I Cattolici tra cultura e politica nell'Italia del dopoguerra
[Contributo di Giovanni Bachelet alla tavola rotonda organizzata da
Vita
e Pensiero e apparsa nel primo numero della nuova serie della rivista
1/2003]
Il
quadro politico e sociale dentro il quale ha operato il Partito dei
cattolici è ormai definitivamente tramontato. Si è aperta
una nuova stagione in cui i cattolici - nella loro espressione
molteplice - possono ancora giocare le loro chance. Lo stanno facendo?
Come possono farlo? In che maniera possono incidere significativamente
sulle sorti del paese?
Sí, secondo me i cattolici stanno giocando bene, al servizio del
Paese, la nuova partita cui sono chiamati. Come? Con una presenza
generosa, competente e visibile in molte aree calde del Paese che
cambia: educazione, immigrazione, cittadinanza attiva, studio e
sostegno in molti ambiti del disagio e dell'esclusione sociale. Con una
presenza incisiva nel sindacato, nella finanza, nel mondo delle
professioni. Ma anche, cosa non scontata dati i tempi mutati, con una
presenza qualificata nella politica attiva: se negli ultimi anni
l'Italia è entrata in Europa, è anche grazie a
parlamentari, ministri, perfino presidenti del Consiglio e della
Repubblica di robusta ispirazione cristiana, grande competenza e sicura
onestà. La loro storia suggerisce che, perfino rispetto alla
politica, il piú prezioso servizio della Chiesa e
dell'associazionismo cattolico sia stato quello di formare adulti
fedeli al Vangelo, liberi e responsabili, e perciò animati anche
da passione civile, come diceva Paola Bignardi all'ultima Assemblea
Nazionale dell'Azione Cattolica. Anche oggi, a mio avviso, è
questo il modo efficace di servire il Paese.
Il
crollo dei muri, che ha caratterizzato la fine del secolo scorso, ha
avuto tra i suoi esiti anche il venir meno di uno storico
anticlericalismo. Come valuta i sempre piú frequenti momenti di
confronto fra cultura laica e cultura cattolica che sembrano segnare
questo inizio di secolo?
Ci sono nuove opportunità. Opportunità di seminare
largamente la Parola di Dio, in un Paese in rapida trasformazione e (in
teoria) ormai privo di ostilità pregiudiziali, ricco di aperture
e disponibilità inedite. Opportunità di abbracciare
definitivamente lo stile di chiara distinzione fra Chiesa e
comunità politica auspicato dal Magistero (dal Concilio
all'ultimo documento su cattolici e politica) e giù presente
nella migliore tradizione maritainiana della DC. Ma vedo anche rischi.
Per esempio che, una volta estinto il partito democristiano, tutti i
partiti, anche quelli un tempo anticlericali, diventino clericali, con
esiti diseducativi per tutti. Che tutti ostentino rispetto o
ammirazione per la Chiesa, ma poi guardino ad essa come una
realtà mondana, con la quale intavolare una trattativa.
C'è anche il rischio d'illudersi che la caduta delle
pregiudiziali ideologiche sia risolutiva. Mio padre me lo diceva negli
anni della contestazione, del boom economico e della rivoluzione
sessuale: i pericoli per il tessuto cristiano di un paese non vengono
solo da filosofie e partiti esplicitamente antireligiosi, e forse
nemmeno dalla persecuzione (citava l'eroismo di preti e laici nella
Polonia di allora): vengono anche dalla vita comoda, dall'American way
of life. Che produce il relativismo etico strisciante spesso denunciato
dal Papa. Se il livello morale e culturale non cresce di pari passo col
benessere, si può perdere l'anima senza nemmeno accorgersene. In
questo senso l'opera di formazione delle coscienze e il lavoro
culturale sono anche qui il terreno dove l'impegno è piú
urgente e piú fecondo.
C'è
stata una colpevole dimenticanza, o comunque un'evidente
marginalità, della cultura cattolica nell'Italia del dopoguerra.
Di chi le responsabilità?
Quando si governa per molti decenni, come i cattolici in Italia,
è quasi inevitabile che le energie migliori vengono spese per
questo compito e il lavoro culturale sia messo in secondo piano.
Dovunque l'opposizione attrae gran parte delle migliori energie
intellettuali. In fondo è stata la vitalità spirituale e
culturale dell'associazionismo cattolico, sotto il fascismo e durante
la Resistenza, a forgiare una generazione di cattolici che ha avuto
grande peso, secondo me anche culturale, nella storia e nella coscienza
del Paese. Ma il potere logora davvero: non c'è battuta che
tenga. Logoramento e marginalizzazione del pensiero lungo sono stati
anzi meno rapidi e devastanti rispetto ad altre esperienze di
opposizione passate al governo (penso ai socialisti e, piú
recentemente, agli ex-comunisti). Ma ci sono stati. Ci sono però
stati anche i semi gettati dal Concilio che sono intanto timidamente
germogliati. Il tempo dell'alternanza di governo e la fine della
centralità politica democristiana possono forse favorirne una
crescita piú rigogliosa e nuovi innesti nella cultura del Paese.
La
globalizzazione e l'11 settembre costringono a trovare nuove chiavi di
lettura della situazione internazionale, soprattutto per quanto
riguarda il rapporto con la leadership (economica, militare e forse
anche diplomatica) degli Stati Uniti. Come europei, e anche da
Cattolici, dobbiamo chiederci come dovrai rimodellarsi quella che, con
un'inevitabile semplificazione, è la cultura occidentale.
Quando da giovane lavoravo negli Stati Uniti e poi in Germania, non
avrei immaginato che, vent'anni dopo, la mia moneta sarebbe stata la
stessa della Germania. Il sogno dei padri (cattolici) dell'Europa Unita
ha fatto giganteschi passi avanti e con esso la saggezza democratica
della vecchia Europa comincia a pesare un po' piú di prima sulla
scena internazionale. C'è ancora moltissima strada da fare, ma
la mia speranza è che su questa strada anche l'American way of
life e un certo tipo di pensiero unico che per ora sembrano l'unico
volto, a volte crudele, dell'occidente e della globalizzazione, possano
trovare nell'Europa e nella sua tradizione cristiana, personalista e
comunitaria, un elemento di amichevole riequilibrio e di arricchimento
ideale e progettuale.
La
Convenzione Europea è forse la piú importante riforma
"costituzionale" con cui il Paese dovrà fare i conti nei
prossimi anni. Chi (e come) puoi contribuire a vivificare le radici
cristiane dell'Europa allargata?
La Pira avrebbe voluto il nome di Dio nella Costituzione Italiana, ma
la proposta si rivelò elemento di divisione, e i democristiani
della Costituente preferirono rinunciarci. Puntarono invece (con
successo) ad una forte impronta personalista e cristiana nel contenuto:
persona umana, valore rieducativo della pena, niente pena di morte,
libertà di educazione dei figli, ripudio della guerra, dovere di
lavorare per ridurre le diseguaglianze, libertà religiosa,
istruzione gratuita... Le modalità di definizione della
Convenzione sono molto diverse dalla Costituente del 1946 e ogni
paragone è improprio; vorrei solo sottolineare che le radici
cristiane si recidono o si rafforzano anche, se non maggiormente,
attraverso contenuti come questi. Per noi cittadini comuni c'è
poi un terzo modo di ravvivare le radici cristiane del Continente:
essere, in ogni ambito personale e comunitario, piú fedeli al
Vangelo, piú liberi, piú responsabili, piú
coraggiosi. In poche parole, piú cristiani. Perché se il
sale perde il sapore, nemmeno una Convenzione può
restituirglielo.