La Parola Antica
[contributo di Giovanni Bachelet al
volume “La Bibbia in Italia”, edito
da Claudiana (Torino 2004) per la settimana delle libertà,
nel secondo centenario della
Società Biblica in Italia]
Nel 1973 cominciavo Fisica alla Sapienza, e, fra i nuovi amici, c'era
Luciano Bertalot, che studiava, faceva sul serio e sapeva guardare con
occhio saggio e a volte divertito a sé e al mondo di quegli
anni; un mondo in grande movimento, nel quale molti altri non erano
saggi e si prendevano tremendamente sul serio. Scoprii che Luciano era
cristiano come me quando m'invitò ad una sessione estiva del
Segretariato Attività Ecumeniche. Un'esperienza indimenticabile,
ripetuta per molte estati. Mio padre fu contento di questa nuova
attività. Ecco, disse, una cosa bella che io, alla tua
età, non avrei nemmeno potuto sognare. La Vingiani è
bravissima, aggiunse. E concluse: del papà di Luciano, il
Pastore Renzo Bertalot, puoi fidarti: è uno che in Gesú
Cristo ci crede veramente. Poiché mio padre, in privato, era un
po' burlone, l'ultimo commento poteva sembrare una battuta sul nostro
mondo; dopotutto papà aveva appena concluso il suo impegno
nazionale in Azione Cattolica e noi di casa, in vario modo, eravamo
impegnati nella stessa Chiesa. Dal tono capii però che mio
padre, quella volta, diceva sul serio. E aveva ragione.
A quei tempi anche nel dialogo interconfessionale era forte lo spirito
sessantottino; a molti il vero e urgente punto d'incontro sembrava
l'impegno sociale e politico – magari quella che allora si chiamava
scelta di classe. Ma a Renzo Bertalot non importava niente di essere
à la page: c'insegnava che mettendo al centro Gesú e la
sua parola, camminando verso di lui, ci saremmo avvicinati fra noi. Era
quello il fondamento certo e duraturo dell'unità fra noi
cristiani, senza il quale si sarebbe presto spenta anche ogni fame e
sete di giustizia, ogni speranza di essere sale, luce e lievito per un
mondo insipido e ingiusto. Cosí qualche anno dopo, mentre altri
amici diffondevano Lotta Continua e Il Manifesto (che noi leggevamo,
per carità, con grande interesse e attenzione), Luciano ed io
diffondevamo la traduzione interconfessionale in lingua corrente del
Nuovo Testamento (TILC), che pian piano veniva fuori dal lavoro della
Società Biblica in Italia. Oggi ne circolano in Italia dieci
milioni di copie.
A quell'epoca abbiamo appreso sul campo, fra una preghiera dalle
Missionarie Francescane e un tentativo (riuscito) di rifilare
quantità industriali di Nuovi Testamenti a qualche pastore o
capo scout, le immense ricchezze spirituali delle Chiese e i fondamenti
del dialogo interconfessionale: un metodo, una rivoluzione copernicana
(cosí la chiamava il Pastore Bertalot), che negli anni si
è rivelata essenziale anche per il mio dialogo
intra-confessionale, in tempi di nuovi movimenti e spinte (a volte
spintoni) al dissenso, e poi al consenso. Il segreto era non mettere al
centro sé stessi o la propria piccola o grande comunità:
mettere al centro Gesú e la sua parola. Non cercare di
convertirsi a vicenda, come facevano prima della guerra mio zio Luigi
de Januario e Giorgio Girardet tornando insieme a casa dal liceo
Mamiani, ma lasciarsi convertire dalla Parola di Dio. Non cercare di
rinnovare la Chiesa rinnovando gli altri, ma se stessi.
Aspetto essenziale di questo metodo era non solo la gioia di scoprire e
valorizzare la varietà delle vocazioni e delle tradizioni, ma
anche la capacità di rispettare la lentezza e la fatica con la
quale altri buoni cristiani, Pastori e non, riuscivano ad apprendere,
accettare ed apprezzare questa varietà; la capacità,
insomma, d'insegnare con un sorriso, senza spezzare la canna fessa e
senza spegnere il lucignolo fumigante, a conoscere e vivere la
varietà e la diversità leggendoci controluce, al di
là degli evidenti motivi di dolorosa divisione, lo splendore
dell'unità. Perciò niente fughe in avanti: quando al
matrimonio di Valdo mi accostai alla Santa Cena, Renzo Bertalot si
commosse (raccontandomi che anche un pastore aveva fatto lo stesso in
un'Eucarestia cattolica), ma qualche giorno dopo mi disse: guarda che
per rispetto della fede di tutti è bene non farlo. Dobbiamo
soffrire per questa divisione, pregare e lavorare perché un
giorno sia superata, ma non far finta che non ci sia.
Questo stile, insieme al formidabile lavoro scientifico di traduzione e
diffusione, ha saputo nel tempo attrarre e persuadere persone
significative e rappresentative, libere eppure profondamente fedeli
alle loro chiese. Cosí la Società Biblica in Italia
è diventata anche luogo d'incontro ecumenico aperto e fraterno,
forse l'unico nel quale (anche grazie alla sapienza politica ed
ecclesiale del suo statuto) i membri di tante chiese antiche e nuove,
piccole e grandi, lavorano e pregano insieme senza paura d'essere
fagocitati, strumentalizzati, messi in minoranza dagli altri.
Vorrei fare un esempio relativo agli ultimi anni, nei quali ho avuto
l'onore di far parte del Consiglio d'Amministrazione della SBI: alla
scadenza del mandato mio e di Gianni Long, abbiamo tutti convenuto di
suggerire, per i due nuovi membri che ci avrebbero dovuto sostituire,
la candidatura di un ortodosso e un luterano. Questo avrebbe ovviamente
ridotto la presenza cattolica e valdese nel CdA, ma nessuno, a
cominciare da noi membri uscenti, l'ha considerata un'obiezione seria,
a fronte della speranza di coinvolgere altre comunità cristiane
presenti in Italia in un lavoro comune di traduzione e diffusione
efficace e significativa della Bibbia. La scelta è stata
pacifica e corale. A cose fatte, questa tranquillità mi ha
ricordato un vecchio motto che piaceva a Martin Luther King: La Paura
bussò alla porta. La Fede andò ad aprire. Non c'era
nessuno.
Con rispetto per gli importantissimi impegni e compiti istituzionali,
l'incontro con Ciampi e col Papa per i 25 anni della TILC, l'assemblea
mondiale delle Società Bibliche di tutto il mondo dove ho avuto
il privilegio e l'emozione di rappresentare, insieme a Valdo Bertalot,
il nostro Paese, devo dire che la cosa di cui piú sento la
mancanza, ora che il mio mandato è scaduto, è proprio la
piccola meditazione biblica con la quale il presidente Paolo Ricca
apriva i lavori del consiglio d'amministrazione. Niente fughe in
avanti, per carità. Ma quei pochi momenti di comune ascolto,
silenzio e preghiera attorno alla Bibbia mi dicevano, meglio di molti
discorsi, che il mondo e la chiesa che avevamo sognato quando avevamo
diciott'anni erano certo ancora molto lontani, ma un po' piú
vicini di quando avevamo cominciato a credere, sperare, camminare
insieme.