Il centrosinistra e Charlie Brown
Giovanni Bachelet su MicroMega 3/2004

Charlie Brown & Lucy


Sabato 12 giugno ubbidisco ai mitici messaggini della Presidenza del Consiglio e vado a votare subito con la mia vecchia zia Francesca, che ha bisogno di essere accompagnata perché cammina male. Poi è il mio turno. Il mio voto va al centrosinistra, ma non al simbolo dell’Ulivo. Un simbolo che ho visto nascere e per il quale, fra il 95 e il 96, ho speso un anno di vita, per poi riprendere la vita normale. E’ una scelta dolorosa. Come è successo?

Mentre traccio la croce e scrivo le preferenze, ripenso al luglio dello scorso anno. Al campeggio dei Lupetti della nostra parrocchia Marco Rizzo, che come noi deve avere lí figli o figli di amici, viene incontro a me e Beppe Tognon e ci chiede a muso duro: ma cosa gli è venuto in mente a Romano? non capisce che la proposta, fatta in questo modo, è irricevibile proprio da quelli che, come noi, hanno dato il sangue per lui e per l’Ulivo? che ci azzecca, come direbbe Di Pietro, una lista unitaria di tutto il centrosinistra col sistema proporzionale delle elezioni europee? e perché tirarla fuori adesso, senza preavviso e preparazione del terreno?

Già, perché? Forse per rompere un assedio invisibile in corso (viva la glasnost), che ha per posta gli assetti interni e gli equilibri futuri del centrosinistra, in vista della riscossa. Forse perché Romano (o qualche fidato consigliere) non ha voglia di contare i voti della Margherita e toccare con mano, per la seconda o terza volta, che sono circa due terzi dei voti dei DS. Forse perché pensa che tappa irrinunciabile dell’evoluzione politica italiana sia, di riffa o di raffa, lo scioglimento dei DS. Ma col gioco delle preferenze la Margherita può anche buscarle, come quando il PCI fregò il PSI alle elezioni del 1948; e di unificazione (avverte qualche tempo dopo Claudio Rinaldi sull’Espresso) si può anche morire, come accadde al PSU di Saragat.

Forse dovremmo dire onestamente a Marco Rizzo che anche noi l’abbiamo appreso dai giornali. Ma in fondo questa di Romano è una grande idea. Gli schieramenti tradizionali sono davvero inadeguati rispetto all’opinione pubblica europea. Il PSE ha dentro Blair che fa la guerra e Schröder che non la vuole. Il PPE ha dentro conservatori e reazionari e altri, invece, simili ai nostri vecchi democristiani di sinistra. Anche in Italia unità e rimescolamento delle anime del centrosinistra corrispondono alle attese degli elettori.

Morale: teniamo botta, nella speranza di non ritrovarci poi come Charlie Brown dopo la sua lunga rincorsa, quando Lucy, per l’ennesima volta, gli toglie il pallone al momento del calcio. Che cos’abbia in mente Prodi se lo domanda anche D’Alema, che lí per lí è stizzito – progetti simili non vanno proposti in un’intervista – ma ci mette poco (circa due settimane) a rivoltare la frittata a modo suo: l’Ulivo secondo lui diventerà il partito riformista – come l’omonimo organo di stampa. Per chiarire meglio di che cosa si parla quando si dice riformismo, si arriva perfino al tentativo, per fortuna non riuscito, di riabilitare Craxi ad un convegno della fondazione ItalianiEuropei.

All’inizio dell’autunno, un po’ prima di questo infausto evento, vado a un altro convegno, dove invece c’è Prodi, che non vedo da un anno. E’ l’unica occasione per comunicargli, in libertà e amicizia, la delusione per come si stanno mettendo le cose, e la speranza che lui stesso, inventore di un’operazione molto azzardata, la prenda o la riprenda in mano, restituendole lo spirito originario (quello che molti avevano creduto di leggere nella sua prima intervista). Ma con tutto quello che ha da fare, e con tutti quelli che come me vogliono parlargli, acchiapparlo a tu per tu sarà un’impresa.

