e
queste inquietudini etiche nella situazione attuale del paese, e in
particolare nel riformare la politica?
Il crollo dell'ideologia marxista con la sua carica da un lato
originariamente antireligiosa e dall'altro tendenzialmente totalizzante
(nel senso che il partito era per molti anche la casa dei sentimenti,
della morale, della filosofia), ha inizialmente prodotto, come ricorda
Filippo Gentiloni nel suo libro "Il cieco e lo zoppo" che ho avuto la
fortuna di presentare da voi, un tracollo morale e culturale di fronte
all'invadenza del "pensiero unico" neocapitalista, rischiando di
trasformare la stessa lotta politica in un problema di potere e di
governabilità e di privarla di un progetto, di una prospettiva,
insomma di un'anima. Ma forse dopo un'inevitabile vuoto e
disorientamento si sta aprendo uno spazio di autentica, pensosa,
feconda laicità. I segnali di cui parla testimoniano forse una
rinnovata attenzione a grandi questioni esistenziali e morali e al loro
nesso con l'urgenza di un rinnovamento politico, economico, ambientale.
In questo contesto anche il contributo delle grandi correnti religiose
del nostro paese e del mondo potrai forse avvenire con maggiore
serenità e senza equivoci. Ciò dipenderai naturalmente
anche dall'atteggiamento e dalla capacita' delle chiese (e delle altre
comunità religiose) di cogliere i segni dei tempi e guardare
avanti, o viceversa indietro.
Da
qualche tempo se ne discute un po' meno, ma si può dire che il
volontariato è stato, in questo decennio, un fenomeno di grandi
dimensioni culturali ed etiche, che ha fatto argine ad una
mentalità secolarizzata, che si fonda sui valori preminenti del
mercato e del consumo? In che misura queste esperienze, fondate sul
gratuito e sull’aprirsi agli altri, possono fornire la base ad una
nuova stagione di maturazione civile, di impegno nella società?
Il grande mondo del volontariato (ma il discorso vale anche per altre
forme di associazionismo e cittadinanza attiva, d'ispirazione laica e
religiosa) rappresenta, con in suoi valori fondanti ma anche per la sua
vicinanza concreta a problemi emergenti della società, come
l'immigrazione, un'eccezionale riserva non solo di energie morali ma
anche di competenze. Tornando al tema di una domanda precedente, temo
che finora questa riserva si sia travasata solo in minima parte nel
mondo della politica a causa di deficienze strutturali: il sistema
politico è ancora organizzato sul modello di partiti adatti al
vecchio sistema elettorale proporzionale, che non è piú
capace di attrarre simpatie, di suscitare sogni, di parlare con pezzi
di società civile se non in chiave di arruolamento elettorale.
Purtroppo, per quello che riguarda il centrosinistra, è stato
sprecato un momento magico, la vittoria del 1996. Forse allora si
sarebbe potuta orientare l'intera coalizione verso un soggetto politico
leggero, nuovo, comune a tutti, capace (come il partito democratico
negli USA) di dialogare con volontariato, associazioni, chiese,
sindacati senza colonizzarli: insomma l'Ulivo a cui pensava Prodi. Ma
momenti simili non tornano tutti i giorni. Il fatto che i partiti
attuali non solo non facciano da imbuto fra società e Parlamento
(come vorrebbe la Costituzione) ma a volte sembrino quasi un tappo, non
solo impoverisce la politica, ma anche le associazioni e la
società. Pur partecipe di molte manifestazioni di piazza del
2002, faccio interminabili chiacchierate con gruppi scout,
parrocchiali, Caritas, e anche con i miei figli piú grandi,
svolgendo l'antipatico ruolo del pompiere: ricordando loro che la
politica non è solo né soprattutto denuncia dei mali,
sentimenti, valori, ma è competenza e conoscenza dei problemi,
fissazione delle priorità e delle compatibilità che
permettono di affrontarne almeno alcuni, identificazione della ricetta
e delle persone adatte per risolverli, eccetera. Questo tipo di
pedagogia vorrebbe aiutare i piú giovani e generosi ad evitare,
magari in nome di valori sacrosanti, l'analfabetismo politico di
ritorno, la tentazione del libro dei sogni e
dell'irresponsabilità, nuove confusioni fra fede e politica e
nuovi fondamentalismi. Ma è chiaro che la migliore educazione ad
una responsabile partecipazione politica sarebbe la politica stessa, se
solo essa fosse attraente e permeabile rispetto ai settori piú
vivi della società.
Piú
in generale, in questo contesto culturale e politico, come vede oggi un
tema antico e importante come quello del confronto tra culture
cristiane e laici?
Da questo punto l'Italia ha una storia ricchissima, anche se dominata,
in campo cristiano, dalla presenza cattolica in generale e, dopo la
guerra, dal partito della Democrazia Cristiana. Era meglio la DC?
domanda una recente copertina della vostra rivista. A volte verrebbe
quasi da dire che, oltre che una diga contro il comunismo, fosse anche
come una diga contro il clericalismo piú sfacciato. Adesso tutti
i partiti ostentano rispetto verso la Chiesa Cattolica ma sotto sotto
puntano ad una trattativa mondana (vantaggi in cambio di appoggio), che
è diseducativa per tutti. In questo passaggio, forse
inevitabile, i cristiani possono aiutare la chiesa e la società
in cui vivono ad alzare lo sguardo, ad evitare che il terreno della
politica e dell'economia, rivoltato dall'aratro della storia, perda
l'anima e il respiro, seminando seme buono nelle zolle fresche. Ma
forse non sto rispondendo alla domanda. In realtà è
impossibile dare in poche parole una risposta sensata ed esauriente ad
una domanda cosí ampia e difficile. Alla luce di tutta la
chiacchierata di oggi, pero' direi che proprio la Bibbia è il
piú terreno saldo e duraturo su cui incontrarsi e confrontarsi,
non solo fra cristiani delle chiese e denominazioni presenti in Italia
(come giú avviene, anche in ambito interconfessionale, nella mia
pluriennale esperienza della Società Biblica), ma anche con
tutte le comunità religiose non cristiane e con tutti i laici
aperti alle sfide della vita e del mondo che cambia.