Primarie oggi? intervento
sul sito di Libertà
e Giustizia, 17/12/2002
I meccanismi e le leggi elettorali non entusiasmano piú gli
Italiani. Tre anni fa, nel 1999, l'ultimo referendum in materia non
raggiunse il quorum. Un secolo sembra trascorso dal giorno del 1991 in
cui, incuranti di autorevoli inviti ad andare al mare, ci recammo a
furor di popolo alle urne per abrogare alcune astruse frasi della legge
elettorale della Camera. Lontano un secolo sembra anche il 1993, due
anni dopo, quando vi tornammo compatti per abrogare una frase, non meno
astrusa, della legge elettorale del Senato. Il calo d'interesse per un
tema adatto a convegni di specialisti ma meno spendibile nei bar e
nelle mense aziendali era forse inevitabile, ma non è un fatto
positivo. L'ultimo decennio conferma infatti l'intuizione dei promotori
di quei referendum. La spallata al sistema proporzionale ha contribuito
a un'effettiva alternanza di governo, sbloccando cinquantennali logiche
di appartenenza e rappresentanza. Ma conferma anche che, sul versante
della rappresentanza e della partecipazione, la legge elettorale fatta
poi dal Parlamento, pasticcio tecnicamente incomprensibile anche per un
cittadino di media cultura, ha sostanzialmente tradito le aspettative
referendarie, regalando, sulle candidature, un potere maggiore di prima
ai vertici delle sigle proporzionali. E contribuendo, secondo alcuni,
alla crescente disaffezione verso le urne. Come non rallegrarsi,
allora, se il tema delle primarie viene autorevolmente riproposto?
Già ai tempi dei referendum elettorali alcuni promotori ci
spiegavano che, una volta introdotto il collegio uninominale, ci
vogliono primarie o doppio turno per non rubare agli elettori di
ciascuna coalizione la cruciale scelta del miglior candidato. Ma -
aggiungevano - anche per le primarie occorre una legge: il
coinvolgimento popolare nella scelta di tutti i candidati al Parlamento
nazionale (e magari anche del candidato leader nazionale, figura
chiave, per ora non contemplata dalla legge) non è una
quisquilia, né come posta politica in gioco, né dal punto
di vista organizzativo. Non può essere, quindi, autogestita in
modo artigianale. Questa riflessione attenua l'entusiasmo per l'odierna
riproposizione delle primarie. Una nuova legge elettorale la può
fare solo il Parlamento. In teoria è piú facile di altre
modifiche istituzionali, perché si tratta di una legge ordinaria
che non richiede la doppia lettura. Però in pratica, senza
infierire sul passato (Mattarellum, Tatarellum e crostate), e perfino
ammettendo che alcuni partiti vogliano oggi unilateralmente rinunciare
al potere di nomina dei candidati in favore di un maggior
coinvolgimento popolare, rimane pur sempre un grosso ostacolo, non
tanto nobile ma reale: il fatto che molti Parlamentari dovrebbero
votare una modifica elettorale il cui primo risultato sarebbe la loro
propria, personale esclusione dalla successiva legislatura. Le poche
riforme elettorali del passato sono state votate a malincuore,
sull'onda di spinte sociali straordinarie, ultima la miscela esplosiva
dei referendum elettorali e del ciclone di Mani Pulite. In assenza di
simili spinte è difficile che il Parlamento si persuada a segare
il ramo su cui è seduto. Questo problema renderà ardua
perfino l'indesiderabile modifica proporzionalista proposta da Urbani
(che ha il vantaggio di parlare a nome di un'ampia maggioranza e del
premier in carica), ma, a maggior ragione, sembrerebbe escludere
miglioramenti in senso maggioritario proposti in Parlamento
dall'opposizione, con una legge sulle primarie. Ci auguriamo che
quest'analisi sia pessimista. Se però avesse qualche fondamento,
allora vecchie e nuove riflessioni sulle elezioni primarie resterebbero
utili solo per prossime, e piú fortunate legislature (anche se a
molti il doppio turno di collegio continua ad apparire preferibile);
per ora, in questa legislatura, sarebbero invece di difficile
utilizzazione nella definizione dei candidati di ogni collegio e del
leader.
[Giovanni Bachelet]