Invece ci riesco, e, secondo il mio carattere, approfitto della finestra di opportunità senza troppe circonlocuzioni. Dalla sua risposta, non meno franca della mia domanda, capisco che ormai quasi tutto è deciso. Mi dice infatti, anche lui senza molti complimenti (ma con molto affetto e simpatia): “senza D’Alema non si può, come lo vuol fare D’Alema non piace a te, ma vai a cagare”. Trovo formidabile che Romano si metta nuovamente nelle mani di D’Alema (e di Marini, che, come si vedrà al momento delle candidature europee, ha un simmetrico e decisivo potere nella Margherita).

Ma forse è piú saggio di me; forse i politici veri non serbano rancore; forse pensa, ed è innegabile, che non solo l’impressionante sequenza di autogol culminata nella sconfitta del 2001, ma anche la nascita dell’Ulivo e la vittoria del 1996, sarebbero state impossibili senza D’Alema e Marini; forse fra sé aggiunge, speriamo di no, che tutta la vicenda dei Comitati Prodi, da me e da molti vissuta intensamente, è stata un’utile, ma non decisiva cornice folkloristica; o infine pensa che, stavolta, sarà lui a fregare D’Alema e Marini.

Chi può dirlo? Non lui, non adesso, non a me, e per giunta in mezzo a un convegno. Ma la sostanza è chiara: secondo lui non ci sono alternative. Gli dico solo: Romano, se non prendi saldamente in mano questo progetto e lo deleghi invece, totalmente, ai partiti esistenti, questo progetto sarà un passo utile, magari necessario, ma non scalderà i cuori, e nemmeno sfonderà in modo decisivo; com’è già successo per la Margherita. Baci, abbracci, arrivederci all’anno prossimo.

Su temi molto simili Nanni Moretti, un mesetto dopo, manda la sua lettera aperta a Prodi, e l’autore mi fa l’onore di leggerla in anteprima. Con Moretti, da piazza Navona in poi, mi capita spesso di essere d’accordo. Anche adesso, alla vigilia del voto, mi sono riconosciuto nella sua intervista. Niente campagna elettorale. Voto per una lista di centrosinistra, ma non vi dico quale, perché in questa situazione di poca unità faccio fatica a riconoscermi, e non voglio contribuire alle lacerazioni. Mi viene solo da aggiungere, con tristezza: alé, ce l’hanno fatta! Quasi tutti i dirigenti sono rimasti in sella e quasi tutti i rompiscatole sono stati messi in condizione di non nuocere... ma purtroppo neanche di giovare. Niente valore aggiunto, come si vedrà dai risultati finali del 13 e 14 giugno.

Nella primavera del 2002, subito dopo piazza Navona e i primi girotondi, l’aria che tirava era ben diversa. Su iniziativa di Maria Giordano, consultato da Rutelli insieme a Marina Astrologo, Edoardo Ferrario ed altri, avevo suggerito un’idea, poi realizzata personalmente (mettendoci faccia e bandiera): aprire la prima manifestazione unitaria dell’Ulivo dopo la batosta elettorale del 2001, a San Giovanni, con alzabandiera e inno di Mameli dedicato ai magistrati morti in servizio. L’alzabandiera con inno di Mameli sarà ripreso anche da Cofferati alla grande manifestazione del Circo Massimo, e salutato come importante novità, dall’altra parte dell’oceano, da un intelligente osservatore come Maurizio Viroli. A posteriori, chissà se se la meritavano, quella bandiera. La tradizione è già stata, mi pare, accantonata.

