Prefazione al libro “Strada verso la libertà-Il cristianesimo raccontato ai giovani”
di Paolo Giuntella, Edizioni Paoline 2004

Giovanni Bachelet


“Io voglio sapere / se Cristo è veramente risorto…” La Pasqua del 1972. Una veglia di Clan, poesie e canzoni, l’uomo fra disperazione e speranza, Turoldo e Pavese, Eluard, Merton, Quasimodo, Paolo VI, Martin Luther King. In quel Clan (e poi nel circolo Francesco Luigi Ferrari) Paolo Giuntella ci costringeva, incurante di chi esclamava ad alta voce “che palle!”, a leggere la Gaudium et Spes e Professione e Rivoluzione di Sergio Paronetto, a passare notti intere su Tocqueville o sugli anticonformisti cattolici degli anni ’30, a non disdegnare Fromm, a conoscere meglio dei nostri interlocutori comunisti o radicali le sfide del marxismo, di Freud, di Marcuse allora imperanti. A essere pronti a rendere ragione della speranza che è in noi. Ma anche a saper riconoscere e godere la Grazia di Dio nella convivialità, nell’amicizia, nelle risate, nei fuochi di campo, nell’amore che sboccia; nella musica, nell’arte, nella letteratura; perfino nella scienza e nell’economia. E a riconoscerla soprattutto nella libertà, quel quarto pilastro aggiunto da Giovani XXIII a sostegno della pace nella Pacem in Terris, che in un solo colpo spazzava via la secolare diffidenza della Chiesa Cattolica al riguardo ed escludeva con chiarezza ogni futura interpretazione totalitaria degli altri tre pilastri: verità, giustizia e amore.

Certo dai genitori riceviamo una gran parte di ciò che resta vivo anche nella vita adulta. Ma c’è un’età di passaggio nella quale consigli per la lettura e lezioni di vita e di fede risultano irricevibili anche dal piú santo dei genitori; un’età di passaggio nella quale, in quegli anni settanta, molti miei coetanei si sono smarriti, realizzando piú tardi, magari, il triste detto del paese di Silone: anarchici a vent’anni, conservatori a trenta. E’ anche grazie a Paolo Giuntella (e a Pio Cerocchi, Antonio Toffoli, Fortunato Zoppè, Mario Tedeschini...) se in quell’età di passaggio, per me e diversi amici di allora, il tizzone ardente non si è spento; se a cinquant’anni speriamo ancora di fare la rivoluzione e amiamo l’avventura – l’avventura cristiana, s’intende; se amiamo ancora la strada e la piazza, la Bibbia e la Chiesa, e non siamo chiusi in casa a fare zapping col telecomando; se sentiamo (nel nostro piccolo, come le formiche) non solo indignazione ma, malgré tout, anche rispetto e passione per la politica con la p maiuscola e per la tradizione con la t maiuscola, e per questo non ci limitiamo a servizi di bassa manovalanza (che pure svolgiamo con gioia nelle nostre parrocchie e altrove), né ad opere assistenziali o sociali, né a manifestazioni per la pace: continuiamo ad amare e studiare il Concilio e la Costituzione, e ad impegnarci pubblicamente, se necessario con qualche sacrificio, affinché siano conosciuti ed attuati, non messi in naftalina, o, peggio, demoliti.

“I privilegi ricevuti vanno risarciti.” Il libro riprende piú volte questo graffito, letto sul muro di una metropolitana. Per me fra i privilegi da risarcire c’è l’incontro con Paolo. Quanti fra i nostri figli, fra i figli di Paolo, fra quelli che oggi hanno vent’anni, avranno la fortuna di simili incontri, di simili fratelli maggiori adottivi? Il tizzone resterà ardente fra le mani dei nostri figli? A volte mi dico di sí, pensando alla ricchezza e alla bellezza degli incontri che hanno già avuto. Altre volte temo invece che l’ateismo pratico di questo nostro mondo ricco, patinato e guerrafondaio sia cosí forte che i nostri figli ne vengano alla fine risucchiati; che la nostra Chiesa sia tentata di dimenticare Concilio e Vangelo; che il nostro pianeta, anziché al punto Omega, sia trascinato verso una catastrofe finale.

Anche nel libro emergono con forza simili interrogativi (per esempio: cosa diavolo sta facendo il Padreterno, nel nostro tempo, per liberarci e liberare il mondo dal male? e come possiamo collaborare con Lui o almeno non aggiungere danno al danno?), non facilmente liquidabili da chi voglia esercitare l’intelligenza. La quale, come viene ricordato ai “tanti buzzurri cristiani che riducono tutto a beata ingenuità”, è un dono di Dio e non un optional. Su queste domande il libro non ci tranquillizza. Cerca invece di convincerci che questo è il tempo che il Signore ci ha chiamato a vivere, a conoscere, ad amare e trasformare; ci invita a “non maledire questo nostro tempo, non invidiare chi nascerà domani”, come diceva la vecchia, bella canzone “25 aprile 1945”. A non abbandonare i nostri tentativi, imperfetti, di incontrare gli altri sulla strada, di vivere e testimoniare la gioia e la libertà dei figli di Dio, di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato. A ridere anziché piangere dei nostri tentativi meno riusciti. A sorridere, pregustando l’incontro finale con Gesú.