PERCHE VOTERO' NO AL REFERENDUM
di Giovanni Bachelet, 13 agosto 2020
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Dopo il via libera della Corte Costituzionale, voteremo il 20 settembre per il referendum costituzionale sulla riduzione del numero di parlamentari, che riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Si tratta di un referendum confermativo: gli elettori sono chiamati a confermare (SI) o bocciare (NO) questa riforma costituzionale approvata dal Parlamento. Che bisogno c’è di un referendum se il Parlamento rappresenta gli elettori?

Ho sempre trovato positivo che gli elettori possano esprimersi e verificare se il Parlamento li abbia o no rappresentati nell’approvare qualche riforma importante. L’esito non è mai scontato. In particolare, quando è in gioco la Costituzione, la storia suggerisce che la maggioranza degli elettori non coincide quasi mai con la maggioranza parlamentare pro-tempore. L’unica riforma costituzionale approvata dal Parlamento e sottoposta a referendum che si è poi salvata dalla bocciatura degli elettori è quella del Titolo V della Costituzione (che, piaccia o no, riconosceva e potenziava l’autonomia delle regioni, della scuola e dell’università). Tutte le altre riforme costituzionali sottoposte a referendum sono state, finora, sonoramente bocciate dagli elettori.

Certo, di fronte alla maggioranza parlamentare “bulgara” dell’ultima e decisiva approvazione della Camera (solo 14 no e due astenuti su 630 deputati), sembra difficile un rovesciamento del risultato. Ma basta guardare alle votazioni precedenti per scoprire che su questa stessa legge costituzionale, che nulla cambia salvo il numero dei parlamentari (partendo dal presupposto qualunquista che “sono troppi”), avevano in origine votato contro PD, LeU ed altri partiti dell’attuale maggioranza che solo nella votazione finale dello scorso autunno (essendo appena cambiati governo e maggioranza parlamentare…) si sono dichiarati a favore, e solo a patto che fosse accompagnata da altre riforme costituzionali ed elettorali che in qualche modo la bilanciassero.

Queste riforme di accompagnamento NON ci sono state, e dunque gli elettori di questi partiti potrebbero legittimamente optare per il NO: niente cammello, niente tappeto. Inoltre proprio la storia dei referendum suggerisce che quando è in gioco la Costituzione le appartenenze ai rispettivi partiti sono superate dal personale discernimento e da un profondo e diffuso attaccamento degli elettori italiani alla propria tradizione democratica. Nel referendum costituzionale del 2006, ad esempio, anche una frazione consistente di elettori del centrodestra votò NO, e la riforma berlusconiana fu affondata a furor di popolo. Forse perfino stavolta il NO ha qualche speranza.

Personalmente voterò NO perché, da elettore del centrosinistra stanco della troppo fiacca difesa del Parlamento da parte degli ultimi tre segretari PD (Bersani, Renzi e Zingaretti), da membro del comitato promotore “Salviamo la Costituzione” del referendum 2006, da ex parlamentare che in quei 5 anni ha lavorato h24 con dignità e onore, potrò finalmente in prima persona dire un NO forte e chiaro all’antipolitica da strapazzo secondo la quale il Parlamento è un costo e i Parlamentari una zavorra.

Sogno che questo NO vinca e spazzi via dalla notte italiana l’incubo dell’antipolitica, e con esso quanti a parole combattono la casta e poi chiedono il sussidio corona virus. Ma se anche il NO perdesse, mi resterà, come mi insegnò proprio ai tempi del referendum il professor Paolo Sylos Labini, la soddisfazione di potermi guardare in faccia allo specchio quando mi faccio la barba.

(per saperne di piú sul referendum 2020, consiglio la corrispondente pagina di Wikipedia)