Quanti ricordi. Dopo l’inno di Mameli una sapiente regia aveva fatto seguire il Piave (che riecheggiava il “resistere, resistere, resistere come sulla linea del Piave” di Borrelli), sfumando poi in una rapsodia nazional-popolare, da Papaveri e Papere a Dio è morto. Fra tanti cartelli autoprodotti e spontanei spiccava uno: “mancano 875 giorni al ritorno del Professore”. Fassino prometteva l’apertura del nuovo Ulivo, al quale tutti i cittadini del centrosinistra si sarebbero potuti iscrivere. Ma poi non è successo. Anche lo spirito di allora mi pare accantonato. O forse era allora che m’illudevo. Ma bisogna sperare e agire anche quando le cose vanno male. Anche quando su un periodico online di stretta osservanza dalemiana, come LaLettera, si saluta con soddisfazione la fine della stagione dei movimenti, che riavvolgono le loro bandiere.

Domenica 13 giugno. Chissà come stanno votando tutti gli altri. Ieri Berlusconi ha fatto propaganda al seggio riuscendo a beccarsi perfino un fondo molto critico del direttore del Corriere, proprio nel secondo giorno di voto. Forse anche Berlusconi sta cominciando a fare errori e le elezioni andranno bene per il centrosinistra. Magari fosse!

Passiamo la domenica in campagna e all’aperto facciamo la Messa insieme alla padrona di casa, catechista dei nostri bambini, e molti vecchi amici, di varie generazioni. A una cert’ora passa anche il Professor Scoppola, che ha diretto il gruppo di lavoro per la Costituente dell’Ulivo, di cui anch’io, a nome di Libertà e Giustizia, ho fatto parte. In campagna elettorale è stato forse l’unico punto d’incontro di tutti i partiti, movimenti e associazioni dell’Ulivo, esclusa Rifondazione. Ha elaborato con tranquillità – merito di Scoppola, che ha saputo superare il clima polemico fra liste concorrenti, inevitabile nell’imminenza di elezioni – il progetto di un percorso per la graduale costruzione di un nuovo soggetto politico unitario, sul quale tutti si sono detti d’accordo, tranne qualche riserva finale dei Verdi. Ma benché il mandato a Scoppola sia venuto da Fassino e Rutelli, non è chiaro quali e quanti partiti teoricamente rappresentati nel gruppo di lavoro ci credano davvero, né quanto ci creda Prodi stesso. Certo Parisi è l’unico politico di peso venuto a tutte le riunioni; ma Scoppola, che a nome del gruppo vorrebbe avere da Prodi, prima del voto, un segnale pubblico di unità del centrosinistra, un lancio del cammino Costituente, deve alla fine arrendersi. Niente da fare.

Domenica sera a casa. I primi dati cominciano a uscire. Uhm. Piú o meno come sperato: molto male per Berlusconi; e temuto: né benissimo né male per il listone; sostanziale pareggio, nella somma dei voti delle (presunte) coalizioni, fra centrodestra e centrosinistra. Nella notte mi arriva un messaggino da Arianna, un’amica di Ferrara che anche lei non ha votato il Listone: benvenuto fra i perdenti! Ma i dati ballano ancora un po’. Simona Peverelli mi telefona. E’ in giro per Roma. Festeggiamo? dove? ma io devo lavorare. Un articolo di fisica da rivedere e spedire a Physical Review, e un altro per la rivista dei responsabili dell’Azione Cattolica Italiana da inventare, entrambi entro domattina. Dovrò contentarmi di seguire tutta la notte i dati elettorali su Internet. E poi, ma non glielo dico, temo di non aver voglia di festeggiare. Forse è naturale: non ho partecipato alla campagna e la lista per la quale ho votato, dopo moltissimi dubbi e quindi senza darne pubblicità (salvo partecipare ad una presentazione del libro di Pancho Pardi), è andata decisamente male. Sarebbe stato meglio che Di Pietro, Occhetto e gli altri fossero entrati nel Listone. Loro avrebbero preso piú voti – restare fuori li ha certamente penalizzati – ma anche per il Listone un risultato del 35% sarebbe stato molto meglio. La questione della coerenza ideologica mi è sempre sembrata un pretesto: mi pare di vedere altrettanta omogeneità fra Salvi e Boselli (tutti e due nel Listone) che fra Occhetto e Di Pietro.

