I piccoli semi lanciati a via Turba

lettera di commiato ai volontari del XXIV collegio di Roma
Roma, 25 aprile 1996
Cari amici,

abbiamo condiviso e vinto una grande, indimenticabile battaglia. Abbiamo dato all'Italia una nuova prospettiva democratica che due anni fa non era nemmeno pensabile. Mentre per me riprende la vita universitaria a tempo pieno, ripenso spesso ad ognuno e ad ognuna di voi: occhi, capelli, mani che danno un volantino o imbustano un depliant, voci al telefono, autisti, ciclisti bagnati.

Alcuni di voi sanno che, fra febbraio e marzo, ho rifiutato due collegi un po' meno ardui del collegio 24. Che il 24 fosse un collegio pressoché impossibile e la candidatura coi Popolari nel Lazio e in Abruzzo servisse piú a loro che a me era chiaro fin dall'inizio. Però, una volta ingaggiata la battaglia, l'ho combattuta insieme a voi senza riserve; ho lottato per vincere, con tutte le mie forze; ho sperato dall'inizio alla fine, contro ogni ragionevole calcolo, che ce l'avrei potuta fare, e mi sono comportato di conseguenza.

La notte del 21 aprile, perciò, è dispiaciuto a me almeno quanto a voi di non essere stato eletto; e mi ci vuole un po' ad abituarmi all'idea che grandi energie umane ed economiche, profuse con enorme generosità da amici e sconosciuti (oltre che da me stesso) non siano servite. Ma è proprio vero che non sono servite? Quella stessa notte abbiamo visto avverarsi il progetto al quale avevamo dedicato, chi da tanto chi da poco, una parte importante di noi stessi. La vittoria dell'Ulivo scoppiava nelle tabelle televisive, nelle piazze, nei nostri ridicoli e liberatori applausi a scena aperta davanti al maxischermo approntato dall'inesauribile duo Antonio-Riccardo a via Turba 38. Missione compiuta, dunque! Anche grazie a noi del collegio 24: il kamikaze è morto ma la corazzata è affondata.

Abbiamo conquistato migliaia di voti: piú della somma di PDS e PPI (politiche 94) e piú di Badaloni (regionali 95). Fini è stato bloccato ai risultati del 94: e nel frattempo il MSI era stato "sdoganato" e aveva governato, Fini stesso aveva invaso i telegiornali pubblici e privati, e parte dei Popolari era andata dall'altra parte. Oltre all'ottimo risultato locale e abruzzese (purtroppo inutile a fini elettorali) abbiamo ottenuto, grazie a tutti voi e in particolare all'ufficio stampa - una grande risonanza sui media, contribuendo efficacemente alla battaglia nazionale dell'Ulivo. Abbiamo colpito al cuore e messo in crisi tante pensose (e a volte pelose) equidistanze, strappando consensi al Polo e all'astensionismo non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale. Le tante lettere e i moltissimi aiuti arrivati da tutta Italia (che hanno consentito una campagna elettorale ricca e onesta) lo provano.

Un altro risultato, secondo me non secondario, è l'aver dimostrato agli elettori, a capi e militanti dei partiti, ad amici e avversari, che chi si è buttato in politica con Prodi e per Prodi l'ha fatto per spirito di servizio e passione civile, senza altra mira che il bene del proprio Paese e il futuro dei propri figli; che l'enorme lavoro fatto a Roma e provincia dalle centinaia di "Comitati per l'Italia che vogliamo" non era stato fatto per consentire a qualche outsider una rapida scalata al Parlamento, ma solo per far nascere e vincere l'Ulivo.

La nostra grande campagna ha quindi lasciato il mondo un po' migliore di come l'avevamo trovato, come ci diceva Badaloni nel video del Civis (citando il fondatore degli Scout, Robert Baden Powell). Se questo basta e avanza per me, scusate l'inflessibilità, deve bastare anche per voi. Certo commuovono e fanno piacere le centinaia di telefonate, fax, lettere di incoraggiamento ed esortazione a proseguire, a cercare o almeno accettare ulteriori responsabilità politiche o magari governative, a tenere in vita questa nostra esperienza. Ma ho paura che non mi lascerò tentare: gran parte del valore di ciò che abbiamo fatto veniva proprio dall'eccezionalità del momento, dal disinteresse con cui abbiamo lavorato, dal fatto che la politica non era il nostro mestiere, non era nel nostro DNA.

Ciò non toglie che nel futuro possa capitare, a voi o a me, di essere chiamati di nuovo a servire il Paese anche nella politica (ho sempre avuto idee chiare al riguardo: a riprova vi accludo un articolo dell'89 scritto per la morte di Benigno Zaccagnini). Ma ora l'emergenza è obbiettivamente superata, anche grazie al nostro volontariato politico: tranne i pochi cui l'esperienza abbia consentito di rivelare vocazione e talenti politici cosí forti da abbandonare per sempre la precedente vita professionale o di studio, possiamo e dobbiamo a mio avviso tornare in fretta a far bene il nostro mestiere (mantenendo magari un collegamento "leggero", sostenibile e non totalizzante).

