NUOVO DIARIO MESSAGGERO
Informazione e cultura cattolica della diocesi di Imola


ATTUALITÁ 26/01/2007

«Al cuore della pace»
L'Azione cattolica incontra Giovanni Bachelet

di Francesco Arus


Sabato 27 gennaio (alle 17.45 nella sala Mariele Ventre di Palazzo Monsignani) sarà a Imola Giovanni Bachelet per riflettere insieme sul messaggio del Papa per la giornata della pace. Figlio di Vittorio, già presidente nazionale dell’Azione cattolica e vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura, assassinato dalle Brigate rosse il 12 febbraio 1980, Giovanni, nell’orazione funebre, disse: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Questa esperienza, che lo ha segnato profondamente, non lo ha però portato alla chiusura e al pessimismo, ma al contrario ma al contrario l’ha spronato a partecipare alla vita della Chiesa e delle istituzioni con il suo impegno ecclesiale, culturale e politico. L’incontro, organizzato dall’Azione Cattolica, ha il patrocinio del Comune ed è aperto a tutti per poter donare alla città un’esperienza di pace attraverso un’occasione di confronto su un tema a volte strumentalizzato.

Per l’occasione lo abbiamo intervistato.

Qual’è il "cuore della pace" e come fare ad arrivarci?

Come dice il Papa nel discorso che fa da spunto all’incontro, il cuore della pace è la persona umana e la sua dignità; è dono di Dio, che ci ha creati a sua immagine, ed è anche compito, perché Dio ci ha creati liberi. Ma visto che, nonostante la "grammatica" scritta nel nostro cuore dal Creatore, facciamo cattivo uso della libertà, Egli, nella pienezza dei tempi, ha mandato suo figlio, Gesù, a rivelarci, con la parola e la vita, che Dio è amore e chiama ogni persona all’amore. E soprattutto a donarci, con la sua morte e resurrezione, l’esempio, la speranza, la grazia necessaria ad affrontare ogni giorno questa vocazione, senza scoraggiarci di fronte al male sempre in agguato fuori e dentro di noi.

Quali sono gli ostacoli maggiori ad una reale cultura di pace, sia fra i singoli che fra le Nazioni?

È difficile camminare verso la pace se non si rimuove, o si cerca almeno di rimuovere, il muro invisibile che impedisce a singoli ed intere nazioni di raggiungere condizioni dignitose di vita, salute, libertà. Paolo VI e Giovanni Paolo II, in occasione di precedenti giornate della pace, hanno ribadito il suo inscindibile legame con la giustizia. Anche stavolta il Papa lo sottolinea; un tocco originale dell’ultimo messaggio consiste nel renderne esplicite le conseguenze in termini di uguaglianza fra uomo e donna, rispetto dell’ambiente, diritti umani. Un altro importantissimo ostacolo alla pace che si trova un po’ dappertutto (famiglia, lavoro, religione, politica), è però, almeno nella mia esperienza, la scarsa conoscenza degli altri. I pregiudizi, l’idea che gli altri siano diversissimi da noi, la presunzione di aver ragione, di non aver nulla da imparare da loro, ci portano spesso a metterci sulla difensiva prima ancora di conoscerli. Anche rimuovere gli ostacoli della presunzione e della paura e lasciar crescere, anzitutto in noi stessi, la curiosità e la voglia dell’incontro, contribuisce a trasformare le lance in falci e le spade in aratri, secondo la profezia di Isaia che leggiamo in Avvento. In questo senso rischi e opportunità sono oggi straordinari, dato l’incontro fra popoli, razze, tradizioni religiose imposto dalla globalizzazione e solo trent’anni fa impensabile, almeno sul nostro territorio.

Sono in molti ad avere ancora in mente la sua preghiera di perdono per gli assassini di suo padre. Capita sempre più spesso che in caso di efferati delitti i mass media siano subito pronti a chiedere ai familiari delle vittime se siano disposti a perdonare. Non c’è il rischio, così, di stravolgere il significato profondo del perdono?

Il perdono è una merce così rara che discettare sul suo eventuale stravolgimento mediatico mi pare un approccio sbagliato: anziché guardare al lato buono delle cose, come insegnava il fondatore degli scout Baden Powell, si cerca il pelo nell’uovo e si guarda all’inevitabile banalizzazione che i giornalisti riescono a produrre perfino di fronte al miracolo dell’amore e del perdono. Se, a poche ore da un efferato delitto, uno stretto parente delle vittime, anziché mandare a quel paese il giornalista che lo intervista, gli dice che perdona gli assassini, dobbiamo accusare i mass media di scarsa sensibilità o fermarci a ringraziare Dio che da un evento così terrificante è riuscito ad ispirare in un uomo distrutto dal dolore una parola di bene?

Che ricordo ha di suo padre e in che modo la sua testimonianza ha influito nella sua vita?

Ho un ricordo bellissimo di tenerezza, pazienza, intelligenza e bontà, fondate su una fede semplice e sicura nella buona novella di Gesù e perciò anche nel futuro. Man mano che gli anni passano mi sembra sempre più bassa la probabilità di essere bravo come lui. Vorrei chiedergli come si fa a vivere dopo i cinquant’anni; a volte lo invidio per aver potuto concludere in bellezza, circa alla mia età attuale, una vita proficua e coerente, senza macchia e senza paura, come gli antichi cavalieri, senza conoscere il tempo in cui illusioni e speranze cominciano a vacillare. Resta però la certezza del suo aiuto, non solo attraverso mamma, che continua a trasmettere fede e gioia, ma anche diretto: se c’è davvero il Paradiso sul quale ha scommesso tutta la vita, papà vede meglio di tutti le mie gioie e i miei dolori, i miei sogni assurdi e le mie magagne inconfessabili, e, come accadeva quando ero ragazzo, mi incoraggia e mi sorride.