Che alla fine almeno Occhetto, Di Pietro e la galassia dei movimenti del 2002 confluissero nella lista “Uniti per l’Ulivo” lo sperava Enzo Marzo, lo speravo io; lo sperava, soprattutto, gran parte del mondo dei Girotondi e delle associazioni, che probabilmente, in questo caso, si sarebbe scatenato nella campagna elettorale; invece, dopo il patatrac delle trattative, questo mondo è rimasto paralizzato e muto. Forse era impossibile fare diversamente, e di certo ci saranno colpe da entrambe le parti, ma la mia impressione è che sia stata la leadership del Listone ad avere la prevalente responsabilità di tenerli fuori. E in seguito: di dare al professor Amato, bravissimo ma per me inseparabile, nella memoria, dal primo e fondamentale decreto salva-Berlusconi del 1984-85 (ma spero di ricordare male), la responsabilità di coordinare il programma. E di mettere in lista, a volte in posizioni importanti, personaggi che io, per ragioni morali e politiche, sento infinitamente piú lontani di Occhetto e Di Pietro. Per questo, una volta sfumata la prospettiva di averli nel Listone, ho dato a loro la mia simpatia e il mio voto. Con la certezza che, alle politiche e all’uninominale, non andranno dall’altra parte; e che quindi anche il mio voto di oggi è andato, in realtà, dentro l’Ulivo grande, checché abbiano decretato gli avvocati del Listone che hanno impedito a Occhetto e Di Pietro di includere l’Ulivo nel loro simbolo: una storia veramente molto brutta.

Lunedí mattina sono ad ASTRID, con Bassanini, lo stato maggiore di Libertà e Giustizia e David Sassoli (che farà da conduttore) per preparare la scaletta della manifestazione del 19 giugno a Milano “Salviamo la Costituzione”. Si parla anche dei risultati elettorali: l’enorme calo di Forza Italia, l’importante aumento dell’UDC e la Lega che risale oltre il 4% giocheranno a favore della stabilità o dell’instabilità? C’e’ meno voglia, invece, di parlare delle prospettive del centrosinistra. Nessuno di noi capisce (neanche Bassanini) se il risultato del Listone, né cattivo né eccezionale, rafforzerà o indebolirà la prospettiva dell’Ulivo grande, di Prodi, della rivincita nel 2006. Non sappiamo neppure quanto vigorosa sarà l’opposizione alle imminenti riforme costituzionali di Berlusconi & soci, e con questo convegno intendiamo appunto sollevare il problema.

In una pausa, nella stanzetta dove si fuma, qualcuno racconta per chi ha votato; sentendo che ho votato per la lista Occhetto-Di Pietro tutti cascano dalle nuvole e mi guardano come se fossi un ornitorinco. Capisco l’altrui costernazione: tutto sommato sono costernato anch’io. Né mi dispiace (come diceva Nanni Moretti) che altri abbiano votato (anche nella mia famiglia) altre liste del centrosinistra, e in maggioranza il Listone: con Rosy Bindi dicevamo, mentre guidava a tutta velocità in autostrada seguendo a distanza su due telefonini (viva voce) l’ultima giornata delle candidature, che, per avere una piena vittoria, il Listone avrebbe dovuto prendere molti piú voti di Forza Italia, e la somma dei partiti del centrosinistra superare quella del centrodestra. Se anche la seconda cosa fosse accaduta, allora avrei festeggiato, a prescindere dai rapporti di forza interni all’Ulivo grande. Ma, ahimé, non è accaduta.

Lunedí pomeriggio c’è il battesimo del figlio del mio vecchio laureato Leonardo, che ora lavora in un’università Svizzera. Il prete è un vecchio assistente degli scout insieme al quale ho diretto parecchi campi scuola alla fine degli anni 70. Lavoravamo molto bene insieme, ma all’epoca lui era gruppettaro e io zaccagniniano, e in politica non andavamo per niente d’accordo; ma ormai l’Italia è andata talmente a destra che ci differenziano solo sfumature.