Un aspetto della vecchia politica che non ho mai apprezzato è infatti l'ipertrofia degli apparati (che implica poi la necessità di grandi finanziamenti permanenti, con tutto ciò che ne consegue); come pure mi ha negativamente impressionato la categoria di persone che per impegni politici, sindacali, associativi o religiosi faceva male il proprio lavoro, avendo il cuore e le energie da un'altra parte. La fisiologia di un paese normale prevede invece, a mio avviso, che i professionisti della politica - categoria importante e necessaria - siano prevalentemente gli eletti in Parlamento, e la partecipazione politica avvenga soprattutto tramite una motivata delega, certo accompagnata da un impegnativo dialogo con loro. Per la maggioranza dei cittadini la passione civile si dovrebbe esplicare quindi, tranne i momenti forti della politica, con una dedizione prioritaria ai doveri professionali e familiari.

In occasione della morte di Paolo Borsellino, nel luglio 1992 (in piena Tangentopoli), ho scritto su Avvenire: "per la maggior parte di noi, non impegnati in politica, si tratta solo di riprendere a denti stretti il dovere quotidiano, spesso grigio e raramente eroico. Raramente? Ripensandoci, non saprei. In fondo non concordo con chi sostiene che il 95% degli italiani è onesto e perbene, con chi trasferisce le colpe e i mali sul Palazzo, sul regime, sui partiti. La scarsa attenzione per il merito in favore del principio d'anzianità o peggio in favore della spintarella; qualche forma di evasione fiscale; un malinteso solidarismo che copre inefficienze colpevoli e assenteismi di massa; il rifiuto di assumersi responsabilità, di bocciare, di essere impopolari; l'organizzazione in lobbies e corporazioni piccole e grandi... Queste sono purtroppo caratteristiche, direi corpose metastasi, ben presenti e diffuse in tutto il corpo della cosiddetta società civile. Senza ridurre l'urgenza e l'importanza delle grandi riforme, facciamo, perciò, anche qualche piccola riforma della nostra vita." Lo penso tuttora.

Naturalmente non propongo di dilapidare del tutto il patrimonio di idee, esperienze e capacità politiche accumulato in quest'anno davvero speciale: per restare "sempre pronti" ci scambiaremo al piú presto, con l'aiuto di Simona e Cristina, un indirizzario completo; chiederemo ai partiti del collegio, coi quali abbiamo lavorato molto bene, di tenerci al corrente delle loro iniziative e attività; troveremo qualche scusa per rivederci ogni tanto; ci terremo, soprattutto, all'erta per le prossime scadenze elettorali: l'elezione di Rutelli (autunno 97), per la quale io darei volentieri una mano, e le elezioni europee (estate 1999); seguiremo, nei limiti in cui ognuno di noi sarà in grado di farlo, l'evoluzione dei "Comitati per l'Italia che vogliamo" in Movimento per l'Ulivo, secondo le proposte di questi giorni. Ma se anche non faremo nulla di tutto questo, ci ritroveremo senz'altro appena ci sarà qualcosa di importante. Siatene certi: in occasione della campagna elettorale ho visto comparire e riprendere a lavorare con me (come se ci fossimo lasciati il giorno prima) persone che non rivedevo da vent'anni.

Ai tanti che si domandano ansiosamente come continuare, direi soprattutto: non preoccupiamoci troppo di cosa faremo da grandi. Sono infatti sicuro che se abbiamo dimostrato di saper fare qualcosa di buono, saranno gli altri a venirci a cercare. Lo diceva bene Martin Luther King: "Se un uomo può scrivere un libro migliore, fare una predica migliore, o preparare una trappola per topi migliore del suo vicino, anche se egli costruisce la sua casa nella foresta, il mondo traccerà un sentiero battuto fino alla sua porta."

I semi che abbiamo seminato già germogliano e fioriscono in questa nuova primavera italiana. Anche senza agitarci continuamente ogni seme buono darà molto frutto al tempo stabilito. Nel lavorare insieme è già sbocciata l'amicizia da qualche solitudine, da qualche ansia la serenità, da qualche noia e da qualche disperazione la speranza e il desiderio di impegnarsi. Ora anche nel Paese qualche valle potrà essere colmata, qualche sentiero raddrizzato, qualche lacrima asciugata. Ho la fondata speranza che con Romano Prodi premier le città diventeranno piú vivibili e le acque e i cieli piú puliti; che lavoro, casa e sanità saranno sempre meno un privilegio e sempre piú un diritto; che immense risorse popolari di creatività e responsabilità, ignorate e compresse per 15 anni, potranno di nuovo sprigionarsi nella società. Se e quando - fra chissà quante polemiche e contraddizioni - scorgeremo qualcuno di questi fiori o frutti, penseremo anche ai piccoli semi lanciati con generosità a Via Turba 38, e sorrideremo.

Grazie per la pazienza nel leggere questa lunga lettera; perdonatemi se non riuscirò a dire grazie in modo piú personale a ciascuno di voi. Un abbraccio e un grande grazie a tutti!

Giovanni Bachelet