Contributo di Giovanni Bachelet al volume per il compleanno di Renzo Bertalot, 2005

Nella mia vita l'incontro con i fratelli e le sorelle delle chiese cristiane diverse dalla mia ha il volto e il nome di Renzo Bertalot. Ha il suo volto e il suo nome un insegnamento semplice, tanto dimesso nel tono con cui lo presentava a noi ragazzi (avevo una ventina danni quando l'ho conosciuto), quanto incisivo nel contenuto: per l'unità dei cristiani occorre tenere lo sguardo fisso su Gesú e mettere la sua parola al centro della vita personale, familiare, della propria comunità cristiana, della chiesa universale. Questa rivoluzione copernicana (cosí la chiamava il Pastore Bertalot) è essenziale non solo per l'unità dei cristiani, ma per salvarsi dal male, per avere la vita e averla in abbondanza, per restare anche nelle condizioni piú drammatiche pieni di gioia e di speranza. Fu importantissimo, in un'età e in un'epoca di rifiuto dei padri e delle istituzioni, ricevere questo insegnamento da un Pastore di una chiesa diversa dalla mia, della quale avevo fino a quel momento solo sentito un poco parlare e studiato qualcosa a scuola. Forse fu ancora piú importante, per un ragazzo che diventa uomo, sentire che oltre ai propri genitori esisteva al mondo almeno un altro papà che nutriva e testimoniava una fiducia altrettanto semplice, calda e sicura in Gesú.

Nel 1973 cominciavo Fisica alla Sapienza e fra i nuovi amici c'era Luciano Bertalot, che studiava, faceva sul serio e sapeva guardare con occhio saggio e a volte divertito sé stesso e il mondo di quegli anni; un mondo in grande movimento, nel quale molti altri amici non erano affatto saggi e si prendevano tremendamente sul serio. Scoprii che Luciano era cristiano come me quando mi invitò ad una sessione estiva del Segretariato Attività Ecumeniche. Un'esperienza indimenticabile, ripetuta poi per molte estati successive. Mio padre fu contento di questa nuova attività. Ecco, disse, una cosa bella che io, alla tua età, prima del Concilio, non avrei nemmeno potuto sognare. La Vingiani è bravissima, aggiunse. E concluse: del papà di Luciano, il Pastore Renzo Bertalot, puoi fidarti: lo conosco, è uno che in Gesú Cristo ci crede veramente. Siccome papà, in privato, scherzava volentieri, quest'ultimo commento poteva sembrare una battuta un po' birbona sul nostro mondo cattolico e la sua poca fede. Dal tono capii però che mio padre, quella volta, diceva sul serio: di Renzo Bertalot aveva una immensa stima. E aveva ragione.

A quei tempi anche nel dialogo interconfessionale era forte lo spirito sessantottino; a molti il vero e urgente punto di incontro fra cristiani sembrava dovesse essere l'impegno sociale e politico ‐magari quella che allora si chiamava "scelta di classe". Ma a Renzo Bertalot non importava niente di essere à la page: ci insegnava invece che solo mettendo al centro Gesú e la sua parola, solo camminando tutti verso di Lui, ci saremmo stabilmente avvicinati fra noi. Era quello il fondamento certo e duraturo dell'unità fra i cristiani, senza il quale si sarebbe presto spenta anche ogni fame e sete di giustizia ed ogni possibilità per noi di essere sale, luce e lievito in un mondo insipido e ingiusto. Cosí qualche anno dopo, mentre altri amici diffondevano Lotta Continua e il Manifesto (che anche noi leggevamo, per carità, con grande interesse e attenzione), Luciano ed io diffondevamo la traduzione interconfessionale in lingua corrente del Nuovo Testamento (TILC), che poco alla volta veniva fuori dal lavoro della Società Biblica in Italia. Oggi ne circolano in Italia dieci milioni di copie.

A quell'epoca abbiamo appreso sul campo, fra una preghiera dalle Missionarie Francescane e un tentativo (riuscito) di rifilare quantità industriali di Nuovi Testamenti a qualche pastore o capo scout, le immense ricchezze spirituali delle Chiese e i fondamenti del dialogo interconfessionale: un metodo, una rivoluzione copernicana che si è rivelata per me essenziale anche nell'affrontare con fraterna allegria, in decenni successivi, il dialogo intra-confessionale nella mia chiesa cattolica, fra associazioni e movimenti vecchi e nuovi, spinte (a volte spintoni) dai cattolici del dissenso e bastonate dai cattolici del consenso. Il segreto era sempre lo stesso: non mettere al centro sé stessi o la propria piccola o grande comunità, mettere invece al centro Gesú e la sua parola. Non cercare di convertirci a vicenda, come facevano prima della guerra mio zio Luigi de Januario e Giorgio Girardet tornando insieme a casa dal liceo Mamiani, ma lasciarci tutti convertire dalla Parola di Dio. Cercare di rinnovare la Chiesa non riformando gli altri, ma noi stessi, come diceva anche mio papà.

Aspetto essenziale di questo metodo era non solo la gioia di scoprire e valorizzare la varietà delle vocazioni e delle tradizioni, ma anche la capacità di rispettare la lentezza e la difficoltà con la quale altri buoni cristiani, Pastori e non, apprendevano, accettavano ed apprezzavano questa varietà; la capacità, insomma, di annunciare il nuovo con un sorriso, senza spezzare la canna fessa e senza spegnere il lucignolo fumigante; di conoscere e vivere con gioia e pazienza la varietà e la diversità leggendoci controluce fin d'ora, al di là degli evidenti motivi di dolorosa divisione, lo splendore dell'unità. Ovvero, niente facili fughe in avanti: quando al matrimonio di Valdo mi accostai alla Santa Cena, Renzo Bertalot si commosse (raccontandomi che anche un Pastore valdese aveva fatto altrettanto in un'Eucarestia cattolica). Rivedendomi qualche giorno dopo aggiunse però: guarda che per rispetto della fede di tutti è bene non farlo, salvo rare eccezioni. Dobbiamo soffrire per questa divisione. Dobbiamo pregare e lavorare affinché un giorno sia superata. Non dobbiamo far finta che non ci sia.

Con questo stesso spirito di prudenza e di coraggio, con questa impronta del pastore Bertalot, la Società Biblica in Italia è stata fin dall'inizio, e sempre piú nel tempo, luogo di incontro ecumenico aperto e fraterno: forse l'unico nel quale (anche grazie alla sapienza politica ed ecclesiale del suo statuto, pensato con saggezza dal Pastore Bertalot insieme a don Ablondi negli anni subito dopo il Concilio) i membri di tante chiese antiche e nuove, piccole e grandi, lavorano e pregano insieme senza paura di essere fagocitati, strumentalizzati, messi in minoranza dagli altri. Questo stile di Renzo Bertalot, non separabile dall'amore per la Parola di Dio, per la sua sempre migliore comprensione e traduzione e per la sua diffusione, ha saputo nel tempo attrarre e conquistare molte persone libere e, al tempo stesso, profondamente fedeli ciascuno alla propria chiesa, e le ha accompagnate, le accompagna e le illumina ancora oggi, dopo molti decenni, sul cammino della vita familiare, politica, ecclesiale, professionale. Grazie e tanti auguri, pastore Bertalot!