E’ tornato dall’Albania, dove è in missione, solo per votare, come me, per il centrosinistra. Contento per la grande suonata che ha preso Berlusconi, mi domanda: ma tu che un po’ hai fatto politica, puoi spiegarmi come mai i nostri non sono andati tutti insieme, come invece aveva detto Prodi? Come faremo per il 2006? Eh, bella domanda. Vedo un mucchio di problemi. Basta cominciare dal fatto che nel 2006, col Mattarellum, ci sarà un simbolo proporzionale e uno di coalizione; come la metteremo col simbolo dell’Ulivo? Il Listone cambierà di nuovo simbolo e nome? Temo che Prodi possa finire fritto nella stessa padella che ha contribuito a mettere sul fuoco con questa bella pensata della Lista Unitaria, tanto Unitaria da essere alla fine una delle sei (6) liste dell’area di centrosinistra.

Martedí. Per un bel po’, come sempre, non si sa esattamente che cosa succede con le preferenze, salvo quelle dei piú forti e noti. Lilli Gruber, che venerdí sera ha fatto una bella chiusura in televisione, è andata fortissimo. Ne sono contento, mi pare che se lo meriti. E non si spiega solo con l’effetto televisione. O meglio: la televisione ti fa conoscere, e questo è importantissimo. Ma poi, se ti conoscono, non è mica detto che ti votino. Cecchi Paone è conosciutissimo e molto apprezzato come giornalista televisivo. Ma come politico è stato sonoramente bocciato dagli elettori. Mentre la Gruber non è mica stata eletta per il rotto della cuffia: ha letteralmente polverizzato quasi tutti i politici professionisti di lungo corso, e soprattutto – che figuraccia – fatto a pezzi il nostro amato Presidente del Consiglio, che delle televisioni non è dipendente, ma proprietario. Beh, è proprio un bel risultato. Dopo un bel po’ scoprirò anche che Pardi, per il quale ho votato (insieme ai due “capilista” Occhetto e Di Pietro), non ce l’ha fatta, mentre Umberto Guidoni, astronauta e mio vecchio compagno di Fisica, è andato bene (per la sua lista, il PDCI); ed entrerà, cosa su cui non avrei scommesso una cicca, al Parlamento Europeo di Strasburgo, perché Diliberto rinuncerà. Sono contento per lui e per l’Europa.

Sempre martedí esce la lettera di Prodi sulla Costituente dell’Ulivo, che lancia il documento del nostro gruppo di lavoro. Meglio tardi che mai. Chissà se siamo ancora in tempo. Vedo con piacere che Di Pietro è fra i primi a dire di sí, nonostante tutto quello che è successo. Ma gli altri che faranno? I Verdi? I vari Mastella? E con Rifondazione come la metteremo? Ho tanta paura che con queste elezioni il tentativo di frantumare e disarticolare la spinta nuova della primavera 2002 sia almeno in parte riuscito; e senza questa spinta la resistenza dei partiti all’ipotesi, pur gradualissima, di un soggetto politico unitario, sarà maggiore di prima. Si giocherà sulle parole “federazione” e “costituente”, alla fine sarà una federazione di poco piú larga di quella, attuale, del Listone; e quindi ci sarà comunque bisogno di allearsi, per l’uninominale, con altri partiti e altre sigle del centrosinistra che resteranno volutamente fuori da questa federazione. Perciò ancora candidature con trattative di vertice, tavoli lontani mille miglia dai cittadini; ancora riarrangiamenti di pezzi di Parlamento, forse necessari, ma non entusiasmanti. Basterà a farci vincere e, poi, a farci governare bene il Paese, a farlo crescere rimettendo in piedi alcuni paletti della democrazia occidentale attualmente a rischio o già divelti? Temo di no. L’unica è sperare che Prodi mangi al piú presto un’altra porzione o due di filetto di tigre, e imponga fin d’ora un percorso costituente davvero irresistibile, verso un Ulivo veramente di tutti. O sperare in qualche altra sorpresa della storia. Chissà.